mercoledì 24 febbraio 2010

Leggere il Secolo: la destra legalista balla in maschera, ma di Quaresima


Come già nel 1992, la congiuntura attuale sembra decisamente propizia per la destra finiana. Allora per il partito di Gianfranco Fini fu possibile uscire dalle catacombe del neofascismo grazie al crollo della Prima Repubblica, irrancidita nel sistema di finanziamento illecito ai partiti e delegittimata nel proprio arco costituzionale dalla caduta del Muro di Berlino. L’Msi entrò così a corte, intestandosi la bandiera della legalità troppo a lungo conculcata da un sistema di relazioni e di spartizione del potere dal quale, come la Lega di Umberto Bossi, era stato programmaticamente escluso. Un’esclusione sofferta ma, giudicata, a posteriori, anche provvidenziale: nulla si poteva rimproverare a chi del potere non aveva amministrato nemmeno il riverbero periferico.

A corte i missini hanno trovato Silvio Berlusconi, una durevole coda di cometa craxiana sulla cui scia è stato possibile improvvisarsi nuova classe dirigente per quindici anni, e diventarlo perfino in non rari casi. Oggi l’astro del berlusconismo, come ogni fenomeno soggetto alle leggi della natura, sembra emanare una luce tremula simile a quella delle stelle lontane il cui spegnimento si può percepire soltanto a una certa distanza temporale dal processo di consunzione. Nel frattempo il presidente della Camera ha preso a brillare di luce politica propria, come testimoniano la baldanza dei suoi seguaci e il nervosismo dei suoi avversari. In condizioni di normalità, ci si dovrebbe predisporre all’ineluttabilità di un avvicendamento controllato.

Ma oggi – ecco il punto – il ceto dirigente patisce un malanno simile a quello del 1992, non può negare che il malcostume e il malaffare hanno messo nuove radici e sono saldamente avviticchiati al tronco della cosa pubblica. Lo stato d’emergenza è ingigantito dalla guerriglia psicologica dei mezzi d’informazione che tornano a evocare la parola totemica di tutte le rivolte senza rivoluzioni: corruzione. Il flusso di coscienza giustizialista è già in moto e, come un magnete attivo, attrae il consenso subliminale del cittadino-elettore. Il risultato, salvo clamorosi rivolgimenti giudiziari, è che per la destra legalista di Fini si aprono larghi spazi di azione e si accorciano le distanze che la separavano dall’assunzione di più alte responsabilità istituzionali. Ma insieme con questa consapevolezza si riaccende la memoria biologica di Tangentopoli, si riaffacciano certe pulsioni sopravvissute alla rottamazione dell’Msi e di Alleanza nazionale. Le stesse pulsioni che ispirarono a suo tempo il lancio delle monetine contro Bettino Craxi e il girotondo intorno a Montecitorio al grido: “Arrendetevi, siete circondati”.

Questa ansia moralizzatrice dirige inevitabilmente anche contro i colleghi berlusconiani, più esposti nel tiro al bersaglio delle procure, macilenti e disordinati nel cozzar d’armi. Il Cav. per primo ha aperto la propria cittadella all’urgenza di misure correttive. Così i finiani ora in groppa a questa urgenza scorazzano, dal capo in giù, reclamando una pulizia etica interna al Pdl, maggior rigore nella selezione della nomenclatura, ostracismi per i rinviati a giudizio, addirittura un codice dettato dall’antimafia. Il Secolo d’Italia, quotidiano di Fini, ieri conteneva appunto questo sillabario da casa circondariale sussunto ai piedi d’un titolo d’apertura che richiamava vagamente l’operosità leninista: “Corruzione, che fare?”. Anche qui: in condizioni di normalità l’autodisciplina e l’autocensura imposte per decreto sono benedette. Ma nell’attuale circostanza, in mancanza di un disegno armonico concordato con i berlusconiani, suonano come l’ammissione che ci sarà bagarre domestica, che ci si sta piegando alla voluttà di affondare un colpo di grazia.

Non tutti i finiani ragionano così. I riflessivi come Alessandro Campi si pongono il problema di conciliare l’esigenza di moralità con il bisogno di evitare la convergenza delle linee di frattura politico-giudiziarie ed economiche altrimenti destinata a scatenare una sincope di sistema. Quanto a Fini, dovrebbe sapere che anche alla più credibile delle maschere non basta un canovaccio di fama internazionale, se poi intorno gli crolla il teatro.

(di Alessandro Giuli)

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