mercoledì 22 giugno 2011

Conservatori? Sì grazie. Hanno tenuto insieme il mondo ma in Italia non sono di moda


Essere conservatori non è difficile e neppure eccentrico. Basta saper riconoscere la banalità del bene nelle cose semplici, come i precetti non scritti del diritto naturale. E difenderli di conseguenza, costruendoci sopra una politica, un sistema, un'organizzazione sociale. A presidio di tutto, ovviamente, non può che esserci lo Stato. Non il padre-padrone, il Leviatano oppressivo, ma l'innocente regolatore delle umane pulsioni, il soggetto riconoscibile capace di prevenire le crisi di legalità e di legittimità nella sfera del potere e del conflitto travi diritti individuali. Niente di più e niente di meno. È una dottrina? Non saprei: me lo chiedo da quando ero ragazzo. Che sia un sentimento anche politico, ne sono convinto. Perciò non smetto di stupirmi quando, nel nostro Paese, si attribuisce al conservatorismo una valenza negativa. Come se fosse sinonimo di regressione. Curiosamente è stata proprio una certa destra, in taluni momenti nostalgica ed isteronazionalista, a molestare le coscienze dei moderati facendogli credere che l'essere conservatori era poco meno di una perversione. Ed eccola qui, ora, questa destra un po' disfatta, piuttosto malmessa, alla ricerca di un'identità che non riesce a trovare perché ha smarrito i fondamentali inseguendo una modernità priva di sostanza, vale a dire il nocciolo duro che dovrebbe contenerla: la tradizione.

Mi è venuto in mente tutto questo (e molto altro ancora che vi risparmio) astraendomi per qualche minuto dalle pessime cronache italiche attratto dalle recenti prese di posizione del primo ministro britannico David Cameron. Conservatore, ma appartenente a quella scuola conservatrice che non considera staticamente la posizione politica che rappresenta e cerca di farla vivere in connessione con i mutamenti del tempo. Come fece Margareth Thatcher agli inizi degli anni Ottanta, come interpretò Ronald Reagan il lascito di Barry Goldwater. E nel lungo percorso sono stati accompagnati da Edmund Burke, irlandese poliedrico, capace di sezionare i grandi fenomeni della sua epoca, come la Rivoluzione francese, alla stessa stregua di entomologo che si appassiona alla vita degli insetti.

Non so quanto sia consapevole Cameron nel rappresentare un riferimento concreto per quanti in Europa cercano una nuova via, ma è certo che la sua biografia dice molto di più di quanto possano dire le sue prese di posizione politiche e giornalistiche. Infatti, è la conseguenza di una formazione familiare e poi sociale la sfida lanciata al progressismo che si è dimenticato dei padri e, dunque, della famiglia, qualche giorno fa, in occasione della festa del papà, dalle colonne del «Sunday Telegraph». I padri assenti, quelli che non si occupano dei figli, incuranti del loro principale compito di educatori, sono come alcolisti che si mettono alla guida di un'automobile, ha detto. Quindi ha rincarato la dose: «I padri che se ne vanno dovrebbero vergognarsi fortemente. Non è accettabile che madri single si occupino da sole di allevare i figli». E sono ben un milione e settecentomila nel Regno Unito, che tra mille difficoltà devono provvedere alla prole che rischia di crescere male, sbandata, confusa. E, dunque, incapace di formare a sua volta famiglie «normali» intorno alle quali promuovere lo sviluppo di una società sana.

La famiglia è la «pietra angolare» della comunità nazionale, la «roccia sulla quale poggia la nostra vita», il «punto di riferimento» irrinunciabile, ha detto Cameron che ha fatto appello ai padri affinché si occupino dei figli, quale che sia la loro condizione matrimoniale, se vogliono evitare che «la vergogna li sommerga», convinto com'è che senza la figura paterna difficilmente possa venir fuori un ordine civile fondato sul riconoscimento dell'autorità primaria, costituita appunto dai genitori. Che poi il primo ministro abbia intenzione di introdurre sgravi fiscali per le coppie sposate, al fine di dare sostanza alla politica che viene chiamata «family friendly» è un dettaglio, per quanto importante, nell'economia del progetto della costruzione della cosiddetta Big Society che è il cuore della rivoluzione conservatrice di Cameron.

Nella citata intervista, a conferma dell'interazione tra fattori privati e logiche politiche e sociali, cui si si ispirano i nuovi Tories, il premier ricorda suo padre, morto pochi giorni prima della nascita della sua ultima figlia Florence. E dice: «Da mio padre ho imparato a riconoscere le responsabilità. Vederlo alzarsi prima dell'alba per andare al lavoro e non vederlo tornare fino a tarda notte ha avuto un forte impatto su di me». C'è un modo più efficace di invocare l'amore paterno, tenerselo stretto e nel caldo abbraccio riconoscere il principio della vita protetta, spiritualmente s'intende? I figli hanno bisogno dei padri. Ecco dove il diritto naturale incrocia il sentimento primario su cui si fonda la famiglia. Le distrazioni sollecitate dall'affermazione professionale, dalla disperazione economica, dall'avidità, dall'indifferenza non sono da sottovalutare, ma non possono costituire giustificazioni all'assenza lamentata da Cameron. Perciò buone leggi che asseverino questa visione della famiglia e della ricomposizione della società civile, sono indispensabili.

Cameron proporrà nelle prossime settimane una riforma dell'organizzazione Child Maintenance and Enforcement Commission, con l'obiettivo di rendere più agevoli le pratiche per il mantenimento dei figli di coppie separate. L'obiettivo è chiaro: rinsaldare i vincoli familiari allo scopo di tutelare la prole, non lasciare sole le donne, responsabilizzare i padri. Un ritorno al passato secondo l'ottica permissiva che da circa mezzo secolo si sta impegnando per dissolvere la famiglia tradizionale? Neppure per sogno. Se «la famiglia è l'associazione istituita dalla natura per provvedere alle quotidiane necessità dell'uomo», come si legge nella «Politica» di Aristotele, è inevitabile che essa deve comporsi con gli elementi naturali che la connotano rispetto a tutte le altre organizzazioni umane. E se è altrettanto vero che «governare una famiglia è poco meno difficile che governare un regno», secondo Montaigne, vuol ben dire che senza un padre che provveda ai propri figli diventa addirittura impossibile tenerla unita, quali che siano le ragioni dell'allontanamento.

(di Gennaro Malgieri)

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