Crollino le economie, si mettano all'asta intere nazioni, periscano i popoli; ma non si osi mettere in discussione il dogma.
La dottrina contenuta nei sacri testi di Adam Smith - che ha abolito i dazi doganali (mettendo in competizione i nostri salari con quelli cinesi); che ha soppresso qualsiasi limite e freno alla circolazione mondiale del capitale finanziario (regalando un immenso potere alla pura speculazione); che punta a smantellare la più piccola parvenza di stato sociale (i lavoratori la smettano di difendere il proprio salario, si adeguino al libero mercato); che teorizza il divieto assoluto di intervento nell'economia da parte dei governi (sostituiti nelle proprie prerogative dalle banche e dalla loro mano invisibile) - non è una teoria, ma un atto di malafede.
È la fine del miraggio, le illusioni cedono il passo alla realtà. L'Europa benigna che dispensava mutui a basso costo, prestiti a interessi irrisori, crediti facili sta mostrando il suo vero volto. Miseria, sfruttamento e schiavitù i suoi frutti avvelenati. Riacquista vigore la domanda proibita: “Conviene restare in questa Europa? Per cosa abbiamo ceduto la nostra sovranità?”.
Come scrive Maurizio Blondet, i vantaggi essenzialmente consistevano nella “possibilità di indebitarsi a tassi 'tedeschi', ossia bassi”. E nel nostro Paese “ne hanno profittato i politici d’ogni livello, comunali, regionali, statali, per indebitarci ancora di più”, mentre alla Spagna il basso costo del denaro “ha regalato una bolla immobiliare che affonda le sue banche, strapiene di immobili pignorati e invenduti”. “Magari - continua - ci abbiamo guadagnato un po' anche come famiglie, accendendo mutui per comprare appartamenti”, ma in ogni caso questi tempi sono finiti. Terminati per sempre: lo spread è lì a ricordarcelo.
È urgente prendere coscienza dello stato delle cose, perché - sia chiaro - se continuiamo con le amorevoli cure somministrateci dall'eurocrazia (gli enormi e iniqui sacrifici, le tasse ed i tributi palesi ed occulti, la distruzione del welfare) il nostro destino sarà quello greco. È necessario interrogarsi, rimettersi a pensare (immane fatica alla quale non siamo più abituati) senza tabù e censure.
Occorre comprendere che non ha senso svenarsi per decenni con l'unico fine di pagare i creditori. Non ha senso mortificare intere nazioni per qualche generazione solo per servire gli interessi sui prestiti. Non ha senso deprimere la nostra economia e le nostre vite unicamente perché ce lo impone il Pensiero Unico globalista.
Una riduzione massiccia dei debiti sovrani è inevitabile,“non c’è altra soluzione, dati i livelli d’indebitamento raggiunti, e i veti germanici imposti alla Banca Centrale”. Nessuna austerità e rigore otterrà mai alcun risultato. Disoccupati e suicidi non pagano le tasse.
Intendiamoci, ristrutturare il debito non è una passeggiata, non è un colpo di bacchetta magica che risolve d'incanto tutti i problemi. Ma è forse la soluzione meno peggiore.
A sentire l'economista Henri Regnault dell'università di Pau (in Francia almeno si pongono ancora domande), si tratterebbe di “passare a un debito amministrato dal debitore anzichè ad un debito gestito dai mercati strutturalmente inefficienti”. Il docente francese ha studiato a fondo la questione del ripudio controllato e gestito del debito, invece dei vani tentativi di scongiurare l'inevitabile crollo catastrofico e disordinato.
Prima di tutto, ha tentato di dare una risposta al quesito preliminare su quali siano le condizioni nelle quali ad uno Stato conviene fare default senza subire troppi contraccolpi. Per una domanda così censurata, la risposta è banale: quando può fare a meno dei suoi creditori. E quando può fare a meno dei suoi creditori? Regnault risponde: “Quando gli introiti (fiscali) dello Stato coprono le sue spese, al di fuori di quelle dovute per il rimborso del debito e il pagamento degli interessi. Dunque a condizione che il saldo primario delle finanze pubbliche sia nullo o positivo, in altre parole quando non ha bisogno di prendere a prestito se non per onorare il servizio del suo debito”.
Ribadiamo l'ultimo concetto: quando non ha bisogno di prendere a prestito se non per onorare il servizio del suo debito.
Dunque si tratta di capire ora se il nostro e gli altri paesi europei rispettano queste condizioni. Sicuramente l'Italia (con le sue caste statali inadempienti e fancazziste, con la sua enorme spesa pubblica che si configura in sostanza come vero e proprio assistenzialismo di stato, con i suoi enormi sprechi) presenterà un saldo primario negativo, costretta dunque a rivolgersi agli usurai anche per fronteggiare le spese correnti. E invece, sorpresa, non è così.
