(di Alessandro Giuli)
martedì 8 giugno 2010
Negazionisti d'Italia
(di Alessandro Giuli)
lunedì 7 giugno 2010
Ecco perché la speculazione attacca gli Stati

Sul mercato di tutta Europa (non solo in Italia) c'è la bufera. Ieri i BTp sono arrivati a offrire tassi d'interesse di 1,70 punti percentuali più alti rispetto ai Bund tedeschi. Questo significa che il Tesoro italiano, per trovare investitori disposti a comprare il suo debito, deve pagare tassi d'interesse quasi due punti percentuali più alti del Tesoro tedesco. Non si era mai visto dai tempi della vecchia lira. Ma cosa sta succedendo? Chi sta colpendo l'Europa? Se si pone questa domanda agli esperti, si ricevono decine di risposte diverse. Probabilmente c'è una tale concomitanza di fattori, che le spiegazioni di questa bufera sono tante. Per capirle, però, bisogna partire dalla causa: quello che accade ora è diretta conseguenza di una "bolla" che nessuno ha mai notato mentre si gonfiava. Quella dei titoli di stato.
Lo chiamavano rischio zero
I titoli di stato europei sono sempre stati considerati a zero rischio. Almeno dopo la nascita dell'euro. E così le banche li hanno sempre comprati a piene mani. Le stesse regole di «Basilea 2» hanno sempre incentivato gli acquisti, dato che i titoli di stato non comportano alcun sacrificio di capitale regolamentare. Insomma: se prestare soldi a imprese o famiglie per le banche è sempre stato un costo in termini di capitale, prestare soldi agli stati non lo è mai stato. Praticamente non ci sono mai stati limiti.
Nel 2009 gli acquisti hanno raggiunto l'apoteosi. Dato che la Bce prestava loro tutta la liquidità possibile e immaginabile al tasso fisso dell'1%, le banche hanno pensato bene di guadagnarci sopra. Come? Comprando titoli che avessero rendimenti più elevati dell'1% e che avessero "bassi" rischi: cioè i titoli di stato. Il giochino, chiamato carry trade, era semplice: prendevano in prestito soldi alla Bce pagando l'1% e li investivano in titoli con rendimenti maggiori. E per guadagnarci ancora di più, compravano a piene mani soprattutto i bond dei Paesi che allora offrivano rendimenti «interessanti» e che oggi – ironia delle sorte – le stesse banche chiamano Pigs. Maiali.
Se la pancia è troppo piena
Così hanno fatto indigestione. Secondo i calcoli di Rbs, oggi gli investitori internazionali hanno in portafoglio 1.418 miliardi di titoli di Stato di Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia. Il problema è nato quando la crisi della Grecia ha magicamente trasformato questa montagna di «rischio zero» in qualcosa di potenzialmente rischioso. E i motivi, effettivamente, ci sono. La Grecia, secondo i calcoli del Fondo monetario, passerà per esempio da un rapporto tra debito e Pil del 115% nel 2009 a una percentuale quasi del 150% nel 2013. Ovvio che gli investitori non ripongano grande fiducia nel suo salvataggio: come potrà la Grecia tornare a finanziarsi sul mercato nei prossimi anni, se la sua situazione sarà addirittura peggiorata? «Il mercato – spiega l'economista di Rbs Silvio Peruzzo – crede che nei prossimi anni il rischio di default sarà maggiore». Dalla Grecia, gli occhi si sono poi spostati sugli altri Paesi ritenuti più deboli. Facendo, nel panico, di tutta l'erba un fascio. Prima viene l'Irlanda. Poi il Portogallo. Poi la Spagna. E poi? Sebbene sia da tutti ritenuta più forte, nella lista c'è anche l'Italia. La sfiducia si autoalimenta col panico.
La fuga
Appena si è iniziato a capire che il vento sui titoli di stato europei stava cambiando, ovviamente la speculazione ha cambiato verso: prima era di moda comprare, poi è diventato di moda vendere. E il gioco in questi casi è come nel West: il pistolero più veloce è quello che vince. È così iniziata la corsa ad alleggerire le posizioni sui titoli di stato. Chi per specularci, chi per prudenza, chi per coprirsi dai rischi. Chi per precise strategie d'investimento. «Io credo che sia partita prima la speculazione – spiega l'ex numero uno europeo di Lehman Riccardo Banchetti, oggi capo di Pactum Advisers –: sono stati gli hedge fund a rendersi conto per primi che c'era l'opportunità di far pagare agli stati gli errori del passato. Poi sono iniziate le vendite per motivi di copertura dei rischi».
