Mai scrittori furono così presenti nel loro tempo, eppure così inadatti a esso, sempre irrimediabilmente in anticipo e sempre terribilmente in ritardo, rivoluzionari nello stile, ma conservatori nei costumi, reazionari per indole, ma progressisti nello spirito, appassionati di politica, ma incapaci di essere al servizio di altro che non fosse loro stessi... Testimone della fine di un mondo, di un cambiamento epocale che è poi all'origine della modernità, Chateaubriand attraversa Ancien Régime, Rivoluzione, restaurazione inseguendo una fedeltà individuale e di carattere che sfugga alle contingenze e non sia preda dei compromessi. Sismografo sensibilissimo degli umori e delle passioni che lo circondano, cerca di dare loro una forma e un senso che vadano di là dal momento, dagli schieramenti, dalle alleanze. Megalomane in un tempo di giganti, non si rassegna alla mediocrità, pubblica e privata, che di quelli prende il posto, crede solo nella grandiosità, individuale e collettiva. Ancora oggi la sua è una lezione di straordinaria attualità per chi voglia navigare a vista, non avendo più una bussola ideologica cui fare riferimento, fra i relitti del vecchio che scompare e i contorni del nuovo che fatica ad apparire, fra ciò che si era e ciò che si sarà, salvando il salvabile, osando qualche volta l'inosabile. Nelle transizioni, chi non si adegua è apparentemente lo sconfitto, ma, come insegna Chateaubriand, «l'orgoglio della vittoria mi è insopportabile».
Antimoderno è la definizione che meglio lo comprende e che naturalmente non ha niente a che vedere con l'etichetta di reazionari, conservatori, accademici, codini che negli ultimi due secoli ha colpito indiscriminatamente tutti quelli che non si facevano cantori della modernità.
Gli antimoderni sono un'altra cosa, siamo un'altra cosa. Non gli avversari del moderno, ma i suoi teorici, quelli che lo hanno pensato, gli emigrati dell'interno, gli «esuli in patria». E dunque i moderni loro malgrado, la retroguardia dell'avanguardia, i vitalisti disperati, i pessimisti attivi, la modernità più la libertà. Di criticarla. E naturalmente gli antimoderni sono, siamo, impolitici, ovvero tendono a subordinare la categoria del Politico a elementi estetici ed etici; quasi sempre stanno dalla parte degli sconfitti e quando gli capita di sedersi fra i vincitori è sempre per una causa che, come noterà l'autore delle Memorie d'oltretomba, «una volta portata al successo mi si rivolterà contro». Di estrazione nobiliare, Chateaubriand visse la Rivoluzione francese lacerato da un'insanabile contraddizione, tipica di chi è comunque “altrove” rispetto al proprio tempo. Da un lato l'assolutismo monarchico aveva finito con il privare di ogni contropotere l'aristocrazia del regno, riducendola a pura etichetta costretta a recitare a Versailles la realtà del cortigiano. Ciò spiega perché l'elemento nobiliare più avvertito dei rischi di una simile involuzione e più attaccato alla propria dignità perduta, vedesse positivamente la convocazione degli Stati Generali, cogliendovi l'opportunità di meglio bilanciare i poteri con un ritorno alle libertà. Dall'altro lato, la deriva egualitaria, l'istinto di rivalsa, il desiderio di fare tabula rasa del passato accelerarono talmente i tempi che il regicidio di Luigi XVI mise improvvisamente l'intera nobiltà, la più retriva e codina come la più avvertita e liberale e la più corrotta e cinica, nell'alternativa fra il sostenere il nuovo che al vecchio si sostituiva, ma così facendo rinnegare se stessa, oppure rifiutarlo, ma con ciò condannandosi a una battaglia di retroguardia.
Lo scegliere la seconda strada porterà Chateaubriand a far parte dell'emigrazione, e quindi dell'esilio, e alla lotta contro la Rivoluzione. Una scelta fatta in nome della fedeltà a un mondo, a una parola data, a uno stile di vita, a se stesso, insomma, nella consapevolezza però di ritrovarsi alleato agli elementi più deteriori, più ottusi e meno moderni della propria classe sociale, quegli stessi elementi che nell'accettare di appiattirsi supinamente sulla corona erano poi stati una delle cause del tracollo della stessa.
(di Stenio Solinas)
Antimoderno è la definizione che meglio lo comprende e che naturalmente non ha niente a che vedere con l'etichetta di reazionari, conservatori, accademici, codini che negli ultimi due secoli ha colpito indiscriminatamente tutti quelli che non si facevano cantori della modernità.
Gli antimoderni sono un'altra cosa, siamo un'altra cosa. Non gli avversari del moderno, ma i suoi teorici, quelli che lo hanno pensato, gli emigrati dell'interno, gli «esuli in patria». E dunque i moderni loro malgrado, la retroguardia dell'avanguardia, i vitalisti disperati, i pessimisti attivi, la modernità più la libertà. Di criticarla. E naturalmente gli antimoderni sono, siamo, impolitici, ovvero tendono a subordinare la categoria del Politico a elementi estetici ed etici; quasi sempre stanno dalla parte degli sconfitti e quando gli capita di sedersi fra i vincitori è sempre per una causa che, come noterà l'autore delle Memorie d'oltretomba, «una volta portata al successo mi si rivolterà contro». Di estrazione nobiliare, Chateaubriand visse la Rivoluzione francese lacerato da un'insanabile contraddizione, tipica di chi è comunque “altrove” rispetto al proprio tempo. Da un lato l'assolutismo monarchico aveva finito con il privare di ogni contropotere l'aristocrazia del regno, riducendola a pura etichetta costretta a recitare a Versailles la realtà del cortigiano. Ciò spiega perché l'elemento nobiliare più avvertito dei rischi di una simile involuzione e più attaccato alla propria dignità perduta, vedesse positivamente la convocazione degli Stati Generali, cogliendovi l'opportunità di meglio bilanciare i poteri con un ritorno alle libertà. Dall'altro lato, la deriva egualitaria, l'istinto di rivalsa, il desiderio di fare tabula rasa del passato accelerarono talmente i tempi che il regicidio di Luigi XVI mise improvvisamente l'intera nobiltà, la più retriva e codina come la più avvertita e liberale e la più corrotta e cinica, nell'alternativa fra il sostenere il nuovo che al vecchio si sostituiva, ma così facendo rinnegare se stessa, oppure rifiutarlo, ma con ciò condannandosi a una battaglia di retroguardia.
Lo scegliere la seconda strada porterà Chateaubriand a far parte dell'emigrazione, e quindi dell'esilio, e alla lotta contro la Rivoluzione. Una scelta fatta in nome della fedeltà a un mondo, a una parola data, a uno stile di vita, a se stesso, insomma, nella consapevolezza però di ritrovarsi alleato agli elementi più deteriori, più ottusi e meno moderni della propria classe sociale, quegli stessi elementi che nell'accettare di appiattirsi supinamente sulla corona erano poi stati una delle cause del tracollo della stessa.
(di Stenio Solinas)
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