lunedì 19 dicembre 2011

Antipolitica e partitocrazia


Il senatore Andrea Fluttero, del Pdl, sta facendo circolare fra i suoi colleghi parlamentari una lettera in cui si lancia contro “l’ondata di antipolitica” e di discredito che ha colpito la classe dirigente. Fluttero ammette, bontà sua, che ci sono “comportamenti quanto meno discutibili di esponenti pubblici”, ma che accanto a queste “mele marce” ce ne sono tante buone. Io non dubito che in Parlamento assieme a una quantità impressionante di ladri, di taglieggiatori, di lestofanti, di opportunisti, di fancazzisti e di Minetti ci siano delle persone perbene e anche colte, naturalmente in relazione al bassissimo livello culturale oggi in circolazione. Purtroppo il problema della democrazia italiana non è solo e tanto quello della scadente qualità dei suoi rappresentanti, ma è soprattutto di sistema.

La nostra democrazia non è mai stata, fin dal primo dopoguerra, una democrazia ma una partitocrazia. La questione affonda le radici nella nostra storia. Dopo l’ 8 settembre tutti i partiti, dai comunisti ai monarchici, si riunirono nel Cln per dare un contributo, sia pur marginale, alla lotta contro il nazifascismo. Dopo la guerra si spartirono quel che era rimasto dello Stato italiano (prefetture, sindaci, presidenti delle Province). Dopo di che, mentre l’Italia si ricostruiva, cominciarono a occupare tutto ciò che riguardava lo Stato e il parastato e in modo molto rapido se già nel 1960 il grande giurista Giuseppe Maranini fece in Parlamento un vibrante discorso contro la partitocrazia, seguito a ruota dallo stesso presidente del Senato Cesare Merzagora (allora in Parlamento non esistevano solo persone specchiate ma anche di cultura). Naturalmente rimasero inascoltati. I partiti, in competizione fra loro, forti della propria posizione dominante, per raccattare il consenso si diedero a elargire favori clientelari che non hanno nulla di diverso dal “voto di scambio” mafioso che pure praticavano. Inoltre dai primi anni 80 cominciarono a praticare la grassazione sistematica su ogni appalto (la prima Tangentopoli ci è costata 630 mila miliardi di lire, un quarto del debito pubblico).

L’avvento dellimprenditore Berlusconi, che pur era partito lancia in resta contro “il teatrino della politica”, non solo non ha sanato nessuna di queste anomalie strutturali della democrazia italiana, ma ha portato in Parlamento il peggio della Prima Repubblica aggiungendovi, di suo, un cospicuo manipolo di troie. E anche la Lega, un movimento che pure era partito per fare piazza pulita dell’occupazione partitocratica dello Stato, si è presto adeguata inserendo i suoi uomini in ogni ganglio del potere a cominciare dalla Rai. Così, negli anni, è montato in buona parte della cittadinanza un disgusto e un disprezzo per la classe politica che non data dalla crisi economica, ma la precede (alle ultime amministrative il 40 % non ha votato). Ma l’assoluta incapacità di affrontare una situazione di emergenza ha portato alla luce tutte le magagne della classe politica e oggi i sondaggi danno l’astensionismo intorno al 45 %. Si potrebbe sperare che sia il colpo di grazia. Ma non sarà così. Dopo la parentesi bocconiana, i partiti – e se ne avvertono già le avvisaglie nei talk show – continueranno a fare, imperterriti, quello che han sempre fatto.

Mentre, a mio avviso, potrebbe tornar buona oggi una proposta di Guglielmo Giannini, il fondatore dell’Uomo Qualunque, impraticabile negli anni 50, l’epoca delle ideologie, ma plausibile ora che le ideologie sono morte e che fra destra e sinistra non ci sono che differenze di dettaglio: un Ragioniere dello Stato, nominato per cinque anni e non rieleggibile.

(di Massimo Fini)

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