Il resto è cronaca attuale. I risk manager delle banche internazionali hanno bloccato gli acquisti di titoli di stato e hanno ordinato la copertura dei rischi sul mercato dei credit default swap: ecco perché le quotazioni di queste polizze sono più allarmistiche di quelle dei bond. Gli investitori esteri (come i cinesi) hanno iniziato a vendere, anche per alleggerire le loro posizioni sull'euro. Tante banche retail li hanno seguiti, per prudenza. E la crisi si avvita. Così il mercato è diventato illiquido: le vendite sono ora forse minori, ma la volatilità è alle stelle. Basta una voce o una qualunque indiscrezione per far aumentare la bufera. Sarà un complotto, sarà panico, sarà speculazione: sta di fatto che i nodi di una bolla che nessuno voleva vedere stanno venendo al pettine.
(di Morya Longo)
domenica 6 giugno 2010
Santo subito

“Farefuturo”, la fondazione di Gianfranco Fini, ha usato parole forti e ha accusato la Rai di preferire “nani e ballerine” allo scrittore impegnato in prima linea contro la camorra. Il presidente della Camera è forse la personalità pubblica che più si è spesa negli ultimi tempi a tutela di Saviano.
Quando poche settimane fa Emilio Fede lo attaccò, un mese dopo le parole pesanti che sull’autore di Gomorra aveva scagliato Silvio Berlusconi che lo aveva accusato assieme agli autori della “Piovra” di aver danneggiato l’immagine internazionale dell’Italia, fu proprio Gianfranco Fini a riceverlo a Montecitorio per indicare in lui il campione della lotta contro la criminalità organizzata. Ed è proprio la difesa strenua di Saviano a sollevare sospetti su un ritorno giustizialista dell’ex capo di An nei circoli del Pdl più vicini al premier. Ma nella destra anche altre voci si sono levate a difesa dello scrittore casertano. Contro Fede ha scritto su Libero Filippo Facci, raccogliendo numerosi consensi.
C’è una destra che ama Saviano. A dicembre dello scorso anno, uno dei giornalisti più colti e inquieti di quell’area, Pierangelo Buttafuoco pubblicò su Panorama una lunga e bella intervista che fornì importanti squarci di luce sulla cultura dello scrittore e sulle sue passioni politiche. Riletta oggi spiega tante cose e tante simpatie. Malgrado i numerosi appelli aperti dal suo nome Saviano sostenne: «Io non sono un firmaiolo, non ho mai inteso la mia lotta come una lotta di parte». Dopo un elogio a Maroni («il miglior ministro degli Interni che abbiamo mai avuto») accomunò centro-sinistra e centro-destra nella critica di acquiescenza nei confronti del fenomeno mafioso. Del centro-sinistra disse che «ha responsabilità enormi nella collusione con le organizzazioni criminali. Le due regioni con più comuni sciolti per mafia sono Campania e Calabria. E chi le ha amministrate in questi ultimi 12 anni? Il centro-sinistra».
Da qui l’elogio di alcuni settori della destra: «È un errore far diventare la battaglia antimafia una battaglia di parte… Io ho sempre detto, ribadito e sottolineato l’impegno di tanti uomini della destra nella lotta alla mafia. Non solo uomini come Borsellino, ma anche militanti comuni». L’elogio di Borsellino e del giornalista di destra Alfano, ucciso dalle cosche, si aggiungeva a una riflessione più profonda attorno ai debiti culturali che Saviano aveva contratto con quell’area politica. La frase che fece più scalpore e che creò la suggestione di un Saviano uomo di destra fu un'altra: «Come scrittore mi sono formato su molti autori riconosciuti dalla cultura tradizionale e conservatrice, Ernst Junger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Celine, Carl Schmidt. E non mi sogno di rinnegarlo. Leggo spesso persino Julius Evola». Queste frasi entusiasmarono la destra, soprattutto quella legata all’ex An, che lesse in quelle posizione un riconoscimento culturale e morale prezioso e coltivò la speranza, forse, in una più netto avvicinamento di Saviano.
