Il 28 agosto il Corriere della Sera titolava così un articolo di Guido Olimpio: “I talebani decapitano 17 persone a una festa da ballo”. Olimpio, che scrive da Washington, riprendeva notizie del Dipartimento di Stato americano.
I talebani, nella ricostruzione di Olimpio, avrebbero compiuto la strage perché, nel loro fanatico integralismo, non tollerano feste da ballo, tanto più se notturne o sull’onda di ritmi occidentali, come pare fosse quella. Poi nel corso delle ore e dei giorni successivi le notizie sono andate man mano mutando fino a diventare di segno opposto.
Prima il portavoce del governatore locale (la strage è avvenuta a Kaiaki, nel sud del Paese), Doud Armadi, precisava che le vittime non erano state decapitate, ma sgozzate, e questo naturalmente è un dettaglio. Poi, che l’operazione non aveva alcun intento moralizzatore, ma al contrario era una disputa tra due mullah talebani per contendersi delle donne. Nel frattempo Oari Yusuf Amadi, da anni il principale portavoce del Mullah Omar, considerato molto attendibile dagli stessi inviati occidentali, smentiva qualsiasi coinvolgimento talebano nella faccenda. Infine è saltato fuori che si è trattato di un regolamento di conti fra due capi tribali in funzione anti talebana. Scrive, dal campo, Fausto Biloslavo: “Con la ritirata degli occidentali diverse tribù si stanno riarmando per contrastare i talebani pronti a dilagare”.
Non riferisco questo episodio semplicemente per segnalare l’ennesima operazione di ‘disinformazia’ occidentale, per cui qualsiasi misfatto accada in Afghanistan è sempre colpa dei talebani, il che serve per giustificare una presenza militare che non ha più alcuna ragion d’essere, se mai ne ha avuta una, ma per dire quale disastro abbiamo combinato in quel Paese con la pretesa di aiutarlo a “trovare la via della civiltà” (la nostra).
Non solo lo abbiamo distrutto economicamente, socialmente, moralmente, non solo abbiamo contribuito a portare la produzione di oppio da zero, o quasi, cui l’aveva ridotta il Mullah Omar, al 93% di quella mondiale, ma stiamo riportando indietro l’orologio della storia afghana di una ventina di anni.
Nella loro strepitosa avanzata del ’94-’96 e poi al governo del Paese, i talebani di Omar avevano ottenuto, tra gli altri, questi risultati: 1) avevano cacciato dal Paese i più importanti ‘signori della guerra’ (Dostum, Heckmatyar, Ismail Khan) mafiosi, prepotenti, assassini e stupratori (rimaneva, rinchiuso nel Panshir, il solo Massud foraggiato da Iran e Russia); 2) avevano eliminato, con metodi spicci, le bande di predoni che infestavano il Paese; 3) avevano disarmato la popolazione e costretto i capi tribali, anch’essi privati delle armi, a uniformarsi a un’unica legge che sostituiva l’arbitrio dei potentati feudali, grandi e piccoli. Insomma avevano unificato l’Afghanistan e, per quanto possa sembrare paradossale, ne stavano eliminando la struttura feudale.
Con l’occupazione occidentale, l’Afghanistan è riprecipitato nel caos e, al ritiro delle truppe straniere, è pronto per una nuova guerra civile: fra i talebani, indeboliti da undici anni di eroica resistenza agli invasori, l’esercito del fantoccio Karzai che, per quanto pronto a sfaldarsi, è stato potentemente armato dagli americani, i vecchi ‘signori della guerra’ rimasti su piazza (Ismail Khan, Dostum e lo stesso Heckmatyar che per ora è alleato del Mullah Omar contro gli stranieri ma che, a partita riaperta, tornerà a giocare per conto suo) e i signorotti feudali a cui il Mullah aveva tagliato le unghie.
(di Massimo Fini)
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