martedì 21 aprile 2009

Guareschi, Ferrazzoli e (non solo) Don Camillo

Da Il Fondo: Susanna Dolci intervista Marco Ferrazzoli

Dunque facciamo il computo: il prossimo primo maggio saranno i suoi 101 anni dalla nascita (1908) + 41 dalla morte (1968) = disegnatore, umorista, giornalista, scrittore. Moltiplicato per “Bertoldo”, “Candido”, “Borghese”, “La Notte”, “Oggi” e, tra i numerosi libri, “Il destino si chiama Clotilde” (1942), “Diario Clandestino” (1946), “Lo Zibaldino” (1948), “Mondo piccolo: Don Camillo” (1948). Dividiamo la sua bravura anche con i furono Fernandel e Gino Cervi e tiriamo le somme. No anzi, per carità, ancora no la riga del totale. I conti tornano solo se aggiungiamo la penna di Marco Ferrazzoli [nella foto sotto] che nel 2001 ed a fine 2008 ha editato due libri su di Lui. Giornalista professionista e capo ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Ferrazzoli ha al suo attivo una mole di pagine scritte, quasi avesse un po’ preso il vizio del nostro di cui stiamo scrivendo… Giovannino Guareschi. O meglio per dirla con il titolo dell’ultimo volume ferrazzoliano, alla sua seconda edizione, Non solo Don Camillo. L’intellettuale civile Giovannino Guareschi (L’Uomo Libero Onlus, www.luomolibero.it). Guareschi va sempre rispettato, amato e ricordato ad ogni e da ciascuna generazione. Guareschi va ammirato per la sua azione indipendente e scevra da legami politici, partitici e legata “solo” a quelle dignità, forza d’animo ed eticità che sempre lo hanno contraddistinto. La sua scrittura è stata adamantina e franca. Di quella lucida schiettezza intellettuale di chi è andato all’inferno e tornato dopo aver obliterato con il sangue, le lacrime, la disperazione lacerante i documenti di viaggio. Di chi, però ed anche, ha imparato ad usare il bisturi dell’ironia per rimuovere la purulenza delle nefandezze della guerra, della politica, della religione al pari della laicità. Al duro prezzo, certamente, dell’agognata verità. Meglio: Libertà. «No, niente appello: per rimanere liberi bisogna a un bel momento prendere senza esitare la via della prigione», scriveva Guareschi. Alzi la mano se c’è ancora qualcuno disposto a fare ciò! Se tuttora c’è, lo premierò personalmente con il migliore dei lauri… riconoscendogli ciò che gli è di spettanza, foss’anche un niente di nullo valore. Perché è stato il niente il dovuto a Guareschi. Ma Egli ne fece, pur sempre, il preferibile ed inappuntabile dei patrimoni… E lontane echeggiano quelle parole di piombo di chi fu al suo pari integro, Ezra Pound: «Il tesoro d’una nazione è la sua onestà»… O, almeno, dovrebbe… Anche per ogni singolo: dovrebbe… Ma dipende sempre dai quei benedetti/maledetti punti di vista…. Lascio qui la parola a Marco Ferrazzoli, catturato da Il Fondo tra una presentazione e l’altra del suo volume, e ringraziato sentitamente per la sua pronta disponibilità.

Quanti libri hai scritto su Giovannino Guareschi? E perché la passione per questo pazzo ed eccezionale scrittore ed uomo?

Due: Guareschi. L’eretico della risata, edito da Costantino Marco nel 2001, e Non solo Don Camillo, uscito a fine 2008 per l’Uomo Libero. Più ovviamente una quantità di articoli, relazioni, etc. La passione come lettore è nata da bambino, quella come saggista da adulto, quando già lavoravo come giornalista.

Ci puoi parlare de “L’Uomo Libero”?

Nata come sodalizio culturale, l’Associazione “l’Uomo Libero” ha esteso le sue attività alle iniziative umanitarie che, con il trascorrere degli anni, si sono moltiplicate: Romania, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Lituania, ex-Jugoslavia. In Serbia ha ricostruito l’ospedale di neurologia infantile di Belgrado, danneggiato dai bombardamenti Nato. E poi Bolivia, Cile, Ecuador e Tibet, con la realizzazione di un Centro per l’infanzia a Bhandhara. L’associazione si è impegnata nella premiazione del Dalai Lama al Premio Internazionale di Solidarietà Alpina nel 2001. Negli ultimi anni l’associazione è assorbita dal progetto “Evita” in favore della popolazione argentina e alla Birmania e al popolo Karen. Nella Birmania Orientale è in corso una sanguinosa guerra contro i Karen e l’Uomo Libero ha lanciato il progetto agricolo “Terra e Identità”, al quale vanno anche i ricavati del libro.

