L’ultimo documento è arrivato al Vittoriale degli Italiani ieri, inatteso, durante la cerimonia per il 73° anniversario della morte del poeta. Una giornata di festa, con la piantumazione di venti cipressi, per sostituirne altrettanti caduti dalla morte di d’Annunzio a oggi e che miglioreranno la posizione del Vittoriale nella classifica dei dieci più bei parchi d’Italia. Poi la donazione da parte del maestro Ettore Greco di una potentissimo bronzo raffigurante, a grandezza naturale, un San Sebastiano, perché quest’anno ricorre il centenario del Martyre de Saint Sébastien scritto da d’Annunzio, musicato da Debussy e interpretato da Ida Rubinstein. Poi l’innalzamento delle bandiere di Pescara, città natale, e di Gardone Riviera - in omaggio ai Gemellaggi Dannunziani, che comprendono già 39 luoghi - alla presenza dei sindaci Luigi Albore Mascia e Andrea Cipani. Infine - ma trascuro molti altri eventi - l’ormai tradizionale donazione di nuovi documenti: la famiglia Cosimi ha depositato quelli del capitano (poi generale) Mario Sani, uno dei principali collaboratori del Comandante d'Annunzio; il collezionista e studioso luganese Giovanni Maria Staffieri, generoso sostenitore del Vittoriale, ha fornito un carteggio fra il poeta e la pittrice Romaine Brooks. Ma Staffieri aveva anche una sorpresa, per me, per amicizia. «La conosci questa?», mi ha chiesto, sornione, all’ultimo momento. E mi ha messo in mano dei fogli con l’inconfondibile calligrafia, su carta con motto «Per non dormire».
È una lettera scritta a Mussolini il 7 settembre 1919, cinque giorni prima della presa di Fiume. Finora si credeva che l’annuncio fosse stato dato al duce del fascismo nascente l’11 settembre, («Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi»). Il nuovo documento, di eccezionale bellezza nella sonorità della lingua, dimostra che i legami fra i due erano più stretti e assidui di quanto si pensasse, e che d’Annunzio sperava davvero nell'aiuto di Mussolini e delle sue squadre in via di formazione, oltre che sul suo appoggio giornalistico: «Confido nel vostro appoggio e sostegno fra coloro che, vili, temeranno questa mano armata. La Storia serberà allori per coloro che avranno operato per il glorioso epilogo. Viva l’Italia!».
Per troppi anni, fino ai più recenti, si è considerata l’impresa fiumana soltanto come un episodio di acceso nazionalismo, o addirittura la culla del fascismo. In realtà Fiume fu anzitutto uno straordinario, avanzatissimo, esperimento libertario, a partire dalla Costituzione scritta dal poeta e dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris. Anche per questo Mussolini - che stava preparando l'alleanza con i poteri forti, monarchia, Chiesa, esercito, proprietari - non vi credette, e lasciò senza intervenire che nel 1920 Giolitti ordinasse il «Natale fiumano di sangue», facendo attaccare la città dall’esercito.
Nei primi giorni del 1921 cominciò la lenta evacuazione dei militi dannunziani. Il Comandante si trattenne fino al 18 gennaio, in uno stato di scoramento ma anche di orgoglio. Ciò che aveva creato sarebbe rimasto nella storia. «Nudi alla meta», aveva detto d’Annunzio in una delle sue innumerevoli arringhe, aggiungendo che «Chi s’arresta è perduto» e intimando di «Marciare non marcire»: slogan che ricompariranno presto sui muri delle case durante un ventennio del quale il poeta era stato un inconsapevole precursore, insegnando che era possibile ribellarsi allo Stato anche con le armi e a considerare il Capo un demiurgo capace di cambiate la vita di tutti, oltre che la patria.
Mussolini imparò, dalla lezione di Fiume, che era possibile mettere in crisi la classe dirigente liberale facendo ricorso alla retorica del patriottismo, mentre Vittorio Emanuele III dovette rendersi conto di non poter contare sulla totale fedeltà dell’esercito, constatazione che ebbe un peso rilevante nei giorni della marcia su Roma. Come ha scritto Emilio Gentile, l’ideologia realistica di Mussolini «era assolutamente estranea al fervore morale, allo spirito libertario ed autonomista (…) e al confuso ma sincero ribollimento di propositi rivoluzionari dell’ambiente fiumano». Dal fiumanesimo i fascisti presero solo l’apparato esteriore, aggiungendovi il manganello e l’olio di ricino. E mai si sarebbe sentito, durante il regime, il saluto finale che d’Annunzio lanciò dal balcone del municipio: «Viva l’Amore! Alalà!».
(di Giordano Bruno Guerri)
Pubblichiamo la lettera datata 7 settembre 1919 di Gabriele d’Annunzio a Benito Mussolini. Il Vate annunciava la sua decisione irrevocabile di assaltare Fiume. La città verrà presa il 12 settembre 1919.
Mio caro Mussolini, siamo finalmente giunti alle battute finali per il giorno da me tanto atteso. I fanti ardono, pronti al Santo Sacrifizio, uniti nei cuori ai loro compagni futuristi.
Sono queste notti frenetiche di duro lavoro, per garantire la conquista della «Cima» per la quale sarà dolce morire.
Il sottotenente Granjacquet mi ha offerto il comando assoluto, che ho accettato e del quale mi onoro. Una febbre insopportabile affatica le mie membra, rendendo tutto più arduo; ma nulla mi può fermare. I motori ormai caldi attendono solo la ferma mano che li guidi a compimento estremo. Finalmente la nuova impresa suggellerà la fina della splendida saga dei Mille, aggiungendo eroi ad eroi. Confido nel vostro appoggio e sostegno fra coloro che, vili, temeranno questa mano armata. La Storia serberà allori per coloro che avranno operato per il glorioso epilogo. Viva l’Italia!
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