venerdì 17 febbraio 2012

Tiziana Parenti: «Quei fondi dall’Est su cui non si indagò»


Tziana Parenti, ovvero Titti la Rossa, quella delle tangenti al Pci mai provate, oggi fa l’avvocato a Roma con studio a Trastevere. Venti anni dopo Tangentopoli va col ricordo a quella primavera del ’94, a una fase che segnò la fine di Manipulite. «Berlusconi aveva vinto le elezioni. Stava formando il governo e io ero appena stata eletta deputata con Forza Italia. Correva voce che volesse Antonio Di Pietro a capo della Polizia. Io andai a dirgli che era un errore».

Ma non lo voleva ministro dell’Interno?

Fra noi correva quest’altra voce e ne parlai con Berlusconi. Che non smentì, anzi si arrabbiò. L’uomo, un po’ come i comunisti, non ama esser contraddetto.

Invece lei...

Gli dissi che non era un bel segnale. Lui evidentemente pensava invece che fosse importante in termini di immagine. Mi rispose seccato: «Guardi che non ho nemmeno un’inchiesta». «Ma ore ne arriveranno a decine, vedrà», gli risposi. E fui facile profeta.

Vuol dire che fino alla discesa in campo non c’era ancora traccia di scontro fra Procura milanese e Berlusconi?

Ricordo i giornalisti di Fininvest che venivano a prendere le veline e come si arrabbiavano quando non gliele davano. Ma le telecamere fisse davanti alla Procura dalle reti di Berlusconi le ricordano tutti. Non era una vera direttiva, ma c’era il chiaro orientamento a risparmiare, da un lato le aziende di Berlusconi e dall’altro l’ex Pci. Perché potevano essere utili una copertura mediatica e politica.

Ma sul Pci risparmiato accusano lei. Perché la scelsero?

Ho un sospetto: siccome nel mio profilo avevo dovuto dichiarare la mia passata iscrizione al Pci per tre anni, per come sono andate poi le cose potrebbero aver pensato a me - che avevo chiesto di essere collocata alla Dda - perché avevo il curriculum giusto per archiviare.

Ma che cosa le ha impedito di andare a fondo sulle tangenti all’ex Pci? Quella rogatoria mai arrivata sui 600 milioni versati da Panzavolta sul conto “Gabbietta” di Primo Greganti alla Banca di Lugano?

Che fossero fondi per il Pci è chiaro, già la sola contestualità con i versamenti di tangenti agli altri partiti lo dimostra. Ma era solo un filone, c’era da indagare sulle coop rosse, e soprattutto sui fondi arrivati attraverso la Germania dell’Est.

Di questo non si è saputo niente.

C’era uno scatolone alto così, pieno zeppo di attestazioni bancarie, ma andavano tradotte dal tedesco. Lei pensa sia facile farsi raccontare la provenienza dalle banche della Germania dell’Est?

Poi si è dimessa da pm...

E mi risulta che non ci abbia pensato più nessuno.

Ma perché lasciò?

D’Ambrosio mi disse che l’inchiesta sul Pci era un «vagone staccato». Credo, in realtà, che non si volesse andare a fondo.

Ma Greganti nega e ha dimostrato che quei soldi gli servirono a comprare un appartamento.

E lei ci crede?

Su Berlusconi comunque hanno recuperato con gli interessi...

Da leader politico è diventato un bersaglio, ma credo abbia inciso anche quell’offerta fatta da lui a Di Pietro che, sebbene non andò in porto, indispettì parte della Procura, nel frattempo spaccatasi proprio sulla scelta politica del loro ex collega. Il risultato è che i due filoni risparmiati dalle prime inchieste di Manipulite hanno caratterizzato questo ventennio inconcludente.

Berlusconi e i comunisti...

Si sono fatti la guerra ma erano d’accordo a non fare le riforme, tanto che ora sono stati commissariati dai tecnici. E la corruzione impazza più di prima.

Ha mai visto ai suoi tempi 13 milioni spariti ad opera di un tesoriere?

No, assolutamente. E infatti oggi è peggio. Da avvocato ora mi occupo di un caso che va avanti da sei anni, una compravendita di esami a Roma 3 e alla Sapienza. La corruzione impazza, neanche più con coperture ideologiche. Ovunque ci sia un potere da gestire e un do ut des da utilizzare.

(di Angelo Picariello)

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