Dubbio amletico: Guareschi è di destra, sinistra, centro? È l’uomo della im-possibile unificazione tra cattolici e comunisti? O ‘è’ unico e basta?

È impossibile o almeno intellettualmente ‘omertoso’ pensare a un Guareschi che non sia di destra, anzi che non sia considerato come uno degli scrittori più emblematici di quest’area politico-culturale. Il Guareschi ‘apolitico’, magari addirittura ‘catto-comunista’, anticipatore del compromesso storico, è una deformazione grottesca, spesso propalata in malafede dai suoi avversari e critici ma talvolta, il che è forse peggio, sostenuta dai suoi amici nell’intento di difenderlo. Purtroppo l’equivoco è stato tanto diffuso che ancora oggi si fatica a sradicarlo. L’Espresso e Carlo Fruttero definiscono Giovannino come l’inventore del e . Mario Missiroli come il profeta del , Enzo Biagi parla di . Per Giovanni Mosca, Baldassarre Molossi e Alberto Giovannini, GG anticipa , e . Il mio saggio vuol confutare tale tesi ed essere una biografia politica e intellettuale che poggi prima di tutto su quanto Guareschi diceva e diceva di se stesso. Ad esempio, cito la frase che lui chiese autoironicamente come epitaffio: . Dunque, Guareschi è un ‘reazionario confesso’. La medesima qualifica, del resto, compare anche nella “carta d’identità” del suo giornale, quello tra i tanti dove scrisse che politicamente lo identifica meglio: . Nella presentazione del suo settimanale poi compare un’altra espressione senza possibilità di fraintendimenti: . Dunque Guareschi è anche “di destra”, nel senso che lui stesso dichiara con un’articolata auto-presentazione: .

Allora quale la grande importanza di Guareschi nella storia del XX secolo?

Indro Montanelli fu lapidario: «La storia del XX secolo la si può fare senza chiunque altro ma non senza Guareschi». Io lo confermo, evidenziando che Guareschi non solo fu un grande scrittore, giornalista, disegnatore e umorista, ma soprattutto un grande intellettuale e personaggio italiano. È un autore centrale della nostra letteratura, un giornalista politico fondamentale e un raro esempio di coerenza umana e intellettuale. Non esagero, anche solo ricordando gli episodi più importanti della vita e dell’opera di questo scrittore. Già nella prima metà del ‘900 Giovannino è un celebre giornalista del Bertoldo. Nel 1943 viene deportato nei lager nazisti, divenendo una figura di spicco della “resistenza bianca”. Al rientro fonda e dirige il Candido, il maggior settimanale politico-satirico del dopoguerra. Nel ‘46 sostiene la monarchia al referendum istituzionale. Fornisce un contributo essenziale alla vittoria democristiana nelle elezioni del 1948 con i famosi manifesti «Nell’urna Dio ti vede, Stalin no» e «Mamma votagli contro anche per me». Diviene un importante opinion-leader, uno dei più feroci fustigatori del partitismo e il principale polemista anti-comunista. Nel ‘53 finisce in carcere per diffamazione di Einaudi e De Gasperi. Già questa sommaria lettura della sua biografia dimostra come sia stato uno dei più importanti intellettuali civili italiani del ‘900. Naturalmente, ci sono anche i libri del Mondo piccolo e molti altri: venduti e tradotti in milioni di copie, hanno ispirato film ancor oggi di grande audience. Ma, forse, a questo successo si deve un paradossale fraintendimento: l’edulcorazione dell’importanza storica e culturale di Guareschi e la sottovalutazione della sua statura morale. Ecco perché ho voluto intitolare il mio saggio ‘Non solo Don Camillo’

Il 2008 è stato un anno importante per Guareschi. Il centenario della nascita ed il quarantennale della morte. Come sono state le celebrazioni?

Il tempo sta rendendo giustizia a Giovannino Guareschi con lenta parsimonia. Tra il 2008 e l’inizio del 2009, in occasione dei 100 anni dalla nascita, si sono visti Don Camillo e Peppone sulle copertine de il Venerdì di Repubblica, articoli che esaltano i 20 milioni di libri , molte iniziative sulla piazza emiliana e nazionale, inclusi convegni all’Università che hanno un po’ il sapore della riabilitazione accademica. In quest’anno guareschiano, tra serate conviviali, itinerari culturali, fluviali ed eno-gastronomici, il profluvio saggistico è stato davvero una doverosa nemesi rispetto alla prolungata omertà. Certo, anche in questo frangente ad esaltarlo è stata soprattutto la critica moderata, conservatrice, non di sinistra, ma si sono tenute anche iniziative più filologiche. Inclusa quella sul film La rabbia che ha visto il famoso episodio della cosiddetta della parte firmata da Guareschi ad opera di Giuseppe Bertolucci, il regista che ha detto: .

