E va bene, fateci del male. Frugateci nelle tasche fino a lambire i testicoli, toglieteci soldi e servizi, costringeteci alla solidarietà verso ignoti. Quando c’è da fronteggiare la bufera niente diserzioni, sforziamoci di essere soldatini. E non discutiamo gli ordini, marciamo senza avventurarci a discutere sui criteri della maledettissima manovra. L’accettiamo come un evento meteorologico. Non dirò se hanno fatto bene o male, se c’erano alternative migliori, non mi improvviso ministro Tremari in opposizione al Tremonti. Resto nei panni inermi del cittadino italiano e mi limito a registrare le reazioni mie personali e dei miei compatrioti. Scandisco l’atto di dolore in quattro tempi.
Atto primo. Io pago ma mi chiedo: servirà? Basterà quest'altro sacrificio o siamo di fronte a un pozzo senza fondo? La prima obiezione degli italiani è sull’efficacia della manovra e dei suoi effetti. Come versare acqua in una bottiglia senza fondo. La percezione che di qui a non molto ci diranno che la situazione resta comunque critica e che non sono bastati i sacrifici. Anche se ci dimezzano i servizi e ci raddoppiano gli oneri, usciremo davvero dalla crisi?
Atto secondo: io pago ma saranno in grado di gestire questa feroce manovra? Il secondo dubbio è sull’inadeguatezza assoluta della nostra classe dirigente, non solo quella di governo e di centro-destra, a gestire la straordinaria amministrazione. Vedi lo spettacolo di questi giorni, risali alle biografie e ai precedenti, soppesi la loro credibilità ed efficacia e ti prende lo sconforto. C’è chi invoca nuovi invasori, anche marziani, per mettere a posto le cose, e chi sottovoce evoca dittature a tempo, tanta è la disperazione; o il contrario, l’anarchia assoluta, il Far West dove ognuno si salvi come può. Ma con le crisi politiche sempre in agguato, con il baratro che si apre dopo Berlusconi, in che mani finirà questo sacrificio di popolo?
Atto terzo: io pago ma cambierà la situazione se a gestire la crisi internazionale saranno gli stessi che ci hanno portato nel baratro o non hanno saputo evitarlo? Se gli assetti mondiali e interni restano immutati, se i mercati dettano legge assoluta, se l’America ha quel debito mostruoso con i cinesi, se l’Europa è una fetecchia intorno all'euro, se la politica non ha l’autorevolezza per bilanciare l’economia, come si può pretendere che, restando invariati equilibri, squilibri e protagonisti, si possa davvero uscire dalla crisi?
Atto quarto, ad personam. Io pago - ed è solo un esempio che conosco da vicino ma ciascuno sostituisca quest'atto di dolore con il suo personale - e pago già le tasse, ho redditi alla luce del sole, subisco fior di trattenute inique e obbligatorie di ogni genere, pago assegni non dovuti per obbligo di legge, pago anche per assistenze che non vorrei avere (c’è una cassa di previdenza obbligatoria che mi succhia 15mila euro l’anno e mi chiede pure contributi straordinari, coprendomi ogni anno manco mille euro di spese sanitarie), io che mi ritrovo colossali cartelle Equitalia per banali multe cresciute a ritmo esponenziale con interessi da strozzini di Stato, io che come tutti sconto i disservizi pubblici ogni giorno, perché dovrei essere solidale, e con chi, per che cosa? C’è una ragione morale e ideale, politica o sociale per farlo? No, c’è solo la forza dello Stato che me lo impone, più il fatalismo cosmico della paura unita alla rassegnazione, di vivere una catastrofe mondiale come un evento naturale o soprannaturale, indipendente dalla volontà umana e politica. La Borsa è la vita.
Mi fermo qui e come vedete non tiro neanche in ballo la solita questione dei costi esagerati della politica, della necessità di dimezzare il personale politico e dunque le relative spese. Insomma, un Paese così stressato e tassato, ha un dramma in più, pratico ed esistenziale: non è motivato a fare sacrifici, deve solo convincersi che se non offre i suoi beni al Minotauro, lui ti mangia vivo.