In questo stesso periodo l’autore di Gomorra è stato tuttavia anche al centro della scena in tutte le battaglia antiberlusconiane, anche se l’autore ha sempre negato di avere pregiudiziali verso il premier, in cui si è trattato di difendere la Costituzione e la libertà di stampa dalle iniziative del presidente del Consiglio. Repubblica ne ha fatto un’icona. È stata la sua firma a dare l’avvio alle battaglie più clamorose che hanno raccolto centinaia di migliaia di adesioni. I movimenti di massa, a cominciare dal “popolo viola”, che hanno fronteggiato l’aggressività berlusconiana a lui si sono ispirati. Il Pd ha sognato più volte di portarlo dalla propria parte eleggendolo in parlamento o proponendogli la candidatura per la presidenza della Regione Campania. Forse era a lui che pensava Ezio Mauro, dopo le ultime elezioni, quando scrisse che il centro-sinistra avrebbe dovuto accantonare tutti i suoi leader per pensare a un “papa straniero”.
Saviano è riuscito a tenersi fuori da tutti i canti di sirene. Forse è oggi il personaggio pubblico che ha preso il posto di alcuni miti della lotta alla mafia come Giovanni Falcone. Tutto ciò dipende dalle cose che scrive, dalla nettezza e dal coraggio delle sue denunce, dalla sobrietà con cui accetta la difficile condizione di uomo costretto a difendersi dagli agguati di camorra, da questa faccia magra e severa, quasi sempre priva di sorriso che accompagna i suoi ragionamenti frasi limpidi e tranquilli anche nel momento della denuncia più bruciante. Anche a sinistra molti non lo amano. Un sociologo di chiara fama, Alessandro Dal Lago, ha scritto un libretto, che è piaciuto al manifesto, in cui critica il fenomeno Saviano e lo considera alla stregua di tante espressioni della cultura mediatica odierna.
La verità è che nessuno sa chi sia davvero Saviano. Sappiamo però che è il personaggio pubblico più trasversale che ci sia, nel consenso e nell’ostracismo. Forse esprime la voglia di tanta parte anche della gente comune di riconoscersi in personaggi-simbolo che rompano lo schema destra-sinistra. Saviano, in verità, non fa nulla per creare attorno a sé suggestioni di anti-politica. Il grillismo è la cosa che gli è più lontana. Vive persino con fastidio questa vasta popolarità che è anche il segno di una scelta di vita abituata a sfidare il pericolo. Oggi è l’italiano più famoso all’estero, ma anche il più odiato in patria per le amare verità che racconta. C’è un fenomeno attorno a lui che risulta inspiegabile agli apologeti e ai critici più incattiviti. Un fenomeno che, a differenza di quello che pensa Dal Lago, sta scavando in profondità ben oltre le sue dimensioni mediatiche.
(di Peppino Caldarola)
Appello alla destra: non spegnete Rai3. E non regalate martiri alla sinistra
Sì, è vero, li pagano anche con i nostri soldi, ma pretendete che tra le merci televisive esposte ce ne siano almeno alcune di vostro gradimento, anziché pensare di eliminare quelle che piacciono ad altri. Assodato che in Rai non ci possono essere programmi che hanno il consenso di tutti, nemmeno le previsioni meteo, accontentatevi di pretendere la vostra fetta.
Anzi, visto lo sciame sismico di Santoro, che dopo il movimento sussultorio per il costoso addio alla Rai è passato al movimento ondulatorio perché non si sa se resta o va via e ondeggia, è il momento buono per rispedirlo su Raitre. Non si può tradire l’identità di una rete offrendo un programma che cozza con la linea editoriale e diciamo pure politica di Raidue. E se s’indignano, prospettate loro la soluzione simmetrica: Paragone, Sallusti o Belpietro su Raitre in cambio di Santoro, Floris o chi volete voi su Raidue. Ci state? Sarebbero corpi estranei.
