E poi una mattina ti svegli e scopri che Marine Le Pen è al venti per cento. Con tutti che chiacchierano e parlano e dicono e postano e twittano. Chi mestamente preoccupato, chi a sostenere «nulla sarà come prima», chi vagamente gongolando, chi «ve l’avevo detto», come se davvero in questa stagione indefinita non ci resta da dire a noi italiani che, attenzione, la «Francia siamo noi».
Capitano mattine così. Poi magari ti senti anche con una vecchia
conoscenza per scambiare qualche parere e mettere su un’intervista,
magari uno come Pietrangelo Buttafuoco, che di certe cose se ne intende.
Marine Le Pen cambia la storia della Francia e dell’Europa?
«Eh, quanta fretta. Di fronte a qualsiasi fenomeno scatta l’istinto, il riflesso condizionato, a piazzare l’etichetta. L’ho detto anche al mio caro amico Saviano, di cui mi sembra stai citando il tweet».
Vero. Il tono era piuttosto preoccupato.
«La Francia non è l’Italia. Lì le storie di vandeani e giacobini riescono a convivere. Le ferite si rimarginano, anche quelle più profonde delle nostre. I prodotti che trovi sul mercato delle idee hanno un passato forte, radici profonde e alle spalle c’è tutta la Francia, con una solidità che resiste a tutte le scosse».
Chi è la figlia di Le Pen?
«È la Francia più profonda, quella che ha attraversato tutte le svolte e le rivoluzioni. È la Francia di Giovanna D’Arco. È Andrea Chénier. È, nella variante belga, il ciuffo ribelle e conservatore di Tintin. C’è da sempre, sta lì, torna, s’inabissa e ricompare».
Eppure la famiglia Le Pen evoca la destra nazionalista, la
xenofobia, via gli stranieri, non vogliamo gli immigrati. Non c’è solo
la tradizione, ci sono anche le porte chiuse.
«Strumentale».
Strumentale?
«Sì ed è un peccato. Voglio anzi sottolinearlo con chiarezza. Quando la destra per opportunismo, per racimolare qualche voto in più, rimesta nella paura, punta l’indice verso l’immigrato, rinnega se stessa, cancella le sue intuizioni politiche. Si svende, insomma».
E ottiene il 20 per cento dei voti.
«No, non ottiene voti. Li perde. Lo sai quale è lo slogan che sta premiando Marine Le Pen?».
Spara.
«L’euro ha fallito».
Il 20 per cento quindi è poco.
«Pochissimo».
Tutto quello che manca è il prezzo da pagare alla cattiva fama.
«Sta accadendo quello che molti già sospettavano. Come si fa ad amare una moneta senza indirizzo, senza casa».
Chi sarà il Le Pen italiano?
«Secondo te?»
Per ora ci sono i voti. Sono parcheggiati in quel cinquanta
per cento di indecisi, stanchi, disillusi, e tutti quelli che «non se la
bevono».
«Parte di questo capitale tornerà in gioco. Chi lo prende?»
L'impressione è che in prima fila ci sia Grillo, qualcosa può
prendere Storace, una parte resta nell'orbita leghista. Il resto è da
vedere. Qualcuno pensa che sia tutt’ora berlusconiano.
«Possibile. Ma questo vale a bocce ferme. La verità è che in questo gioco la partita, almeno in Italia, non sia ancora iniziata davvero. Il voto di chi comincia a chiedere l’uscita dall’euro, di chi non si arrende a un Europa di tecnici e di banche, è ancora in gran parte in cerca d’autore. Non c’è un lepenista in Italia. Nessuno che possa raccogliere un successo concreto. Ma ci saranno sorprese».
Cioè?
«Sai chi potrebbe prendere quei voti?».
L’idea era chiederlo a te. Questa bene o male sarebbe un’intervista.
«Travaglio».
Stai scherzando?
«No, no. Lo dico sul serio. Non è una provocazione. È un’uomo di destra, alle sue spalle c’è la destra montanelliana e anche quella serietà sabauda, quello stile un po’ scomodo ma che viene da una lunga tradizione. Non è la destra dei tecnici e neppure quella delle banche».
È una destra che non verrà mai votata da libertari e garantisti.
«È la destra della legge e dell’ordine».
Meglio la destra liberale, liberista e libertaria.
«Che tanto destra non è. Travaglio sarebbe interessante. Come in Sicilia si prepara la sorpresa delle sorprese».
Quasi quasi viene voglia di non saperlo.
«Antonio Ingroia che, per quanto si dichiari partigiano è un altro legge e ordine, più di un Ronald Reagan e già pronto per la politica».
Ronald Reagan quando faceva lo sceriffo, cattivo, nei western. Non il presidente.
«Gli sceriffi stanno sempre con i buoni».
L’Europa comunque è al cambio di stagione. Che faranno gli italiani?
«Lo dico sottovoce, sperando che nessuno ci senta, ma il popolo italiano spesso mostra gli istinti peggiori. Sa essere carogna. È vendicativo. Non si vergogna del tradimento. C’è sempre un sacerdote che accompagna questa o quella metamorfosi. Non abbiamo una storia condivisa come in Francia. Il Risorgimento è stato raccontato male, la guerra civile dopo il ventennio è stata raccontata male. Qui il passato è sempre di parte. Quando cambia una stagione non si sa mai dove si va a finire. L’unica cosa certa è che in politica quando si crea un vuoto presto viene riempito».
(di Vittorio Macioce)
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