Può bastare la paura per motivare un Paese a sacrificarsi, a reagire e ad andare avanti? Non credo. Oltre la paura e la necessità, dateci una ragione, una sola, buona ragione per crederci e nutrire qualche fiducia. Perché non basta farlo, bisogna pure un po’ crederci.
(di Marcello Veneziani)
Atto primo. Io pago ma mi chiedo: servirà? Basterà quest'altro sacrificio o siamo di fronte a un pozzo senza fondo? La prima obiezione degli italiani è sull’efficacia della manovra e dei suoi effetti. Come versare acqua in una bottiglia senza fondo. La percezione che di qui a non molto ci diranno che la situazione resta comunque critica e che non sono bastati i sacrifici. Anche se ci dimezzano i servizi e ci raddoppiano gli oneri, usciremo davvero dalla crisi?
Atto secondo: io pago ma saranno in grado di gestire questa feroce manovra? Il secondo dubbio è sull’inadeguatezza assoluta della nostra classe dirigente, non solo quella di governo e di centro-destra, a gestire la straordinaria amministrazione. Vedi lo spettacolo di questi giorni, risali alle biografie e ai precedenti, soppesi la loro credibilità ed efficacia e ti prende lo sconforto. C’è chi invoca nuovi invasori, anche marziani, per mettere a posto le cose, e chi sottovoce evoca dittature a tempo, tanta è la disperazione; o il contrario, l’anarchia assoluta, il Far West dove ognuno si salvi come può. Ma con le crisi politiche sempre in agguato, con il baratro che si apre dopo Berlusconi, in che mani finirà questo sacrificio di popolo?
Atto terzo: io pago ma cambierà la situazione se a gestire la crisi internazionale saranno gli stessi che ci hanno portato nel baratro o non hanno saputo evitarlo? Se gli assetti mondiali e interni restano immutati, se i mercati dettano legge assoluta, se l’America ha quel debito mostruoso con i cinesi, se l’Europa è una fetecchia intorno all'euro, se la politica non ha l’autorevolezza per bilanciare l’economia, come si può pretendere che, restando invariati equilibri, squilibri e protagonisti, si possa davvero uscire dalla crisi?
Atto quarto, ad personam. Io pago - ed è solo un esempio che conosco da vicino ma ciascuno sostituisca quest'atto di dolore con il suo personale - e pago già le tasse, ho redditi alla luce del sole, subisco fior di trattenute inique e obbligatorie di ogni genere, pago assegni non dovuti per obbligo di legge, pago anche per assistenze che non vorrei avere (c’è una cassa di previdenza obbligatoria che mi succhia 15mila euro l’anno e mi chiede pure contributi straordinari, coprendomi ogni anno manco mille euro di spese sanitarie), io che mi ritrovo colossali cartelle Equitalia per banali multe cresciute a ritmo esponenziale con interessi da strozzini di Stato, io che come tutti sconto i disservizi pubblici ogni giorno, perché dovrei essere solidale, e con chi, per che cosa? C’è una ragione morale e ideale, politica o sociale per farlo? No, c’è solo la forza dello Stato che me lo impone, più il fatalismo cosmico della paura unita alla rassegnazione, di vivere una catastrofe mondiale come un evento naturale o soprannaturale, indipendente dalla volontà umana e politica. La Borsa è la vita.
Mi fermo qui e come vedete non tiro neanche in ballo la solita questione dei costi esagerati della politica, della necessità di dimezzare il personale politico e dunque le relative spese. Insomma, un Paese così stressato e tassato, ha un dramma in più, pratico ed esistenziale: non è motivato a fare sacrifici, deve solo convincersi che se non offre i suoi beni al Minotauro, lui ti mangia vivo.
Può bastare la paura per motivare un Paese a sacrificarsi, a reagire e ad andare avanti? Non credo. Oltre la paura e la necessità, dateci una ragione, una sola, buona ragione per crederci e nutrire qualche fiducia. Perché non basta farlo, bisogna pure un po’ crederci.
(di Marcello Veneziani)
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