Raitre è loro, Raidue è vostra, Raiuno muta con i governi. È brutto ma è così. Lasciate che tornino su Raitre tutti i veri o presunti epurati: da Ruffini alla Guzzanti, da Luttazzi a Rossi, da Travaglio a Crozza, fino a Beppe Grillo. Che se la sbattano loro di dirimere la controversia di far coabitare Santoro e Floris come Ruffini e Di Bella, più la marea di comici. Scegliete voi, commissari politici di Raitre, o mandateli tutti in onda in una non-stop di direttori, conduttori, animatori, cortei, forche e cotillons. Libertà. Gli italiani sanno distinguere almeno il vino dall’aceto o dalla birra, e il vino rosso dal vino bianco; e sanno che su quella rete troveranno quei programmi con quella precisa linea, quei toni, quegli attacchi. Libertà, lasciate libertà. Se non credete che sia giusto, accontentatevi di pensare che è più conveniente, o meno dannoso, se preferite.
Follia doppia sarebbe poi regalare Saviano al martirologio di sinistra, attraverso la censura o il mezzo taglio. Avete visto come Saviano viene attaccato anche da sinistra, sappiate distinguere in lui la scuderia di Repubblica dalle sue opinioni, spesso rispettabili; e la strumentalizzazione che ne fanno, spesso con il suo consenso, dai suoi testi che non pendono a sinistra. Non condannate il suo coraggio nel nome del teatrino che si ricama sopra, non cancellate la drammaticità delle sue denunce con lo sfruttamento commerciale e un po’ vanesio che Saviano stesso ne fa. Su di lui ripeto due obiezioni: non si può ridurre il sud intero a malavita e non si può rappresentare l’Italia nel mondo solo con le sue opere e i film tratti dai suoi libri. Nessuna censura, preferirei solo che Gomorra fosse proiettato a scopo educativo a Scampia o tra i casalesi, piuttosto che a Hollywood come unico ritratto italiano.
So bene che Saviano in video verrà usato in chiave antigovernativa, tramite l’untuoso precettore Fazio. Ma l’effetto si disinnesca se Saviano diventa un personaggio positivo anche per l’altra Italia, invitato anche su altre reti; se si ricordano alcune sue idee tutt’altro che sinistre e se si evita di farne un martire della Rai governativa, che così apparirebbe - per una perversa proprietà transitiva - il braccio armato della camorra. Sapete bene che sul piano politico il miglior argomento da opporre al savianesimo sono i fatti: dite quel che volete, teorizzate quel che vi pare, indignatevi pure, ma resta il fatto che in questi due anni si è colpita la camorra e la mafia come non era accaduto con nessuno dei precedenti governi: tra arresti, confische di beni, controllo di settori inquinati. È ancora poco, ma è tanto se lo paragonate ai precedenti. Lo dice pure Saviano.
La richiesta di cancellare dai palinsesti la carovana della sinistra televisiva non nasce da pulsione autoritaria ma infantile. Non c’è il furore giacobino che alberga dalla parte opposta, non c’è la negazione dell’avversario alla radice, il suo disprezzo integrale, tipico della sinistra illibertaria e dei suoi alleati questurini. Ma c’è dilettantismo ritorsivo, c’è infantilismo politico, con punte di rozzezza naive. C’è un’indole infantile che porta taluni a non voler sentire critiche, pur distorte, o chi prende in giro i suoi. E invece ci vorrebbe pazienza e saggezza, condita di piccola furbizia d’estrazione curiale, democristiana e volpino-liberale. Ma soprattutto ci vorrebbe una «destra» adulta che sappia accettare le critiche anche velenose e ingiuste, sappia circoscriverne la portata e misurare il modesto effetto che ne consegue, e sappia pensare in positivo rispondendo con i fatti o con opinioni opposte. Costruite programmi omeopatici su Raidue, chiamate chi volete voi, senza remore e timori, una volta accettati in video i telemilitanti della videosinistra. Via, siate più sicuri di voi e delle vostre idee, e fate anziché disfare, avanzate voi anziché fermare gli altri, procreate voi anziché curarvi degli aborti altrui. Su, non fate i bambini.
