La notizia ha il crisma dell’ufficialità in quanto comunicata al Parlamento dal ministero dell’Interno: la procura di Bologna, nell’ambito dell’inchiesta sulla Strage di Bologna, sta indagando su un misterioso viaggio a Roma nel novembre 1981 del palestinese Abu Anzeh Saleh, uomo di riferimento in Italia dei guerriglieri marxisti del Fplp e del superterrorista Carlos.
Un viaggio inquietante, considerando che Saleh era agli arresti domiciliari a Bologna e che fu necessaria un’autorizzazione specifica della magistratura dell’Aquila (il palestinese era stato arrestato per l’indagine sui missili palestinesi sequestrati a Ortona). E siccome all’Aquila non erano tanto d’accordo, si mosse da Bologna il giudice Aldo Gentile, che scrisse ai colleghi abruzzesi spiegando che la deroga ai domiciliari era «necessaria» alle sue indagini sulla bomba alla stazione.
Sono passati 32 anni da quella strage, eppure le indagini della magistratura bolognese vanno avanti. E siccome ci sono dei condannati a pena definitiva (i neofascisti Giusva Fioravanti e Francesca Mambro), come si sa, ogni passo in avanti lungo la cosiddetta «pista palestinese», a seconda dei punti di vista scatena rabbia o speranza. C’è un deputato del Fli, Enzo Raisi, che da tempo si batte per la «pista palestinese»; le ultime rivelazioni sono legate a una sua interrogazione. Chiedeva, Raisi, se fosse vero che ad Abu Anzeh Saleh era stato concesso di lasciare i domiciliari e andare a Roma, perché si fosse mobilitato il giudice Gentile, che cosa ne sapesse il ministero dell’Interno.
Ed ecco che il sottosegretario all’Interno, Carlo De Stefano, uno che di certe materie se ne intende essendo stato per anni il responsabile dell’Antiterrorismo, risponde che in effetti è tutto vero. Dagli archivi della corte di appello dell’Aquila, miracolosamente intatti nonostante il terremoto, è riemersa una istanza di Abu Anzeh Saleh del 22 settembre 1981 «per essere autorizzato a lasciare Bologna per poter svolgere il proprio lavoro». La richiesta è bocciata una prima volta a ottobre. Saleh ci riprova nei mesi seguenti ogni volta cambiando la motivazione. Una volta in ragione «dell’attività di intermediazione commerciale tra imprese italiane ed operatori arabi». Un’altra volta perché ha necessità di conferire con il suo avvocato difensore. Alla fine, l’autorizzazione arriva e Saleh può andare a Roma, dove rimane una decina di giorni, tra novembre e dicembre 1981.
Ebbene, ora la procura di Bologna indaga su quel soggiorno capitolino di Saleh. L’interrogativo è ovvio: perché tanta insistenza nel lasciare i domiciliari? Chi doveva incontrare nella Capitale? Perché il giudice Gentile lo voleva a Roma? «Mi sembra abbastanza incredibile che gli sia stato concesso un permesso del genere - sostiene Raisi - per un incontro con l’avvocato. La spiegazione ufficiale non regge».
La risposta del sottosegretario De Stefano, molto dettagliata (ed è la prima volta che finalmente le questure e gli archivi dei tribunali trovano documenti che troppo spesso dichiarano «smarriti»), al riguardo si chiude con una esplicita postilla. «Sono in corso attività investigative della questura di Bologna delegate dall’autorità giudiziaria nell’ambito del procedimento penale n. 13225/11 concernenti, tra l’altro, la posizione del cittadino Abu Anzeh Saleh e coperte da segreto istruttorio. Non risultano disponibili, pertanto, ulteriori elementi, in quanto anche i dati richiesti con lo specifico quesito posto dagli onorevoli interpellanti, sono coperti da segreto istruttorio». La vicenda non è chiusa.
Un viaggio inquietante, considerando che Saleh era agli arresti domiciliari a Bologna e che fu necessaria un’autorizzazione specifica della magistratura dell’Aquila (il palestinese era stato arrestato per l’indagine sui missili palestinesi sequestrati a Ortona). E siccome all’Aquila non erano tanto d’accordo, si mosse da Bologna il giudice Aldo Gentile, che scrisse ai colleghi abruzzesi spiegando che la deroga ai domiciliari era «necessaria» alle sue indagini sulla bomba alla stazione.
Sono passati 32 anni da quella strage, eppure le indagini della magistratura bolognese vanno avanti. E siccome ci sono dei condannati a pena definitiva (i neofascisti Giusva Fioravanti e Francesca Mambro), come si sa, ogni passo in avanti lungo la cosiddetta «pista palestinese», a seconda dei punti di vista scatena rabbia o speranza. C’è un deputato del Fli, Enzo Raisi, che da tempo si batte per la «pista palestinese»; le ultime rivelazioni sono legate a una sua interrogazione. Chiedeva, Raisi, se fosse vero che ad Abu Anzeh Saleh era stato concesso di lasciare i domiciliari e andare a Roma, perché si fosse mobilitato il giudice Gentile, che cosa ne sapesse il ministero dell’Interno.
Ed ecco che il sottosegretario all’Interno, Carlo De Stefano, uno che di certe materie se ne intende essendo stato per anni il responsabile dell’Antiterrorismo, risponde che in effetti è tutto vero. Dagli archivi della corte di appello dell’Aquila, miracolosamente intatti nonostante il terremoto, è riemersa una istanza di Abu Anzeh Saleh del 22 settembre 1981 «per essere autorizzato a lasciare Bologna per poter svolgere il proprio lavoro». La richiesta è bocciata una prima volta a ottobre. Saleh ci riprova nei mesi seguenti ogni volta cambiando la motivazione. Una volta in ragione «dell’attività di intermediazione commerciale tra imprese italiane ed operatori arabi». Un’altra volta perché ha necessità di conferire con il suo avvocato difensore. Alla fine, l’autorizzazione arriva e Saleh può andare a Roma, dove rimane una decina di giorni, tra novembre e dicembre 1981.
Ebbene, ora la procura di Bologna indaga su quel soggiorno capitolino di Saleh. L’interrogativo è ovvio: perché tanta insistenza nel lasciare i domiciliari? Chi doveva incontrare nella Capitale? Perché il giudice Gentile lo voleva a Roma? «Mi sembra abbastanza incredibile che gli sia stato concesso un permesso del genere - sostiene Raisi - per un incontro con l’avvocato. La spiegazione ufficiale non regge».
La risposta del sottosegretario De Stefano, molto dettagliata (ed è la prima volta che finalmente le questure e gli archivi dei tribunali trovano documenti che troppo spesso dichiarano «smarriti»), al riguardo si chiude con una esplicita postilla. «Sono in corso attività investigative della questura di Bologna delegate dall’autorità giudiziaria nell’ambito del procedimento penale n. 13225/11 concernenti, tra l’altro, la posizione del cittadino Abu Anzeh Saleh e coperte da segreto istruttorio. Non risultano disponibili, pertanto, ulteriori elementi, in quanto anche i dati richiesti con lo specifico quesito posto dagli onorevoli interpellanti, sono coperti da segreto istruttorio». La vicenda non è chiusa.
(fonte: www.lastampa.it)
Nessun commento:
Posta un commento