Ad ottobre, nei giorni in cui è tornata alla ribalta la presunta trattativa del «papello» tra lo Stato e Cosa Nostra per far cessare la stagione delle stragi di mafia, "Studio Aperto" rivelò che al «capitano Ultimo» era stata tolta la scorta. Sì, davanti ai telespettatori, è stato detto che Sergio De Caprio, l’ufficiale dell’Arma che la mafia non ha dimenticato perché fu lui a guidare sul campo la cattura di Totò Riina, era ormai privo di protezione. E così, ora, quella protezione assicurata fino a tre anni fa all’ex ufficiale dei Ros viene di nuovo assicurata «in forma privata» dai colleghi del Nucleo scorte del comando provinciale di Palermo. Liberi dal servizio e con le proprie autovetture (pagando anche la benzina, s’intende) i 120 militari del reparto hanno deciso di alternarsi per coprire i turni se e quando il tenente colonnello De Caprio (che oggi lavora a Roma al Noe, il nucleo operativo ecologico dei carabinieri) dovesse recarsi in Sicilia per servizio: «Andremo a prenderlo all’aeroporto, lo accompagneremo in albergo, lo seguiremo ovunque», confermano i militari che hanno deciso di prendere un’iniziativa senza precedenti. Il tam-tam, tuttavia, ha raggiunto anche altre regioni e non è escluso che anche altri reparti scorte dell’Arma (Milano, Roma, etc) si adeguino alla decisione dei colleghi siciliani.
L’arresto di Riina (15 gennaio 1993) e la ritardata perquisizione del covo.
La notizia della scorta privata assicurata dai colleghi al «capitano Ultimo» - diffusa dal delegato del Cobar Sicilia (il sindacato dei carabinieri, ndr) Alessandro Rumore – ha certamente delle ricadute e negli ambienti vicini all’Arma viene letta come un forte segnale di solidarietà verso De Caprio che ha spesso fatto parlare di sé per i contrasti avuti con i superiori nell’Arma e con la magistratura inquirente. Lui, infatti, non è solo l’eroe del passato che con la sua squadretta mimetizzata è riuscito a mettere le manette ai polsi del boss dei corleonesi. «Ultimo» è tornato di recente al centro dell’attenzione quando, lo scorso 6 novembre, ha appreso che Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, aveva deciso di querelato: il motivo del contendere è sempre l’arresto di Riina che avvenne, secondo la versione di Ciancimino jr, solo «perché venduto da Provenzano». A questa ricostruzione, De Caprio, che all’epoca era sotto il comando del colonnello Mario Mori (Ros), ha risposto a modo suo: «Ciancimino? Un servo di Riina». Ma per il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo questo va oltre il diritto di critica: «Ciascuno ha il diritto di esporre il proprio pensiero ma le offese sono un’altra cosa».
Contrasti con la procura di Palermo
Intervistato dalla trasmissione «Chi l’ha visto?» di Federica Sciarelli, il 6 novembre scorso De Caprio ha dato la sua ricostruzione dalla quale emerge quanto meno un forte contrasto con la magistratura su metodi investigativi da seguire: «Nessun mafioso, nessuna persona ci ha mai indicato il covo, l’abitazione dove abitava Totò Riina… Per avere commesso questa grave azione sono stato anche processato e assolto: basta leggere la sentenza di assoluzione per rendersi conto che quell’arresto e le azioni collegate si sono svolte in maniera legittima e trasparente senza inganno alcuno verso al procura e senza alcuna trattativa. Dunque chi parla di trattativa e di accordi è solo un vile, uno dei tanti vili servi di Riina… La verità che ho ripetuto in ogni sede è che l’arresto di Riina è stato ostacolato dalla Procura di Palermo e oggi capisco che ha dato fastidio a tutte quelle persone che evidentemente avevano interesse a tenere in libertà Riina... gli stessi che hanno isolato e ucciso professionalmente Giovanni Falcone, gli stessi che hanno isolato Paolo Borsellino, poi fisicamente ammazzati dai sicari di Cosa Nostra». Ecco, c’è anche tutto questo, compresa la storia mai chiarita fino in fondo della ritardata perquisizione del covo di Riina che dopo l’arresto fu setacciato dagli investigatori quando ormai era «freddo» da giorni, dietro la decisione dei colleghi carabinieri siciliani di schierarsi in modo plateale dalla parte del «capitano Ultimo».
Il Cocer Sicilia
Dunque, senza scorta (ormai da tre anni) e molto esposto da un punto di vista mediatico, il tenente colonnello De Caprio incassa ora la solidarietà dei 120 colleghi di stanza in Sicilia che sono disposti anche a rinunciare a un pomeriggio da trascorrere con a moglie figli pur di tutelare un ufficiale che in molti ritengono un eroe. «La lodevole iniziativa», spiega Alessandro Rumore (Cocer), «è un chiaro segno alla mafia al fine di renderla edotta che il capitano Ultimo non sarà mai lasciato solo allorquando dovrà intervenire nei processi contro Cosa nostra». Gesti questi, incalza il delegato Cocer, «che uniscono in un momento particolare per l’Arma dei carabinieri…».
Interrogazione parlamentare
La vicenda della scorta tolta al capitano Ultimo è anche oggetto di una interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno presentata dal deputato Nino Germanà (Pdl): «Sergio De Caprio è oggi un uomo solo, abbandonato dallo Stato che ha servito. Per le mansioni attualmente svolte è senza scorta che possa tutelarlo e la mafia non dimentica. L’assenza di una scorta a tutela del colonnello De Caprio appare tanto più incredibile in un momento in cui le oscure vicende legate alla strategia stragista di Cosa Nostra negli anni 1992- 1993 stanno riconquistando gli onori della cronaca…». Chissà, dunque, se il ministro Roberto Maroni (Interno), nel rispondere a questa interrogazione, dovrà anche affrontare il tema delicato della «tutela privata» assicurata a De Caprio dal reparto scorte di Palermo fuori dall’orario di servizio e con mezzi propri. Un’iniziativa, questa, che potrebbe imbarazzare il Viminale. Al punto da far scattare richiami e sanzioni disciplinari all’interno dell’Arma.
(fonte: http://www.corriere.it/)
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