Destra, se ci sei batti un colpo. Ed ecco che d’incanto nel lessico politico di questi giorni è riemersa la parola magica, da Alemanno che a Mirabello ha esortato, «dobbiamo rifare la destra»; da Urso che si sta proponendo come collante della destra, a La Russa che ha suggerito di «rimettere insieme le anime della destra». Cos’è, nostalgia di casa? Analizziamo con Marcello Veneziani, intellettuale, scrittore, filosofo, che l’area culturale e politica della destra conosce da sempre, quale segnale politico c’è dietro le parole.
Veneziani, di cosa è sintomo questo declinare il ritorno alla destra da parte di diversi politici che fino a ieri hanno perseguito una diversa idea di destra e con diversi ruoli?
È la sindrome dell’«arto fantasma». Si avverte da tempo nella politica italiana un vuoto, l’assenza di una destra anche all’interno dello stesso Pdl. È inutile nasconderselo, non serve. La destra si è via via vanificata nel corso del tempo. Prima che Alleanza nazionale confluisse nel Popolo delle libertà era già un mezzo zombie, non incideva, il suo leader latitava e viveva con fastidio il suo stesso partito, c’era poco o nulla che facesse avvertire della presenza di una destra nel nostro paese. Tutto si è ridotto al referendum permanente pro o contro Berlusconi e la destra stessa alla fine si è spaccata su questo referendum, prescindendo dalle ragioni di fondo che motivano l’esistenza di una destra.
Vuole dire che l’errore sta a monte? La destra politica non doveva confluire nel Pdl?
La confluenza nel Pdl, in quelle condizioni e con una destra in via di esalazione, come un gas, mi parve in quel contesto obbligata. E produsse anche una vittoria politica netta e promettente. Piuttosto che deperire in disparte, meglio entrare in un grande contenitore e giocare al suo interno la partita. Certo, Berlusconi non è il leader della destra ma metteva la destra nelle condizioni di pesare, gli offriva un’opportunità che la destra non seppe cogliere né nel 2001 né tantomeno nel 2008. Ma ora che un ciclo si va chiudendo, che l’impresa di Fini è sostanzialmente fallita ed è a mio parere impensabile ricandidare alle prossime elezioni Berlusconi come premier – e del resto lui stesso ha detto più volte di volersi fare da parte – bisogna ripartire da zero, ma sarebbe sciagurato partire dal nulla.
È ipotizzabile che persone pur provenienti dalla stessa “casa” e pur avendo esperito diverse esperienze ora possano desiderare di andare nella stessa direzione?
È ipotizzabile e forse è anche auspicabile. Si possono riconoscere i propri errori, anche reciproci, si possono metabolizzarli e perfino superarli. E bisogna distinguere anche all’interno di Futuro e Libertà, dove ci sono ancora persone di qualità e non certo lontane da chi è rimasto nel Pdl. Certo, è impossibile immaginare di restaurare leadership che si sono delegittimate e hanno avuto parabole così insensate e suicide. Bisogna voltar pagina sul serio e ricominciare da altri...
Far rinascere la destra è possibile, allora?
La destra come categoria politica morì insieme alla sinistra nel secolo scorso, o se preferite rendere più drastico il distacco, nel millennio passato. Esiste tuttavia una sensibilità, una mentalità, un grumo di storie, esperienze vissute e patrimoni ideali che provengono da destra e che non possono sparire nel nulla indecente. È quella destra sommersa, profonda e avvilita, che talvolta emerge magari sotto falso nome in episodiche occasioni o in singole iniziative. Non so se potrà nuovamente riemergere e ritrovare una sua collocazione politica, ma penso che valga la pena scommettere. Non vedo del resto altro peso specifico a cui appellarsi per i leader della destra, “intra moenia ed extramoenia”, al di fuori di quella legittimazione di origine.
Urso dal sito FareItalia ha ieri dichiarato: “La destra italiana si è dispersa, smarrita. Il leader che avrebbe potuto senz’altro, tanto più in questa fase, acquisire la piena leadership del centrodestra, si ritrova da un’altra parte, in un vicolo cieco, senza più la squadra né gli elettori”. Urso parla chiaramente di Fini, dello stesso Fini che volle mettere sulla locandina di un convegno intitolato “Change the right”. Quale elemento politico possiamo trarre da questo, ripensamenti, nostalgia?
A differenza di molti che fanno politica, non vivo di rancori e non credo che si possa far politica con il risentimento, e far pesare i dissapori passati. Ma non si tratta nemmeno di lasciarsi prendere dai richiami nostalgici o peggio dall’uso cinico delle mozioni degli affetti. No, bisogna lucidamente e realisticamente fare un discorso: destra e sinistra s’inabissarono senza gloria negli anni passati, il berlusconismo crebbe sulla loro debolezza e costituì una risposta, su cui divergono naturalmente le valutazioni. Ma non si può pensare che in futuro ci si possa ancora dividere sul berlusconismo, che superata la bufera presente, è un’esperienza da concludere dignitosamente e poi da storicizzare. A questo punto, bisogna non avere paura né di navigare in mare aperto né di tornare a punti di riferimento e di ancoraggio...
Scenari: con la fine dell’era berlusconiana cosa ne serà, secondo lei, del centrodestra e della destra in particolare?
Non mi azzardo a fare previsioni, però so che quando verrà meno il collante berlusconiano i due poli si frantumeranno e ci sarà una scomposizione e poi una ricomposizione del quadro politico. In quel momento sarà necessario che chi condivide quelle idee e quelle battaglie che unirono una comunità, si ritrovi e giochi il suo ruolo, possibilmente nella continuità dell’esperienza di centro destra ma senza escludere realisticamente altre ipotesi, compresa quella di andare per la propria strada stabilendo alleanze strategiche e “a progetto”. Sarà necessario allora ripensare al valore centrale del legame sociale e nazionale, riprendere il tema comunitario, rileggere il tema italiano come nazione culturale, ritrovare la forza per rilanciare il senso dello Stato e della sua riforma, rilanciare la difesa della famiglia, riaccendere il sogno rivoluzionario nei giovani e sposarlo all’amore inquieto per la tradizione... Si dovrà ripartire da lì, dopo l’overdose di politica “ad personam” del nostro tempo. I Fini, i Bossi e pure i Berlusconi passano, i loro alleati e dirimpettai pure, ma le ragioni e le passioni della politica restano. Poi su quelle basi dovrà fondarsi la ricerca degli uomini, la selezione delle nuove élites, ma con la precisa avvertenza che le leadership nascono sul campo e non in laboratorio. È giusto, dopo le brutture di questi ultimi anni, andare a cercar la bella destra, magari più bella che destra. I nomi passano, i sogni e i bisogni restano.
(fonte: www.secoloditalia.it)
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