(di Marcello Veneziani)
sabato 5 giugno 2010
I silenzi e le ambiguità dell’onorevole Di Pietro

Di Pietro prese carta e penna, e scrisse un memoriale dettagliato, che diede ai magistrati e alle stampe. Le voci e i sussurri sul suo conto si zittirono immediatamente. In quell’occasione mostrò la sua faccia migliore, argomentando e spiegando. Rimasero solo le accuse di familismo spinto, e l’unico caduto sul campo fu Cristiano, costretto a dimettersi dal partito. Oggi è passato poco più di un anno, ma sembra un secolo. Secondo Di Pietro la pubblicazione dei verbali dell’architetto Zampolini va letta come «parte di una strategia eversiva» nei suoi confronti, decisa da «mandanti e beneficiari occulti». Colpa delle lobby, di una informazione schierata contro di lui. All’appello dell’invettiva mancano i giudici comunisti, ma con qualche allenamento possiamo arrivarci.
giovedì 3 giugno 2010
Donna Assunta: «Fini, da solo, non riesce a fare niente»

Donna Assunta, lei sarà molto arrabbiata.
Dopo l'Msi si è sciolta pure An.
"Gianfranco Fini non aveva ragioni di lasciare la sua casa di via della Scrofa. Poteva rimanere alleato di Berlusconi senza cambiare abitazione, come la Lega. Ha sbagliato ad accettare il passaggio da An a Pdl, ma che vuol dire poi Pdl? Io mica l'ho capito ancora".
Non è l'unica. Però anche per il Pd si può dire la stessa cosa.
Ma l'Italia è ancora un grande Paese democratico.
"La democrazia non c'è, c'è il suo degrado".
C'è almeno un politico che le piace?
"Stimo moltissimo Berlusconi, lui sì che è di destra".
E Fini?
"Cambiamo discorso".
Sarà lui il successore di Berlusconi?
Come vede il futuro di Fini?
"Come il presente".
Ossia?
"Non lo vedo".
Però è un fautore del presidenzialismo.
Se fosse lei al governo qual è la prima riforma che farebbe?
"Bisogna cambiare la legge elettorale: se sciolgono le Camere senza averne fatta una nuova, alle prossime elezioni inviterò i cittadini a non votare. E' indispensabile per gli elettori avere una lista di nomi tra i quali scegliere, agli italiani non serve che le segreterie di partito scelgano deputati e senatori al posto loro. Perché dobbiamo affidare la nostra vita a persone che non conosciamo e che a loro volta non conoscono le leggi?".
Perché non entra lei in politica?
Che è poi quello che ha sempre fatto. Si dice che fosse la più preziosa consigliera di suo marito.
"Sono sempre stata una donna indipendente, questo mio marito lo apprezzava molto. Lo accompagnavo spesso in giro per l'Italia e se mi chiedeva un'opinione non mi tiravo indietro. Anche quando scelse Fini come suo successore, volle ascoltare il mio parere".
Quindi se Fini è arrivato dove è arrivato è anche grazie a lei?
"In quel momento sembrava il giovane con più capacità. Giorgio ne ha lanciati moltissimi, è il leader che ha rinnovato maggiormente la classe dirigente. A parte Fini ci sono Storace, La Russa, Gasparri, Urso, Matteoli, Berselli, De Corato, Poli Bortone... ".
"Storace, certo. Ma anche La Russa, uno dei pochi politici validi e intelligenti del Pdl, che ha avuto la fortuna e l'accortezza di stare vicino a Berlusconi. Non ha smentito le capacità del padre, che era un uomo di altissime qualità morali e intellettuali".
E Fini?
"Fini è un uomo che da solo non riesce a fare le cose. Ha bisogno di qualcuno che da dietro lo spinga. Anche la chiusura dell'Msi, mica è stata un'idea sua".
"Sì, ma c'era un gruppo che lo spingeva verso questa cosiddetta svolta: Tatarella, lo stesso Ignazio, Urso, Gasparri. Sì è lasciato influenzare. Storace era contrario".
Fiuggi rimane una ferita aperta per lei.
"Fiuggi è una ferita per la democrazia. Quando fu votata la mozione di Fini, il 70%, forse l'80% delle persone se ne erano già andate. Non ci fu una chiamata individuale, in modo che ognuno si potesse esprimere con un sì o un no. Quei pochi che erano rimasti alzarono tutte e due le mani e la linea di Fini passò".
