Pietrangelo Buttafuoco è una di quelle persone, scrivessimo intellettuali forse non gli piacerebbe, che non ama cantare in coro. Una di quelle (poche) che è molto difficile rinchiudere nelle scatole, sempre così strette, dell’ideologia. Il suo modo di fare il giornalista, lo scrittore, e se del caso il conduttore di programmi televisivi, è caratterizzato dal pensare molto senza mai pensarsi troppo addosso. È più facile in fondo definirlo in negativo a partire da quello che Buttafuoco non è. Deve essersene accorto anche lui, magari in modo subliminale, a giudicare dal titolo che ha scelto per la trasmissione con cui da oggi andrà in onda - per 15 mercoledì alle 22 e 45 - su Rai5: Questa non è una pipa.
Nessun talk-show piuttosto uno spazio sospeso tra il teatro e la sociologia per ridefinire (anche con l’aiuto di Salvatore Sottile l’ex portavoce di Gianfranco Fini) quegli oggetti feticcio che caratterizzano la nostra società. Insomma quella che se fosse virata a sinistra verrebbe immediatamente chiamata televisione «alta».
Buttafuoco, perché una trasmissione che gioca con il titolo di un quadro di René Magritte?
«Il titolo l’ho scelto perché spiega tutto. Nel senso che ogni singolo oggetto ha decine di significati sui cui noi non ci fermiamo mai a pensare. La Coca-Cola non è una bibita è il racconto di un mondo, di un progetto politico e tecnico, di un’idea universale. Il Viagra non è solo il modo di mantenere un erezione è un cambiamento del costume della sessualità dei rapporti tra essere umani... Eppure sono cose a cui raramente pensiamo, eppure ci consentono di fare un accattivante dizionario della modernità».
Ma perché abbiamo così tanti totem?
«Per Carlo Marx il materialismo scientifico era una teoria, per noi è diventato realtà... il nostro orizzonte è tutto mondano e terreno, gli oggetti hanno assunto un ruolo fondamentale, hanno sostituito le divinità, ci raccontano meglio di qualsiasi altra cosa... Ecco noi raccontiamo quindici di questi feticci che raccontano lo spirito del tempo».
E come li raccontate?
«Con una trasmissione a costo bassissimo e assolutamente artigianale, novemila euro a puntata, lo stile è quasi teatrale... E soprattutto mi sono divertito a fare una cosa molto heideggeriana raccogliendo il chiacchiericcio della gente... niente talk show ma chiacchiericcio vero a cui poi abbiamo accostato delle voci importanti. Insomma c’è il popolare e non il populista. C’è una fatica di analisi antropologica, persino politico...».
Ecco a proposito di Talk Show... Ma in un momento in cui la Tv generalista è in crisi e c’è un grande spazio «vuoto», soprattutto in Rai, perché la sua trasmissione va su Rai5. Rete molto colta ma non certo ammiraglia...
«Uno spazio sulle televisioni generaliste un programma come questo non l’avrà mai, perché la televisione ha un’impostazione “de sinistra” fuori da quei canoni non accetta nulla... Non fanno entrare nessuno che non sia della solita congrega e non è un problema solo dalla Rai. Tutto ciò che è stravagante, alieno ai salotti romani non è accettabile. E spesso sono i moderati stessi che si appiattiscono di più su questo canone. Il berlusconismo non ha portato una vera rivoluzione in questo senso. C’è una schiavitù intellettuale... Io pago un pregiudizio di area chi mi da spazio come qui a Rai5 è sempre qualcuno di eccentrico, come Pasquale D’Alessandro e Massimo Ferrario».
E allora Santoro?
«Santoro è un furbo meraviglioso è un grande professionista, persino un grande attore, un capocomico... Alla destra ha fatto un favore lanciando molti dei suoi personaggi. Forse per avere dei bei programmi di destra allora dobbiamo aspettare di avere un governo di sinistra. Per ora è tutto così ministeriale vecchio... Ma se la ricorda la fiction su Giovanni Paolo II? L’hanno trasformato in un capo partigiano... I moderati soffrono di sudditanza intellettuale. Molto meglio parlare con Carlo Freccero».
E la trasmissione «In onda» di Telese e Porro su La7?
«Mi hanno chiesto dei monologhi il primo è andato in onda domenica, li faccio da CasaPound, ovviamente una cosa così sarebbe impossibile per la Rai...».
Perché da CasaPound?
«Perché è casa mia...».
(di Matteo Sacchi)
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