Il docente universitario dimostra, dati alla mano, come “in termini di attivo primario l'Europa è molto più virtuosa di Giappone, Regno Unito e Stati Uniti”, avanzando il sospetto - molto fondato - che “tutto il bailamme attorno al debito europeo è largamente un’esagerazione fabbricata di sana pianta dagli apprendisti stregoni anglosassoni, per tentare di canalizzare i flussi finanziari mondiali verso il proprio indebitamento, molto più problematico”. Dunque Regnault ci sta dicendo in sostanza che l'intera Eurozona nel suo insieme non si indebita per finanziare le spese correnti.
Ma si spinge ancora oltre. Del resto un dato aggregato potrebbe mascherare le forti disparità esistenti all'interno del vecchio continente, tra un Nord virtuoso ed un Sud parassita. Ma ancora una volta questa tesi così propagandata è smentita dai fatti. L'Italia vanta un avanzo primario (in percentuale rispetto al PIL) addirittura maggiore della Germania (0,6% dei tedeschi contro il 3,3% di noi italici spreconi). Anche la Spagna è in attivo (0,5%), mentre è in leggero disavanzo la Francia (-0,6%)*.
Ricapitolando, quindi, le entrate dello Stato italiano superano le sue spese del 3,3%. Solo dopo aver servito il debito, andiamo in passivo. Dunque, scrive Blondet, “scopriamo che proprio a noi conviene ripudiare il debito, sovranamente e ragionevolmente”. Non abbiamo bisogno dei creditori per sopravvivere. Tutto il terrorismo delle sorelle del rating è solo una truffa condotta per lucrare sulla nostra pelle, ingigantita dai veti di Berlino.
Ovviamente, continua il direttore di EffeDiEffe, il fatto che all'Italia convenga ripudiare parzialmente il debito, non vuol dire che debba farlo. Non significa che sia una soluzione politicamente o socialmente facile: sarebbe più semplice “monetizzare” il debito, ossia costringere la BCE a comprare direttamente i nostri BOT, CCT e BTP a interessi bassi. Il che sembra anche ragionevole, visto il contorto meccanismo attualmente messo in piedi dal suo presidente, il nostro connazionale Mario Draghi, che presta miliardi di euro alle banche al tasso ridicolo dell'1% con la speranza che queste poi comprino i titoli degli stati più indebitati reclamando interessi del 5-6%, realizzandoci sopra grassi profitti. Forse sarebbe più economico ed intellettualmente onesto se la Banca Centrale Europea prestasse denaro direttamente agli stati al tasso dell'1%, evitando loro di andare sui mercati ad implorare prestiti offrendo il 6%, e rischiando con ciò la bancarotta.
Ma la Germania imperterrita continua ad opporre i suoi nein.
Monetizzazione? Nein!
Aiuti diretti agli stati? Nein!
Eurobonds? Nein!
E allora il default è l'ultima carta da giocare. Inevitabile, come spiega Regnault, “trarre le conseguenze dall'impossibilità di onorare integralmente gli impegni dei contratti di prestito” e soprattutto farlo presto, “senza attendere devastazioni irreparabili”. Prima che l'austerità, il rigore, l'iper-tassazione e l'amministrazione controllata dei gestori eurocratici soffochino completamente le nostre economie. Prima che i solerti burocrati del liberismo mondiale prosciughino il patrimonio privato e il risparmio delle famiglie. Prima che la disoccupazione inghiotta del tutto i nostri giovani nella sua morsa paralizzante. Prima che si arrivi comunque, dopo tutto questo, a rendersi conto dell'insostenibilità del debito.
Il default, se gestito con intelligenza (questo solleva la domanda: da chi?), ci permetterebbe di scegliere: ad esempio potremmo rifiutarci di pagare i creditori esteri e continuare invece ad onorare gli impegni presi con i piccoli creditori italiani; si potrebbe ripudiare del tutto il debito vecchio, ossia quello dove il creditore ha ormai lucrato in interessi più del capitale a suo tempo investito; si potrebbero nazionalizzare le banche strapiene di BOT e salvaguardare i correntisti.
È probabile, anzi sicuro, che qualcuno ci rimetterà, che saranno tempi duri (comunque ineluttabili), soprattutto all'inizio. Ma il Paese guadagnerà un futuro, o almeno la speranza in un futuro, oggi completamente e tragicamente negata.
(di Antonio Schiavone)
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