«Non muoio neanche se mi ammazzano». Questa è una delle frasi celebri di Guareschi.

L’otto settembre del 1943 Guareschi decide, insieme agli altri ufficiali, di finire nei lager pur di restare fedele alla parola data come . Il calvario dello scrittore e dei suoi compagni si protrae dal settembre 1943 all’aprile del ‘45, passando per sette campi di concentramento di Germania e Polonia. Giovannino giunge a un soffio dalla fine per debilitazione, crolla da ottanta chili a quarantasei ma trova la forza necessaria per tornare vivo. Come aveva promesso. è la frase che ripete, come tu osservi, ai compagni di detenzione per rincuorarli. Per loro organizza iniziative come Radio Caterina, Radio B90, la “Regia università di Sandbostel” e i giornali parlati, nella convinzione che tenere alto il morale sia la prima condizione affinché il corpo non ceda. Oreste Del Buono ricordò il collega e compagno di lager così: .

Guareschi è stato inserito nella corrente storiografica del “revisionismo”. Secondo me è stato “semplicemente” un uomo che ha vissuto tutto quello che si poteva ed è riuscito a scriverne in uno stile superbamente umile, lucidamente emotivo… Per te?

Possiamo senz’altro inserire Guareschi nella corrente storiografica del “revisionismo”. Come affermò sempre Montanelli, era , con la sola differenza che . Il revisionismo guareschiano ha però, su questo hai ragione, una ricaduta letteraria di indubbia poeticità. Pensiamo al racconto , in cui un anziano maestro si trova davanti al compito zeppo di errori del figlio di uno degli assassini del suo unico figlio Mario, andato partigiano e ucciso in guerra: indeciso sul voto tra , è a suggerirgli il sei. Come osserva Gianfranco Venè, nel Mondo piccolo . Sul piano politico, possiamo dire con Roberto Chiarini che era un , per quanto sia forse ancor più corretta la qualifica di “a-fascista”. Lo dimostrerà con il Candido, nell’immediato dopoguerra, decidendo di stare con i pochi che . Gli italiani, constata con amarezza, si illudono: . Il riferimento a piazzale Loreto torna esplicito in un altro commento del settimanale: . Lo stesso atteggiamento porta Candido a battersi contro le , e la legge che vieta la ricostituzione del : . Chiarini osserva che Guareschi passa da un ad una posizione di .

Ancora sulle perle di Guareschi. Puoi citarci alcuni suoi pensieri o frasi folgoranti? Ti aiuto, iniziando io: «Eterno Pericolo (20 gennaio 1944): Racconti di guerra: Russia, Croazia, Albania, Montenegro, Africa, cielo, mare. Qui si vivono mille vite, la guerra si moltiplica in mille episodi, e non è più una parola, ma un concetto di spaventosa, terrificante evidenza. Anche per chi non l’ha vissuta. Ma domani la storia diventerà letteratura, e si faranno recensioni ai libri, non alla guerra. E si dirà - come per Remarque -: “Che bel libro!”. E nessuno dirà: “Che orrore di guerra!”».

Vado a caso: , . Al Corriere emiliano, nella cronaca del discorso tenuto da un ras, scrive che persino i degenti del locale manicomio avevano applaudito. Sulla Gazzetta dell’Emilia titola un articolo su una vedova morta vicino alla lapide del marito: . Ricordando , dice che i leader . Tra le frasi serie, invece: , scrive nel Grande diario. E nel lager usa un’espressione straordinaria: . In carcere, dieci anni dopo, terrà lo stesso atteggiamento: . E ripete: .

Ci vuoi parlare di lui e Giorgio Pisanò?

Guareschi incontra Pisanò - ex combattente della Rsi, parlamentare del Msi, fascista dichiarato ma giornalista e storico apprezzato - il quale, rilevata la testata del Candido, chiede al suo fondatore ed ex direttore di farla rivivere insieme. La proposta, racconta Pisanò, viene accettata da Guareschi con , maturata su istanza di lettori e ammiratori: . Il tutto avviene però e la improvvisa e precoce scomparsa di Guareschi, a soli 60 anni, manda a monte il progetto comune: Pisanò, com’è noto, condurrà il Candido da solo.

Concludendo: a chi consiglieresti la lettura di Guareschi? Ed ha senso leggere ancora Guareschi in questo secolo di nullità e deserto canceroso?

Lo consiglierei a tutti, soprattutto perché viviamo in un’epoca culturale in cui, in effetti, non sembrano abbondare i giganti.

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