In mancanza di concorrenza decente, stabilito che il suo anarchismo è preferibile all’anti Stato rappresentato dalla sinistra dei senza patria e da una borghesia rancida, priva di radici e coraggio, è venuto naturale giudicare Berlusconi come una febbre salutare. Ma adesso? Adesso il cappio delle procure d’assalto, i latrati del circo mediatico e gli sputi degli ingrati stanno trasformando il Cav. in un ossesso. Le sue buone ragioni – e sono ancora numerose – lo ammalano; e così nell’uomo che vinse al grido di Forza Italia è rimasta una cieca forza taurina e sta scomparendo l’Italia. In altri tempi gli avremmo chiesto di onorare la maestà della Patria in ogni sua forma, foss’anche quella degenerata di un togato in cattiva fede. Oggi comprendiamo che la posta in gioco è per lui altissima: la libertà di non finire in galera e di non vedersi espropriare dei beni famigliari dai soliti amici dei nemici. Sicché l’Italia viene dopo: primum vivere, deinde rem publicam gubernare. Finora avevamo ritenuto indispensabile il contrario: per sopravvivere come cittadino il premier non può fare altro che reggere degnamente la cosa pubblica.
Non abbiamo cambiato idea, temiamo però che si sia modificata la natura delle parti in tragedia. Né i buoni né i cattivi hanno più un disegno da offrire a se stessi e al teatro circostante, che non coincida con la resa senza condizioni del nemico. E’ vero, il Cav. ha dalla sua l’aura del perseguitato. Ma agli occhi della storia, vincitore o sconfitto, dovrebbe rifulgere sopra tutto colui che si è posto lo scrupolo di non lasciare dietro di sé macerie e briganti.
(di Alessandro Giuli)
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