sabato 13 giugno 2009

28 giugno 1940: cade Balbo, "l'aquila del fascismo"

E' l'unico gerarca che il duce tema. "L'unico _ dice a denti stretti Mussolini _ che sarebbe capace di uccidermi". L'unico che gli dia del tu in pubblico, che si permetta di scherzare a Palazzo Venezia, che lo provochi chiamandolo presidente, quasi a voler ostentare che complessi di inferiorità non ne ha. Lui, con quell'aria spregiudicata e moschettiera che seduce e irrita Mussolini, è Italo Balbo, virtuoso dello squadrismo, quadrumviro, trasvolatore, padre dell'aeronautica, grande amatore, ministro, governatore della Libia, il solo politico fascista, oltre al duce, celebre in tutto il mondo. Il solo, con Mussolini, a possedere il carisma del capo. La sua storia è la favola realizzata dell'uomo della strada che dice "se comandassi io" e arriva davvero a comandare, coautore, complice e vittima del sistema. Balbo è il bastian contrario del regime, con quel carattere orgoglioso, ironico e giocoso, di uno che va controcorrente e se ne vanta. Brucia le tappe con un'ansia febbrile. In apparenza, sembra un condottiero rinascimentale, una cavaliere di ventura del Cinquecento paracadutato nel Ventesimo secolo, il Giovanni dalle Bande Nere del suo tempo. In realtà, è qualcosa di più: la sua immagine, complessa e sfaccettata, è quella di un leader moderno, che sa sfruttare i mass media, eccitare e pilotare le masse, crearsi una straordinaria popolarità come piedestallo per l'assalto al potere. Ma il potere vero è un altro film e ha un altro nome: quello di Mussolini, il capo che accetta solo gregari. E così, dopo i trionfi di Rio e di New York e il mito dell'eroe azzurro nell'immensità del cielo, ecco giungere puntuale lo schiaffo dell'"esilio" in Libia, ras di uno scatolone di sabbia. E' una sconfitta che gli resterà sempre dentro. Fino a quel fatale 28 giugno 1940, quando nel cielo di Tobruk, nel cuore di quella guerra che detesta, viene abbattuto dalla distratta contraerea italiana. La sua ala viene spezzata dal destino: tragica beffa per l'"aquila del regime" e per la presunzione del vincente, che nella vita si era sempre divertito a scommettere sulla fortuna. Sono le 17,35 del diciannovesimo giorno di guerra. L'Italia è impegnata in Africa contro gli inglesi. Le mitragliere da venti dell'incrociatore San Giorgio, ancorato in rada, spediscono verso il cielo bordate di proiettili. Il bersaglio? Due aerei presunti inglesi, in realtà due trimotori color piombo, i "gobbi maledetti" dell'aviazione italiana, resi sospetti da una precedente incursione della Raf e dal gioco del sole. Il primo aereo, raggiunto sotto l'ala destra, è in difficoltà. Il pilota si avvicina alla pista per atterrare. Il bersaglio è troppo facile, un invito a nozze. Una fiammata investe la fusoliera, centrata in pieno. Il Savoia Marchetti esplode in una palla di fuoco. Si leva rauco un grido di esultanza, i serventi ai pezzi si abbracciano festosi. Pochi minuti e apprenderanno di avere abbattuto l'aereo del loro comandante, l'SM 79 I Manu di Italo Balbo. Nove passeggeri, nessun superstite. Il "moschettiere" di Ferrara è morto come è vissuto, a modo suo. Irruente, innamorato del rischio, schierato sulle barricate. Volendo sempre, e comunque, vivere pericolosamente.

(fonte:www.ilsole24ore.com)

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