sabato 2 maggio 2009

Quel che resta dei comunisti...

di Stefano Spada (www.mirorenzaglia.org)

A ripensare oggi a quella foto, con Bertinotti nero di rabbia mentre sopra di lui Cossutta stringe la mano a Diliberto, sembrano quasi bei tempi. E’ il ‘98 e il segretario del Prc ha appena votato contro la Finanziaria del primo governo Prodi che subito dopo cade. Rifondazione comunista si scinde: da una parte i duri e puri che decidono di continuare a restare nella coalizione di centrosinistra e di dare vita al Partito dei comunisti italiani, dall’altra chi scommette nel movimento dei movimenti che si sta per affacciare sulla scena mondiale (le contestazioni al Wto di Seattle saranno pochi mesi dopo, gennaio ‘99). Sì bei tempi, perché Rifondazione comunista pur sotto attacco perché accusata di aver riconsegnato il paese alle destre, inizia allora quel percorso di innovazione e di critica alle vecchie ideologie, ma anche un percorso per riconquistare il consenso, che oggi sembra quasi un eldorado. I comunisti e la sinistra si presentano infatti alle elezioni del 2009 spaccati, divisi, frantumati in numerosi simboli, partiti, idee, frazioni e gruppi che niente (o quasi) conservano di quella spinta che nel ‘98, pur sconfitti e sotto accusa, faceva pensare che un mondo migliore era possibile. Bastava volerlo. Bastava chiudere, criticamente e drasticamente, con la storia del socialismo realizzato. Le sue bruture. Le sue torture.

Ma quei tempi erano davvero così belli? Come sempre, le luci e le ombre si equivalgono. Checché se ne dica oggi di Fausto Bertinotti, il segretario del Prc, liberatosi dalla zavorra dei cossuttiani non di Cossutta (più intelligente e colto dei suoi seguaci) dal ‘98 in poi imprime a Rifondazione, svolta dopo svolta, un nuovo carattere: aperto, innovativo, capace di mettere in discussione tutto, dalla forma partito a un’idea di conflitto e di radicalità liberate dalla concezione violenta della storia. Svolte che gli costano critiche, attacchi anche personali da parte delle ali più dure del movimento, ma che vedono il partito seguirlo compatto. Così sembra, almeno. Perché la storia dell’ultimo anno dimostra che Bertinotti vinceva sì i congressi, ma non vinceva sul senso comune, non tanto della base quanto del gruppo dirigente in cui un peso, che poi si è rivelato determinante, lo hanno sempre avuto Claudio Grassi e i cosiddetti grassiani del partito. Nel ‘98 la scissione con Cossutta avviene solo a metà. Molti degli uomini e delle donne a lui legati, per storia e per idee, restano dentro Rifondazione, capeggiati appunto da Grassi. Una corrente, una lobby, una mozione? Chiamateli come volete, ma è con loro che Bertinotti ha dovuto, negli anni, mediare. Comunisti di vecchio stampo, non si sono mai ricreduti su niente. Neanche su Stalin. Neanche sulle foibe. Neanche sulla guerra fredda che per loro è ancora in corso.

Il “nuovo” volto di Rifondazione comunista oggi sono loro. Non è il segretario Paolo Ferrero che viene da Democrazia proletaria e che con la storia di un certo comunismo ha poco a che fare. All’ultimo congresso, dopo la sconfitta elettorale del 13 aprile, a Chianciano Ferrero diventa segretario grazie all’accordo con i grassiani e con qualche sparuto trotskista. Un accordo letale. Il nuovo segretario cede su tutto alla vecchia ideologia. Caccia Piero Sansonetti da Liberazione, chiude tutte le porte in faccia alla mozione legata a Nichi Vendola. E’ dentro questo clima che matura la nuova scissione. Nasce, legato a Vendola, il Movimento per la sinistra, confluito per le prossime europee nel cartello elettorale di Sinistra e libertà (con i Verdi e i Socialisti di Nencini). Ma i rivoli della ex Rifondazione sono molti di più. Dentro lo stesso Prc convivono i ferrariani, le femministe, i grassiani, i trotskisti e Rifondazione per la sinistra, cioè coloro che avevano votato Vendola al congresso di Chianciano ma che al momento della scissione hanno deciso di restare. I maligni dicono perché attratti da nuove poltrone, i più buoni dicono perché poco convinti dalla nuova formazione capeggiata dall’attuale presidente della Regione Puglia.

Fuori da Rifondazione, oltre al Movimento per la sinistra, esistono anche altri due partiti originari del Prc: Sinistra critica, quella di Turigliatto (il senatore del Prc cacciato perché aveva votato contro il rinnovo della missione di Afganistan) e il Partito dei lavoratori, capeggiato da Marco Ferrando. Entrambe le formazioni hanno depositato il simbolo per partecipare alle prossime elezioni europee, ma non è detto che si presentino davvero (dovrebbero infatti prima fare la raccolta firme). Rifondazione comunista, invece, per quegli strani giri di valzer della storia, si riallea, dieci anni dopo, con i fratellastri del Pdci, con una associazione di consumatori e con Cesare Salvi (ex Ds e poi ex Sdi) mentre è saltato l’accordo con Sinistra critica.

Alle europee del prossimo giugno, gli elettori e le elettrici avranno solo l’imbarazzo della scelta. Ma i sondaggi dicono che molto probabilmente nessuna formazione di sinistra raggiungerà il quorum. Tutti a casa? Molto probabilmente sì. E non sarebbe una cattiva notizia, se finalmente servisse a uscire dai settarismi e fosse occasione per creare una sinistra radicale e conflittuale, ma ormai post comunista, capace di parlare davvero alla gente dei suoi problemi. I problemi di oggi non dei proletari della Russia all’inizio Novecento. Progetto che, ad onor del vero, fin dal suo nascere ispira Vendola e il suo Movimento per la sinistra.

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