«L’Italia non è berlusconiana » ha scritto il professor Luca Ricolfi sulla Stampa di ieri. Non lo è sul piano del costume: «Un recente sondaggio di Mannheimer certifica che il sogno di carriera nel mondo dello spettacolo attira effettivamente solo una ragazza su 100». Non lo è sul piano del consenso elettorale: «Il berlusconismo - inteso come fiducia incondizionata nei confronti di Berlusconi è sempre stato un fenomeno marginale. Fatto 100 il corpo elettorale, il voto al partito di Berlusconi non è mai andato oltre al 20 per cento». Non so a voi, ma a me sembra una bella notizia. Finalmente la sinistra non è più la minoranza virtuosa del Paese, quella che bacchettava gli appetiti volgari della destra, ma doveva arrendersi al destino cinico e baro di una maggioranza di italiani senza mutande.
Resta solo da chiedersi perché questa sinistra post-marxista, antagonista, democratica, giustizialista, legalitaria, ambientalista, ex catto-comunista, eccetera, eccetera, al momento delle elezioni faccia fiasco. La politica ha questo di bello: dovrebbe spingere a ragionare. Se uno perde, pur avendo in teoria i consensi per vincere, dovrebbe chiedersi dove sta sbagliando e perché. Capisco che il clima di questi giorni non aiuti, ma se invece di limitarsi alla bava alla bocca, sia pure una bava kantiana, si facesse uno sforzo, sarebbe tutto di guadagnato: per il Paese, per l’opposizione, per la maggioranza stessa, che può persino permettersi di essere mediocre perché gli altri sono peggio.
La tesi di Ricolfi è che la lettura di un’Italia traviata nell’ultimo quindicennio dal berlusconismo, antropologicamente mutata e corrotta, è una balla. Non è una balla nuova, per la verità, perché l’idea di una nazione composta di italiani e di «italioti» data, senza scomodare l’antifascismo, da almeno mezzo secolo. Solo che un tempo la presenza del Pci come partito popolare e di massa, ne permetteva un’interpretazione diversa, tirava dentro il grande capitale e le multinazionali, la Chiesa e la Cia, la reazione perennemente in agguato e l’odio verso il progresso e teneva così insieme due cose. L’essere una maggioranza a cui la congiura internazionale dei poteri forti impediva l’accesso alle stanze del potere. Caduto il Muro, dissoltosi il comunismo, la sinistra ha trovato la sua ragion d’essere nel considerarsi l’avanguardia intellettualmente colta ed eticamente pura di un popolo di lazzaroni. Così facendo non si è resa conto, o non ha voluto rendersi conto, che c’era una vasta area di scontento, astensioni e schede nulle durante le elezioni, che la parcellizzazione al suo interno non favoriva le alleanze, ma le indeboliva, che il populismo (ovvero una leadership forte con capacità decisionale), ritenuto un pericolo da tenere fuori la porta di ogni sincero democratico, rientrava dalla finestra mutato di valore.
Vendola, Di Pietro, Grillo che cosa sono se non dei mini-leader populisti costretti a fingersi qualcos’altro? La «narrazione» del primo, le «mani pulite» del secondo, «le cinque stelle » del terzo non sono altro che i vizi travestiti da virtù di cui parlava La Rochefoucauld... Se, dunque, seguendo Ricolfi, l’Italia non è berlusconiana, ne derivano due corollari; il primo è che il ritratto di un Paese «moralmente depravato » è peggio di un delitto intellettuale: è un errore politico a cui non c’è rimedio. Il secondo è che le capacità di appeal dell’ Union sacrée antiberlusconiana sono, nei confronti di quell’elettorato non schierato pregiudizialmente con il Cavaliere, minori rispetto a chi viene additato come il Male assoluto. Detto in termini più semplici, una buona parte del Paese non crede che la sinistra farebbe meglio della destra, e quindi non la vota. Sogno o incubo, il berlusconismo rappresenta insomma qualcosa, e l’anti-berlusconismo non è sufficiente per batterlo.
