L'immagine
più viva e surreale che ho di Teodoro Buontempo è disteso nudo sulla
scrivania, con le mutande e gli anfibi, a prendere il sole che filtrava
nella redazione del Secolo d'Italia in via Milano 70 a Roma.
Era l'estate dell'81. Sembrava un catafalco e i colleghi/camerati ci
ridevano su, trattandolo da morto e lui incurante. Buontempo è stato la
balia di mezzo Msi romano, Fini incluso. Alcuni figliocci non gli
vennero su bene. Rautiano, animatore di radio Alternativa, oratore
sanguigno, pitbull da combattimento in assemblea e in borgata,
nobilmente ruvido e fascisticamente incline al cazzeggio, Teodoro fu sempre impresentabile e ne fece un titolo di nobiltà.
Fascista di strada, homeless, emigrato abruzzese, metà lupo marsicano e
metà pecora, da cui il soprannome, ricercato dai compagni, Buontempo
aveva i quattro quarti dell'impresentabilità e li mostrava con fierezza.
Fu molto popolare, fece battaglie dure e denunce ancora più taglienti
del malaffare, che imbarazzavano anche i vertici inciuciosi del suo
partito.
Presidente de La Destra di Storace (un tandem ruspante con le cioce),
Teodoro uscì pulito anche dalla recente porcata alla Regione Lazio,
eppure fu assessore alla Casa. Un proverbio militante diceva: Rosso di
sera Buontempo je mena. Ma a menarlo furono loro, una sera, a Campo de'
Fiori. Per uno sfregio del destino o per una rivincita estrema,
Buontempo è morto a cavallo del 25 aprile. Anche lui, a modo suo, ha
festeggiato la Liberazione. Onore a Teodoro, per dirla come piaceva a
lui. Non visse da pecora.
(di Marcello Veneziani)
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