domenica 8 maggio 2011

Antonio Pennacchi, il fasciocomunista


Dove sta scritto che fascisti e comunisti si devono prendere a botte?». Parla Antonio Pennacchi, scrittore, promotore della lista «fasciocomunista» alle prossime elezioni di Latina. È la lista Pennacchi-Fli, Filippo Cosignani candidato sindaco. «Voglio far perdere il candidato di Silvio Berlusconi» dice «e riportare i fascisti a sinistra. Che è, appunto, la loro casa naturale».

Tanto è vero che a Predappio, nella casa natale del Duce, c’è un’unica bandiera: quella del Partito socialista. Ma forse…

Erano i fascisti quelli che toglievano ai ricchi per dare ai poveri. E qui, nell’Agro Pontino, tutto era del principe Caetani. Fosse stato per il liberalcapitalismo, per Berlusconi, tanto per capirci, qui ci sarebbero solo la palude e il principe. E invece, ecco, alza il naso da quel taccuino e guarda il fascismo in faccia. Guarda: non ti perdere questi magnifici frangivento di eucalipti e la terra fertile dei poderi. Scendi dalla macchina, vieni qua, guarda. Una fatica immane dello Stato o della Patria, o, come vuoi dire tu, segnata con il Tricolore per il popolo. E se l’hanno fatto loro, i fascisti, non posso farci niente. È la storia.
(Guardo da uno stretto ponte, in basso corre l’acqua).
Mio fratello diceva: quando muoio, spargete le mie ceneri nel Gange. Ma è questo il nostro Gange. Qui ci sono il sangue e il sudore della mia gente. È il Canale Mussolini. Ci volano gli aironi. Ma solo quando passa Ivana, mia moglie. E devi vederlo quando è in piena: raggiunge gli argini.
(Guardo e immagino. Un’opera sociale che solo il successo e il premio Strega hanno finalmente restituito alla memoria di tutti).
Non è colpa di nessuno se il merito è di Benito Mussolini…

Se l’avesse fatto un altro, invece che il predappiese, raccontare il canale sarebbe stato più facile.

Ma adesso come facciamo a parlare di elezioni se mi viene voglia di raccontare questa terra?

Per riportare i fascisti a sinistra è fondamentale il racconto. Quello di questa terra e quello della rivoluzione sociale che ebbe avvio da Mussolini.

Giusto. Tanto, il più è fatto. La lista la stiamo presentando. E ti devi candidare anche tu. Il mio cuore di romanista sanguina, ma voglio candidare anche Paolo Di Canio.

Ma forse…

Il racconto, intanto. Nessuno, per esempio, ha mai capito che cosa fu la lotta al latifondo in Sicilia. Fu il vero e più concreto attacco alla mafia.

Ne parli nel tuo viaggio nelle Città di fondazione, il tuo reportage per «Limes», la rivista geopolitica di Lucio Caracciolo, giusto?

Giusto. Il fascismo toglie i feudi ai ricchi e, costruendovi città e borghi, a difesa dei poveri vi porta lo Stato. E quando Salvatore Giuliano consuma il suo primo delitto – ricorda! – quando ammazza per rubare il grano, sta facendo un’azione da assassino delinquente e nulla più. Ma quando organizza l’assalto alla caserma dei carabinieri a Bellolampo sta diventando mafioso, e perciò nemico dello Stato. Compie un atto antifascista perché in quel borgo, nel cuore di quello che era stato solo un feudo, i militi, così come i funzionari dell’ente agrario, i maestri elementari e i preti, li aveva voluti Mussolini. Per sottrarre il territorio alla mafia e portare finalmente la legge.

Sono discorsi inauditi per la vulgata, ci arrestano.

Ma è così. Che cosa ci stanno a fare gli intellettuali, gli scrittori, l’avanguardia insomma, se non si scava nella storia per fare meglio domani? Adesso, se permetti, introduco un elemento marxista-leninista, anzi di più: un concetto chiave del presidente Mao che, sempre se permetti, è un vero fasciocomunista e forse anche più di Stalin. Più che l’unità di classe, infatti, predicava l’unità di popolo. E diceva: allargare gli orizzonti di attesa della gente. Preparare il popolo a una nuova meta. E stare sempre un passo avanti. E mai uno indietro. Altrimenti si fa come la Lega nord che, stando un passo indietro, si lascia guidare dalle masse ma senza saperle poi indirizzare.

Per Karl Marx questo è l’opportunismo di destra.

Ma mai l’avanguardia deve stare mille passi avanti. Il popolo non vede e smarrisce il proprio orizzonte di attesa.

E questo è «l’avventurismo di sinistra», giusto?