Dunque fu un colpo di mano.
Che mi dice di Alemanno?
"Lo conosco poco, quando ha iniziato a fare politica lui frequentava più spesso casa di Rauti".
A lei Rauti non stava molto simpatico.
Fini aveva detto che Mussolini è stato il più grande statista del secolo, poi ci ha ripensato.
"Guardi, io non sono mai stata fascista. Ma oggettivamente Mussolini è stato il personaggio chiave della storia italiana del XX secolo. E non dimentichiamo che, dopo venti anni di governo, ha lasciato la sua famiglia senza una lira e senza una casa. Non si è certo arricchito con la politica".
C'è chi accomuna Mussolini a Berlusconi.
Che ne pensa del gossip che circonda Berlusconi sui suoi presunti amorazzi?
"Sa che le dico? Meglio con le donne che con gli uomini".
Fini è favorevole alle coppie di fatto.
"Anch'io".
(Qui Donna Assunta si produce in una battuta epocale, che però non si può pubblicare. A ripensarci ridiamo ancora).
Lei crede in Fini?
"Non credo più a niente".
Obbedisce a Fini?
"Non sono nata obbediente".
Combatterebbe per Fini?
Che consiglio darebbe a Fini?
"Non posso dargliene, i sordi non sentono. Anche se...".
Cosa?
"Adesso c'è il mese della visita gratuita di controllo dell'udito. Potrebbe approfittarne".
Fini vuole dare il voto agli immigrati.
"Gli immigrati non lo vogliono il voto, quindi è del tutto inutile, come il voto degli italiani all'estero".
"Ma a che serve il Corano a scuola? Al limite si può leggere qualche pagina, ma la nostra religione, la vera religione, è quella cattolica. Poi non capisco perché quando si dice qualcosa sui musulmani bisogna pesare le parole mentre al Papa gliene dicono di tutti i colori e nessuno si scandalizza".
Le piace questo Papa?
"Molto. E' un uomo di grande cultura, anche se non arriva direttamente al cuore come il suo predecessore. Wojtyla era la faccia della bontà, della bellezza. Ti veniva voglia di abbracciarlo. Ratzinger invece ispira ammirazione".
"Lo stesso di Veltroni: non sta facendo niente".
Addirittura.
"Ha provato a farsi una passeggiata di sera ai Parioli? Manca la luce, è pieno di immondizia. Se questo è considerato il salotto di Roma, figuriamoci le periferie".
Sistemato Alemanno, passiamo alla Santanché.
"Della Santanché non dico nulla, né in bene né in male".
La Mussolini.
"Prima faceva l'attrice, mi pare. Quando ha visto che combinava poco è entrata in politica".
C'è qualche politica donna che le piace?
"La Finocchiaro e la Prestigiacomo".
Qualche uomo di sinistra?
Di Craxi che ne pensa?
"Un grosso personaggio, buon amico di mio marito"
E di Bossi?
"Ammiro in maniera incredibile la Lega, lavora sul territorio, è vicina alla sua gente. Io che sono mezza trentina, visto che ho casa in montagna da 34 anni, ho capito qual è la differenza principale tra nord e sud: il popolo del nord è progredito ma non è civile, non è affabile; invece il popolo del sud è civile, ma non è progredito. Bossi sbaglia quando se la prende con il sud: i meridionali sono molto intelligenti, quando emigrano diventano i primi della classe".
Torniamo a Almirante: quando strade italiane sono dedicate a suo marito?
A Roma?
"Nessuna. Il motivo non lo so, manco glielo chiedo a Alemanno. Faccio un'ipotesi: non vuole mettersi in urto con la comunità ebraica. Ma non regge".
Perché?
"Giorgio non è mai stato contro gli ebrei, durante la guerra ha salvato un amico ebreo, Emanuele Levi. Quando fu Giorgio a trovarsi in difficoltà, Emanuele gli trovò un lavoro. E poi un'altra cosa: il fratello di mio marito, Luigi Almirante, sposò Lucia, una ragazza ebrea, alla quale siamo tutti molto affezionati. Giorgio fu testimone di nozze".
