martedì 3 agosto 2010

E adesso, povero futurista?

Qualche lettore del Riformista ricorderà un forte romanzo di Hans Fallada, scrittore tedesco del Novecento. Il titolo era: E adesso, pover’uomo? Raccontava le traversie dei tedeschi alle prese con la terribile crisi economica degli anni Trenta, quando la Germania stava per essere inghiottita dalla notte del nazismo.
Quel libro mi è ritornato alla mente nell’osservare l’ennesimo strappo di Gianfranco Fini e la sua dichiarazione di guerra a Silvio Berlusconi. Mi sono chiesto: e adesso che cosa accadrà al povero signor Fini? Proviamo a immaginarlo, saltando le puntate precedenti. E guardando in avanti, come ci impone la nuova insegna dei fuorusciti dal Pdl: Futuro e Libertà.
Tuttavia, sul passato almeno una cosa bisogna dirla. Nella finta conferenza stampa di venerdì, Fini si è lagnato di essere stato cacciato dal Pdl per decisione del Cavaliere, un dittatore che non sopporta il dissenso. Ma a mio parere la verità è opposta. È stato Fini a voler essere espulso. Se uno decide di mettere su casa con qualcuno e poi questo qualcuno comincia a sfasciarla, è il coinquilino distruttore che sceglie di essere mandato via. Questo suggerisce il buon senso.
Lasciando perdere il passato, una semplice occhiata al futuro ci dice che, allo stato dei fatti, Fini ha di fronte a sé due strade, entrambe molto impervie e con tanti serpenti sotto le foglie.
La prima è la più banale. Pur contando su un gruppo parlamentare di tutto rispetto, i futuristi sanno soltanto vivacchiare. Fanno un po’ di guerra al Cav, ma senza provocarne la caduta. E nel 2013, alla fine della legislatura, si ritrovano con un pugno di mosche. Nel voto successivo, anche in virtù dell’attuale legge elettorale, spariscono o quasi dal Parlamento.
Questa mi sembra la strada meno probabile. Il Futurista numero 1 è un leader giovane, in gennaio ha compiuto 58 anni, sedici meno di Berlusconi. Ha di certo grandi ambizioni, seppure ancora imprecisate. Vuole disarcionare il Cavaliere? Vuole fondare una nuova Destra? Vuole arrivare a Palazzo Chigi con l’aiuto delle tante sinistre? Ho già immaginato un ticket fasciocomunista con Nichi Vendola o qualche altro big rosso. Però l’ho fatto soprattutto per divertimento. Resta una verità indiscutibile: neppure Fini oggi ha ben chiaro quale sia il proprio traguardo. È soltanto un tattico, sia pure bravo nel navigare a vista. Ma allora non resta che passare alla seconda, ipotetica strada.
Qui l’unico dato certo è la buona consistenza numerica dei futuristi: per ora 33 deputati e 9 senatori. Nessuno l’aveva previsto. È stato un regalo a sorpresa, dovuto soprattutto al cesarismo suicida di Berlusconi. Che è andato a cacciarsi in una condizione pericolosa. Il Cavaliere era già prigioniero di Umberto Bossi. Adesso lo diventerà anche di Fini. I futuristi sono in grado di rendere infernale il percorso parlamentare di Silvio. E anche di far cadere il suo governo.
Vorranno farlo per davvero? Il Bestiario pensa di no. Le incognite successive sono rischiose. La prima è che il presidente della Repubblica potrebbe mettere in sella un governo di transizione dal quale Fini sarebbe escluso, poiché presiede la Camera. Quel governo potrebbe durare, grazie all’intervento di santa Scarabola, la patrona delle imprese impossibili. E durando potrebbe far bene, a vantaggio del paese. Ma in questo caso il futurismo finiano resterebbe ai margini di un processo del tutto nuovo.
L’altra incognita è presto descritta: Giorgio Napolitano non ce la fa a salvare la legislatura, deve sciogliere il Parlamento e indire le elezioni anticipate. Sarebbe una vera sciagura per i futuristi. Che difatti stanno già sgolandosi a dire che non le vogliono, mai e poi mai. Come ho ricordato, con la legge elettorale odierna se ne andrebbero a casa quasi tutti. Salvo nell’ipotesi fantascientifica di una coalizione a tre colori: rossa, bianca e nera. Un po’ troppi.
Esiste una prova di quel che ho detto. Molti sostengono che il Cavaliere stia pensando proprio al voto anticipato. Vorrebbe tirar fuori dal cassetto la vecchia bandiera di Forza Italia. Per poi spiegare al paese che l’Italia di oggi non ha bisogno di avventure, bensì di un governo del fare guidato da lui medesimo. E non è detto che non riesca a convincere la maggioranza degli elettori.
Già, l’Italia. Un paese che stenta a uscire dalla crisi economica e, meno che mai, dalla crisi sociale. Un paese spaventato dal grigiore che lo attende. Ancora inconsapevole che non potrà più vivere come è vissuto negli ultimi decenni, sempre al di sopra delle sue possibilità reali. Un paese che ha paura di perdere non soltanto il lavoro, ma pure i televisori al plasma, i cellulari di ultima generazione, l’internet a gogò, la droga di face-book, l’outlet ogni domenica, le crociere esotiche, l’università facile, il posto fisso, un miraggio purché non sia quello dell’infermiere, del badante, dell’idraulico. Un paese, infine, che aborre la severità, i doveri, il rigore, l’imperio delle regole e dell’onestà.
L’unico collante di questa Italia in frantumi è il disprezzo per la casta dei partiti. Lo sanno i nuovi futuristi? Penso di sì. Allo stesso modo sanno che, nel caso abbiano anche loro qualche panno sporco, prima o poi verrà fuori. Nel giro dei cronisti politici si dice che venerdì Fini non abbia voluto fare una conferenza stampa vera per timore di qualche domanda sull’appartamento di Montecarlo. Può darsi che non sia così. Ma un vecchio detto recita: a pensar male si fa peccato, però non si sbaglia quasi mai.
(di Giampaolo Pansa)

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