In nome della Legge si proceda al massacro. Gira e rigira, l’ultima frontiera della sinistra italiana è la Legge. Le idee sono morte da un pezzo, la storia è meglio cancellarla perché è piena zeppa di errori e di orrori, gli uomini scarseggiano e perdono le competizioni elettorali. Allora non resta che invocare la Legge, aggrapparsi alla Legge. I ragazzi a scuola tirateli su con la Costituzione, i politici al potere tirateli giù con i codici. Prevenzione & Punizione. Ieri l’ex giudice Colombo bacchettava Galli della Loggia che aveva osato criticare l’uso ideologico della Costituzione nelle scuole; e l’ex giudice Di Pietro bacchettava la maggioranza che abbreviando i processi aggirava a suo dire le leggi e salvava Berlusconi. E la sinistra, sub judice, nel senso di subalterna ormai ai magistrati, è partita in guerra nel nome della Legge. Noi siamo la legalità, loro sono i fuorilegge; noi siamo i patrioti della Costituzione, loro sono banditi anticostituzionali, fanno carne da porco delle Leggi e calpestano le Norme, adattandole ai propri bisogni. A volte le parti si invertono: quando si parla ad esempio di terrorismo e di criminalità, di droga e clandestini, le forze di sinistra sono solitamente più indulgenti e invece il centrodestra chiede leggi più severe e soprattutto applicazioni più certe e più rapide. Ma se dovessimo trovare uno spartiacque ideologico tra quel che resta della destra e della sinistra, dovremmo dire che la linea di demarcazione è lì: il primato delle leggi o delle persone.
Ora, nessuna società potrebbe sopravvivere senza l’osservanza di poche ma solide leggi; anche se il nostro Paese sopravvive miracolosamente da svariati anni col novantatré per cento dei reati impuniti e un tasso altissimo di errori giudiziari e di ritardi paurosi. Veniamo da una civiltà antica, fondata sul Diritto, e non saremo certo noi a negare l’importanza delle leggi e il valore che esse hanno. No, il ragionamento che vorrei fare non è di stampo giuridico ma culturale. Stavo per dire storico-filosofico ma temendo la fuga in massa dei lettori, mi fermo al già compromettente taglio culturale. Beh, ci sono due modelli culturali alle radici dell’Europa e quindi dell’Occidente: un modello di derivazione anglo-protestante, che è fondato sul primato assoluto delle Leggi, l’impersonalità oggettiva delle Norme e delle Carte. E c’è un modello di derivazione mediterranea e cattolica, improntato invece sul primato della persona e la mediazione fondamentale dell’uomo. Il primo ha il pregio di sottrarre il potere e i rapporti umani alla logica dei favori perché non guarda in faccia nessuno; ma ha il limite appunto di non guardare in faccia nessuno, di non considerare la vita, la storia, la realtà. Il secondo, invece ha il pregio e il limite opposti, perché considera la persona ma rischia il personalismo. Non sto contrapponendo Lex a Rex, non sto considerando il sovrano legibus solutus, cioè sciolto dalle leggi. Sto riferendomi ad un’altra più realistica versione, non medievale ma compatibile con le democrazie moderne.
Le fonti del potere e della decisione, per chi ha una visione fondata sul primato della persona e della comunità, sono tre: la maggioranza, l’esperienza e la competenza, ovvero la sovranità popolare, la lezione della storia e della tradizione, il parere degli addetti ai lavori, le élite scientifiche, le classi dirigenti. Per chi invece sposa il primato della Legge, prevale su tutto la Norma, rigida e frigida. Non scomoderei per questo lo Stato Etico, come ha fatto ieri Galli della Loggia; preferirei usare l’espressione di Nietzsche di uno Stato come di un Mostro freddo che applica le leggi a prescindere dalla realtà. Anche se smentisce l’interesse generale, le situazioni storiche, il consenso dei popoli, il parere degli esperti, le abitudini e la vita concreta con le sue imperfezioni e variazioni. Senza considerare che le leggi possono essere usate e interpretate in modo malevolo e fazioso, o applicate con colpevole ritardo. Le leggi possono essere non solo concepite ad personam, ma anche usate ad personam.
Ora, nessuna società potrebbe sopravvivere senza l’osservanza di poche ma solide leggi; anche se il nostro Paese sopravvive miracolosamente da svariati anni col novantatré per cento dei reati impuniti e un tasso altissimo di errori giudiziari e di ritardi paurosi. Veniamo da una civiltà antica, fondata sul Diritto, e non saremo certo noi a negare l’importanza delle leggi e il valore che esse hanno. No, il ragionamento che vorrei fare non è di stampo giuridico ma culturale. Stavo per dire storico-filosofico ma temendo la fuga in massa dei lettori, mi fermo al già compromettente taglio culturale. Beh, ci sono due modelli culturali alle radici dell’Europa e quindi dell’Occidente: un modello di derivazione anglo-protestante, che è fondato sul primato assoluto delle Leggi, l’impersonalità oggettiva delle Norme e delle Carte. E c’è un modello di derivazione mediterranea e cattolica, improntato invece sul primato della persona e la mediazione fondamentale dell’uomo. Il primo ha il pregio di sottrarre il potere e i rapporti umani alla logica dei favori perché non guarda in faccia nessuno; ma ha il limite appunto di non guardare in faccia nessuno, di non considerare la vita, la storia, la realtà. Il secondo, invece ha il pregio e il limite opposti, perché considera la persona ma rischia il personalismo. Non sto contrapponendo Lex a Rex, non sto considerando il sovrano legibus solutus, cioè sciolto dalle leggi. Sto riferendomi ad un’altra più realistica versione, non medievale ma compatibile con le democrazie moderne.