L’atteggiamento sprezzante, elitario, virtuoso e qualunquisticamente un po’ razzista (un popolo di evasori fiscali e di maniaci sessuali) dei suoi maîtres-àpenser intellettuali e politici, peggiora il quadro e rende impossibile ogni opera di convinzione. Berlusconi non vince perché convince, ma perché gli altri sono tutto tranne che convincenti. Ci vorrebbe meno Kant e più umiltà.
(di Stenio Solinas)
Resta solo da chiedersi perché questa sinistra post-marxista, antagonista, democratica, giustizialista, legalitaria, ambientalista, ex catto-comunista, eccetera, eccetera, al momento delle elezioni faccia fiasco. La politica ha questo di bello: dovrebbe spingere a ragionare. Se uno perde, pur avendo in teoria i consensi per vincere, dovrebbe chiedersi dove sta sbagliando e perché. Capisco che il clima di questi giorni non aiuti, ma se invece di limitarsi alla bava alla bocca, sia pure una bava kantiana, si facesse uno sforzo, sarebbe tutto di guadagnato: per il Paese, per l’opposizione, per la maggioranza stessa, che può persino permettersi di essere mediocre perché gli altri sono peggio.
La tesi di Ricolfi è che la lettura di un’Italia traviata nell’ultimo quindicennio dal berlusconismo, antropologicamente mutata e corrotta, è una balla. Non è una balla nuova, per la verità, perché l’idea di una nazione composta di italiani e di «italioti» data, senza scomodare l’antifascismo, da almeno mezzo secolo. Solo che un tempo la presenza del Pci come partito popolare e di massa, ne permetteva un’interpretazione diversa, tirava dentro il grande capitale e le multinazionali, la Chiesa e la Cia, la reazione perennemente in agguato e l’odio verso il progresso e teneva così insieme due cose. L’essere una maggioranza a cui la congiura internazionale dei poteri forti impediva l’accesso alle stanze del potere. Caduto il Muro, dissoltosi il comunismo, la sinistra ha trovato la sua ragion d’essere nel considerarsi l’avanguardia intellettualmente colta ed eticamente pura di un popolo di lazzaroni. Così facendo non si è resa conto, o non ha voluto rendersi conto, che c’era una vasta area di scontento, astensioni e schede nulle durante le elezioni, che la parcellizzazione al suo interno non favoriva le alleanze, ma le indeboliva, che il populismo (ovvero una leadership forte con capacità decisionale), ritenuto un pericolo da tenere fuori la porta di ogni sincero democratico, rientrava dalla finestra mutato di valore.
Vendola, Di Pietro, Grillo che cosa sono se non dei mini-leader populisti costretti a fingersi qualcos’altro? La «narrazione» del primo, le «mani pulite» del secondo, «le cinque stelle » del terzo non sono altro che i vizi travestiti da virtù di cui parlava La Rochefoucauld... Se, dunque, seguendo Ricolfi, l’Italia non è berlusconiana, ne derivano due corollari; il primo è che il ritratto di un Paese «moralmente depravato » è peggio di un delitto intellettuale: è un errore politico a cui non c’è rimedio. Il secondo è che le capacità di appeal dell’ Union sacrée antiberlusconiana sono, nei confronti di quell’elettorato non schierato pregiudizialmente con il Cavaliere, minori rispetto a chi viene additato come il Male assoluto. Detto in termini più semplici, una buona parte del Paese non crede che la sinistra farebbe meglio della destra, e quindi non la vota. Sogno o incubo, il berlusconismo rappresenta insomma qualcosa, e l’anti-berlusconismo non è sufficiente per batterlo.
L’atteggiamento sprezzante, elitario, virtuoso e qualunquisticamente un po’ razzista (un popolo di evasori fiscali e di maniaci sessuali) dei suoi maîtres-àpenser intellettuali e politici, peggiora il quadro e rende impossibile ogni opera di convinzione. Berlusconi non vince perché convince, ma perché gli altri sono tutto tranne che convincenti. Ci vorrebbe meno Kant e più umiltà.
(di Stenio Solinas)
Nessun commento:
Posta un commento