Saluta tutti?
"Sì, ma cerco di non stringere la mano. Per comodità faccio il saluto romano".
Le sembra normale?
"Salutare romanamente è internazionale. L'ha fatto il popolo italiano, lo fanno tutti. Lo fa anche il presidente degli Stati Uniti".
Ma se qualcuno insiste per stringerle la mano?
"Giro sempre con le salviettine disinfettanti in borsa. Non ne posso fare a meno, ho un olfatto sensibilissimo. Svengo vicino a un cattivo odore. Pensi che avrei potuto diventare miliardaria".
Che c'entra con gli odori?
"C'entra eccome. Potevo essere un'autorità in campo cosmetico, nella ricerca dei profumi. Avrei fatto soldi a palate".
"Splendido, come me sono sempre cortesi. Li adoro tutti, a parte Perna. Infatti l'ho querelato".
Perché?
"Aveva scritto cose orribili su mio marito".
Ha querelato anche Benigni.
"Aveva scritto una filastrocca vergognosa su Giorgio".
Se le chiedesse scusa ritirerebbe la querela?
"Me lo hanno detto. Anche se non ho ben capito cosa sia questo Facebook".
La irritano le prese in giro di Dagospia?
"Ma no, D'Agostino mi tratta bene. E' simpatico e intelligente".
Mi riferivo alle foto di Pizzi.
"Quelle di Pizzi non sono prese in giro, ma opere d'arte. Mi ha messo anche in una mostra".
Lei è sempre in giro, la invitano ovunque.
E quando sta a casa come passa il tempo?
"A volte suono il pianoforte. Oppure canto".
E' brava?
"Una volta ad un ricevimento a Montecarlo ho cantato "Calabrisella mia" davanti al principe Ranieri. Gli piacque moltissimo".
Cosa vede in televisione?
"Quella di Santoro è una bella trasmissione. A prima vista può sembrare faziosa, ma ragionandoci sopra non è così".
Fede?
"E' molto devoto a Berlusconi".
Floris.
"Ah, quello non mi piace proprio. Mi dà l'agitazione, cammina molto e parla tanto, se potesse farebbe tutto da solo, senza ospiti. E poi non si capisce nulla, gli ospiti si parlano sopra. Mi dà sui nervi. Infatti dopo cinque minuti cambio canale".
"Garbato e preparato".
Cosa distingueva suo marito dai politici di oggi?
"Che lui era un politico, quelli di oggi non si sa cosa siano. E poi stava in mezzo alla gente: non frequentava i salotti, era uno del popolo".
E come marito?
"Eravamo la coppia ideale. Un'unione perfetta, comunione di spirito. Lui era il vero femminista, ha sempre considerato la moglie alla pari del marito, nel rispetto delle reciproche differenze. E poi aveva una dolcezza senza limiti, era educato, elegante".
Il vostro fu un colpo di fulmine?
"Per lui sì, io ci misi un po' a innamorarmi".
Vi univa anche la politica?
Non vuol dire necessariamente essere comunisti. Più semplicemente, avrebbe voluto aiutare chi se la passava peggio. Non fa così anche oggi?
"In continuazione. Casa mia è un ufficio di collocamento, manca solo la targa fuori dalla porta. Ma è soprattutto quando ci sono di mezzo problemi di salute che cerco di dare un mano. Negli ospedali conosco praticamente tutti: se una piccola raccomandazione può aiutare una persona a risolvere una situazione difficile, alzo il telefono volentieri. In Calabria si dice: l'abuttu un cride allu diunu".
Traduzione?
"Chi ha mangiato non si mette nei panni di chi è a digiuno. E invece bisogna farlo: solo così è possibile avvicinarsi al prossimo".
Altro che comunista, lei è apostolica.
"Sono molto credente, sì".
Le balle che preludono al caos

È quanto sta accadendo, anche se non nei termini così radicali che io indicavo. Per un collasso definitivo ci vorrà ancora un po' di tempo. Non molto. Il prossimo colpo sarà quello del K.O.. Lo ammette il ministro dell'Economia Giulio Tremonti che in un'intervista ad Aldo Cazzullo afferma: «Il crollo delle piramidi di carta, nell'autunno 2008, ha causato il crollo dell'economia reale, che invece si stava sviluppando in senso positivo. Ora a rischiare per un nuovo immanente crollo dell'economia di carta non c'è solo l'economia reale, ma anche la struttura sovrana dei debiti pubblici e quindi dei governi».