Le fonti del potere e della decisione, per chi ha una visione fondata sul primato della persona e della comunità, sono tre: la maggioranza, l’esperienza e la competenza, ovvero la sovranità popolare, la lezione della storia e della tradizione, il parere degli addetti ai lavori, le élite scientifiche, le classi dirigenti. Per chi invece sposa il primato della Legge, prevale su tutto la Norma, rigida e frigida. Non scomoderei per questo lo Stato Etico, come ha fatto ieri Galli della Loggia; preferirei usare l’espressione di Nietzsche di uno Stato come di un Mostro freddo che applica le leggi a prescindere dalla realtà. Anche se smentisce l’interesse generale, le situazioni storiche, il consenso dei popoli, il parere degli esperti, le abitudini e la vita concreta con le sue imperfezioni e variazioni. Senza considerare che le leggi possono essere usate e interpretate in modo malevolo e fazioso, o applicate con colpevole ritardo. Le leggi possono essere non solo concepite ad personam, ma anche usate ad personam.
Una società perfetta, avrebbe naturalmente un equilibrio divino tra le due culture, e la Legge combacerebbe sempre con le tre fonti del potere e della decisione. Ma l’esperienza insegna che non è così e a volte sono in gioco gli interessi supremi di un Paese o comunque superiori alle leggi. E poi, come dicevamo prima, quando si esce dalla politica e si entra nell’ordine pubblico, nella comune criminalità o nei costumi, la sinistra diventa permissiva e invoca l’interpretazione storica, sociale e perfino ideologica delle leggi.
Da queste due visioni discendono due diversi tipi di patriottismi. Per i fautori della Legalità vige il patriottismo della Costituzione, cioè la convinzione che il punto comune e supremo che lega le società sia il Patto costituzionale e l’osservanza delle sue norme. Come se la Costituzione fosse stata dettata sul Monte Sinai direttamente da Nostro Signore, che scolpì con la Luce, nella prima Fotocopia Celeste, le Tavole normative per gli uomini. Anche Montanelli scriveva che la Costituzione non è la Bibbia, ma si può modificare, fu scritta da uomini in un certo momento storico. Per i fautori del realismo c’è invece il Patriottismo della tradizione, ovvero la convinzione che a unirci non siano le leggi scritte, nel caso nostro scritte nel ’47; ma sia la vita, la storia, la cultura dell’Italia, dunque le sue esperienze umane, civili e religiose, il patto tra le generazioni, la loro continuità e il loro mutamento, il comune destino e la comune provenienza. Per farvi un esempio, piccolo ed enorme, il patriottismo della Costituzione esclude la presenza dei crocefissi nelle aule pubbliche, il patriottismo della tradizione invece no.
Direte che ho esagerato, tirando in ballo Mosè e Gesù Cristo, per parlarvi dell’ultimo scannatoio politico in atto sul processo breve e la Costituzione nelle scuole; direte che al di là delle idee, il problema vero è mettere in mano a magistrati feroci e docenti ideologizzati l’uso giacobino delle Leggi. Avete ragione, ma a volte non è male salire di un piano e capire le radici del caso italiano, cercando anche di innalzare il dibattito politico e civile del nostro Paese. Ora riprendete pure a massacrarvi nel nome della Legge e a sentirvi italiani solo perché è scritto nella Costituzione anziché nel vostro dna.
Da queste due visioni discendono due diversi tipi di patriottismi. Per i fautori della Legalità vige il patriottismo della Costituzione, cioè la convinzione che il punto comune e supremo che lega le società sia il Patto costituzionale e l’osservanza delle sue norme. Come se la Costituzione fosse stata dettata sul Monte Sinai direttamente da Nostro Signore, che scolpì con la Luce, nella prima Fotocopia Celeste, le Tavole normative per gli uomini. Anche Montanelli scriveva che la Costituzione non è la Bibbia, ma si può modificare, fu scritta da uomini in un certo momento storico. Per i fautori del realismo c’è invece il Patriottismo della tradizione, ovvero la convinzione che a unirci non siano le leggi scritte, nel caso nostro scritte nel ’47; ma sia la vita, la storia, la cultura dell’Italia, dunque le sue esperienze umane, civili e religiose, il patto tra le generazioni, la loro continuità e il loro mutamento, il comune destino e la comune provenienza. Per farvi un esempio, piccolo ed enorme, il patriottismo della Costituzione esclude la presenza dei crocefissi nelle aule pubbliche, il patriottismo della tradizione invece no.
Direte che ho esagerato, tirando in ballo Mosè e Gesù Cristo, per parlarvi dell’ultimo scannatoio politico in atto sul processo breve e la Costituzione nelle scuole; direte che al di là delle idee, il problema vero è mettere in mano a magistrati feroci e docenti ideologizzati l’uso giacobino delle Leggi. Avete ragione, ma a volte non è male salire di un piano e capire le radici del caso italiano, cercando anche di innalzare il dibattito politico e civile del nostro Paese. Ora riprendete pure a massacrarvi nel nome della Legge e a sentirvi italiani solo perché è scritto nella Costituzione anziché nel vostro dna.
(di Marcello Veneziani)
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