Quel che è venuto in evidenza nel corso della formazione del governo Monti è stato l'eccezionalità del contesto e della soluzione adottata. Perciò è facile, per chi abbia dimestichezza con la dottrina schmittiana, riconoscere che il tema della sovranità si lega strettamente a ciò che è accaduto, anche al di là della volontà dei protagonisti, ed in particolare del protagonista assoluto, il presidente della Repubblica. Non so se Napolitano si sia reso conto che egli ha dato respiro politico ad un assunto rimasto sepolto nei cassetti dei politologi per decenni, implicitamente riconoscendo che "sovrano è chi decide sullo stato d'eccezione". Lo affermava perentoriamente Schmitt nello scintillante e profetico "Teologia politica" (1922) spiegando che un tale "stato" è quello non descritto, non previsto nell'ordinamento giuridico, dal quale si crea una situazione "normale", ricondotta cioè in un alveo nel quale si riconoscono tutti e ne prendono contezza. Sovrano, perciò, è colui che decide in maniera definitiva, perfino forzando le prassi costituzionali senza tuttavia stravolgerne le norme, se lo stato di normalità si è ristabilito al fine di non far deflagare in conflitti incontrollabili le posizioni contrapposte. "Il caso d'eccezione - scrive - rende palese nel modo più chiaro l'essenza dell'autorità statale".
La Costituzione repubblicana non ammette e non vieta che il presidente della Repubblica riconosca lo "stato d'eccezione" e si regoli di conseguenza ancor prima di aver ottenuto la legittimazione delle forze politiche, in costanza di un sistema democratico parlamentare, al suo operato. È quanto ha fatto Napolitano, operando scelte che hanno portato alla costituzione di governo autenticamente politico, a prescindere dalla sanzione partitica che ha avuto con la fiducia delle Camere. Il disordine economico-finanziario che ha condotto l'Italia sul baratro della dissoluzione sociale e statuale esigeva una decisione. E tale è stato il conferimento dell'incarico ad un signore che non è stato eletto, ma giudicato evidentemente idoneo a fronteggiare la crisi. Al decisionismo è connessa la dicotomia schmittiana amico-nemico che designa il primato della politica a fronte di altri domini. Il nemico, come una certa vulgata ha erroneamente tentato di accreditare, non è l'inimicus (quello privato per intenderci), ma l'hostis (il nemico pubblico per eccellenza) contro il quale è obbligatorio dispiegare la massima potestà a difesa della comunità sotto attacco.
Nel nostro caso la guerra per fortuna non c'entra, tuttavia è suggestivo aver rappresentato lo spread e gli speculatori come i nuovi soggetti bellici ai quali è obbligatorio contrapporsi con tutti i metodi al fine di difendere gli interessi minacciati e la democrazia posta sotto tutela proprio dai mercati, quelli che secondo George Soros, a differenza dei cittadini, "votano tutti i giorni" e non si attardano attorno ai bizantinismi per sferrare attacchi micidiali. Schmitt non si è fermato sulla soglia del Quirinale. Egli lo penetrato spiritualmente e chi lo ha accolto certamente non se n'è reso conto, ma si sa le idee si posano dove vogliono e quando vogliono. E quindi perfino la nozione incarnata di Custode della Costituzione, riferita al presidente della Repubblica, ha una sua giustificazione alla luce della teoria del giurista che così suggestivamente titolò un celeberrimo saggio nel 1929.
L'esordio merita di essere citato poiché il clima che evoca è prossimo alle vicende che viviamo. "La richiesta di un custode e difensore della Costituzione è per lo più indizio di condizioni costituzionali critiche". Infatti, argomenta Schmitt, i progetti intorno ad una simile figura furono elaborati per la prima volta dopo la morte di Cromwell, vale a dire "in un'epoca di disgregazione in politica interna del governo repubblicano, al cospetto di un Parlamento incapace di effettive decisioni ed immediatamente prima della restaurazione della monarchia".
Al caos istituzionale e civile si rispose con il "difensore della libertà" o della Costituzione. "Si era allora, nel sentimento della sicurezza politica e del benessere, tacciata come 'politica', e con ciò liquidata, la semplice richiesta di un custode della Costituzione". Le assonanze con il nostro tempo non sono difficili da cogliere. Se anche noi abbiamo bisogno di un Custode della Costituzione, che non agisca soltanto nell'immaginario collettivo soltanto quando le crisi di legalità e di legittimità si fanno più acute, è necessario che una tale figura, incarnata nel capo dello Stato, cioè nel "decisore" (per le ragioni esposte sopra), non sia il frutto dell'improvvisazione di un momento eccezionale, ma costituisca il riferimento permanente di una comunità che voglia sostenersi nelle frequenti convulsioni generate da "inimicizie" esterne, economico-finanziarie, e non solo, tali da provocare il collasso sociale e l'usurpazione dei diritti democratici da parte di poteri che abitualmente agiscono nell'ombra. Ragion per cui, costituzionalizzare ciò che ha fatto Napolitano nelle ultime settimane, dando vita - e lo scrivo con rispetto istituzionale e culturale - ad una sorta di presidenzialismo non esplicitato, come pure ha osservato il direttore Mario Sechi, ritengo sia indispensabile.
Ecco che Schmitt ritorna. Con l'idealtypus del decisore, ripreso negli anni Ottanta da Gianfranco Miglio, maestro di generazioni di studiosi di scienza della politica ed in particolare del neo-ministro della Cultura Lorenzo Ornaghi, che scriveva: "Se in un regime elettivo-rappresentativo, si vuole (e non si può non volerlo) un supremo potere decisionale (cioè un Governo) sottratto alle pressioni ed ai ricatti degli interessi frazionali organizzati, la via obbligatoria è costituita dall'elezione diretta del suo titolare da parte del popolo". Il cerchio si chiude. La politica torna sovrana. E Schmitt e Miglio possono sorridere assistendo alla vittoria del realismo sulle querelles populiste.
(di Gennaro Malgieri)
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