Aggiunge infatti Tremonti: «Il salvataggio dell'economia di carta, garantito dagli Stati, ha riprodotto in forma diversa le stesse condizioni di crisi potenziale che c'erano appena due anni fa... Da un lato sul mercato "over the counter", il mercato principe dell'economia di carta sono tornati gli stessi valori ante-2008, dall'altro lato nel mondo ogni otto secondi si emette un milione di dollari o di euro di nuovo debito pubblico».
Tremonti ammette cioè che, come avevo scritto qualche tempo fa sul Fatto, la crisi è stata temporaneamente tamponata immettendo nel sistema altro denaro inesistente, drogato, tossico non meno dei titoli "tossici", nella speranza che il cavallo dopato faccia ancora qualche passo in avanti. Ma la cosa non può durare ancora a lungo, perché, prima o poi, arriva il momento fatale dell'overdose mortale.
«Ma come può intervenire la politica?» chiede a questo punto Cazzullo con un tremito nella voce (almeno così immagino).
«È già molto capire e l'impressione è che, sopra i popoli, superato lo choc iniziale, anche segmenti sempre più ampi delle classi dirigenti comincino a capire».
Ma noi non abbiamo bisogno di classi dirigenti che capiscono le cose quando sono già avvenute, che ci dicano il risultato della partita quando è finita. Ciò che io, che non sono un economista, avevo capito o intuito nel 1998, il ministro dell'Economia Giulio Tremonti aveva il dovere di capirlo almeno nel 2007 quando ci fu il tracollo dei "subprime" americani. Le sue prediche di oggi, elargite con gran prosopopea, sono inutili oltre che sommamente irritanti (tra l'altro Tremonti, per salvarsi l'anima, colloca il sopravvento dell'"economia di carta" sulla cosiddetta "economia reale" nei primi anni del 2000, ma il processo si è prodotto molto prima, tanto che già nel 1964 l'americano David T. Bazelon, che non era neppure lui un economista ma un letterato, aveva scritto "L'economia di carta" che sosteneva questa tesi).
E ciò vale, ovviamente, non solo per Tremonti ma per tutte le classi dirigenti occidentali, politici, economisti, imprenditori, intellettuali che o non hanno capito, e allora sono dei coglioni indegni di dirigere una Asl, o sono dei mascalzoni che hanno fatto finta di non capire e ci hanno ingannato come continuano ad ingannarci. Perché anche la distinzione fra capitalismo finanziario e capitalismo industriale (l'"economia reale") è un inganno. Anche il capitalismo industriale si basa sulla stessa logica di quello finanziario: una inesausta scommessa su un futuro, additatoci continuamente, per tenerci al basto, come Terra Promessa, che arretra costantemente davanti ai nostri occhi con la stessa inesorabilità dell'orizzonte davanti a chi abbia la pretesa di raggiungerlo. Se mai il capitalismo finanziario, con la sua brutalità, ha il pregio di smascherare questo giochetto infame che dura da due secoli e mezzo e che deve finire. E finirà.
In un bagno di sangue, quando, crollato questo modello di sviluppo paranoico, la gente delle città, accorgendosi che non può mangiare il cemento e bere il petrolio, si dirigerà verso le campagne dove verrà respinta a colpi di forcone da chi, avendo compreso le cose per tempo, sarà tornato, come ai vecchi tempi, all'economia di sussistenza (autoproduzione e autoconsumo) in cui il valore di una mucca, a differenza di quello del denaro o del petrolio, resta sempre tale, perché una mucca bruca, trasforma l'erba in latte, caga come dio comanda e concima, in un ciclo biologico perfetto, e, al limite, se ne può sempre fare bistecche.
In quanto a Tremonti e a tutti i Tremonti della Terra per loro è pronto, se saranno ancora vivi, l'albero cui saranno pregati di appendersi.
(di Massimo Fini)
martedì 1 giugno 2010
Diciamo addio a Silvio?