Giusto. Adesso, questi del Fli, devono mettersi un passo avanti e spiegare alla propria gente che non si può solo prendersi a mazzate coi comunisti. Ci si deve alleare. Lo fa anche Berlusconi, no? Vladimir Putin e Sandro Bondi e anche Giuliano Ferrara non sono forse i meglio amici di Berlusconi? Qualcuno lo rimprovera di stare coi comunisti? Ecco, Fabio Granata e Flavia Perina lo hanno capito. Difficile è forse spiegarlo ai miei compagni del Pd. Loro non li disdegnano i voti dei fascisti.

Ma forse...

Ma che è questo forse così continuo?

Ma non ci sono i fascisti. E quegli altri non sono comunisti. Come si fa il fasciocomunismo?

È l’asse ereditario. Quello del comunismo ce l’ha il Pd e quello del fascismo, invece, ce l’ha, e pure bello stretto, Gianfranco Fini.

Se solo non ci fosse Fini, il Fli sarebbe una meraviglia.

Ma prova a essere un tantino storicista! Ti porterei a Verona, ti porterei! E tu mi hai capito…

Ho capito, ho capito… al muro.

Il segretario è lui. E basta. E se si vuole battere politicamente Berlusconi, e non con i giudici e con l’Italia dei valori, si deve stare a sinistra. Devi sapere che tutta questa vicenda di Latina è cominciata a Venezia. Mi viene incontro un tipo in gamba e mi dice: «Io sono un fasciocomunista». Ora, quella del fasciocomunismo è un’invenzione poetica. Lo so bene perché l’ho creata io e questo che mi si presenta dicendo così un poco mi spiazza. Era Fabio Granata. Poi ci siamo visti a Roma. Con lui e con Flavia siamo andati da Fini e il discorso è stato fatto.

Con Fini?

Lui ha avuto il garbo di non chiedermi di fare il candidato sindaco. Abbiamo discusso a lungo e proprio con grande soddisfazione. Vedi un po’ che scherzi fa la vita. Chi glielo doveva dire a lui, lui che è stato sempre contro la vocazione sociale e proletaria del partito, a ritrovarsi, adesso, a guidare il Fli.

Ma il vero capo del Fli è Italo Bocchino…

E vedi, appunto, che scherzi che fa la vita! Quando l’ho conosciuto – ricordi?, a Capri, più di 15 anni fa, eravamo insieme – sembrava uno così, un moderato di destra, uno contento di fare il numero due a vita, e, improvvisamente, con l’idea di farla pagare a Berlusconi e di soffiargli quello che gli avrà soffiato, non mi diventa il capo dei fasciocomunisti?

La vita riserva sorprese anche al progetto politico più stanco. Mi dicevi di Fini…

Usciamo dal suo ufficio e fuori, davanti alla Camera, incontriamo Laura, mia sorella, ex parlamentare dei Ds, già sottosegretario del governo Prodi. «Che ci fai qui?» chiede. Sono andato da Fini, rispondo. E lei: «Che farai mai con Fini». Le risponde Perina: «Antonio dà dei consigli a Fini». Non ti dico la faccia di mia sorella: «La voglio vedere tutta, Fini che prende consigli da te!». M’è venuto un nervoso, ma un nervoso… alle solite, ho pensato, fanno sempre così i miei compagni del Pd: i voti dei fascisti non li disdegnano, purché siano sottobanco. Come i complimenti.

A proposito di complimenti, Mario Pirani mi ha detto meraviglie del tuo «Canale Mussolini».
E certo, i complimenti. Come quelli del presidente Giorgio Napolitano, quelli di Miriam Mafai, quelli di Fausto Bertinotti, ma mai una volta che uno di loro, tutti miei compagni, scriva un rigo di complimenti per smentire i loro giornali fichetti. Sempre tutto sottobanco. Come con i voti. Li vogliono ma purché i fascisti restino fuori dalla porta. Ma io sono contento di questa operazione. Riporto i fascisti a sinistra. Anche se non è una novità.

Non è una novità?
Come il milazzismo in Sicilia, ne sai qualcosa, giusto?

Giusto.

E come fu per il Pci. Tutti i quadri dirigenti, per non parlare degli intellettuali, se li presero da Salò. Io voglio portarli a sinistra e senza nessuna abiura. Altrimenti non riusciremo più a costruire un nuovo patto nazionale. Ognuno viene per quello che è.

Certo che se non ti espellevano dal partito…

Sia chiaro: non fu Giorgio Almirante a volere la mia cacciata. Lui mi voleva bene. Mi diceva: sei la nostra «promessa». Io stavo nel direttorio dei «volontari nazionali» con Alberto Rossi e Stefano Galatà. Nel 1966 partecipai alla prima scuola di partito. C’erano docenti come Nino Tripodi e Raffaele Valensise. Se permetti io ero uno che qualche libro lo leggeva. E, sempre se permetti, se non mi cacciavano sai dove stava Fini adesso? Se ne restava a Bologna. Almirante avrebbe scelto me.

(di Pietrangelo Buttafuoco)

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