venerdì 2 luglio 2010

Anche Tremonti ha capito che il "doping" del denaro farà crollare il mondo


Nell’ultima pagina del mio libro "Denaro. Sterco del demonio", del 1998, così concludevo: «Il giorno del Big Bang non è lontano. Il denaro, nella sua estrema essenza, è futuro, rappresentazione del futuro, scommessa sul futuro, rilancio inesausto sul futuro, simulazione del futuro ad uso del presente. Se il futuro non è eterno ma ha una sua finitudine, noi, alla velocità cui stiamo andando proprio grazie al denaro, lo stiamo vertignosamente accorciando. Stiamo correndo a rotta di collo verso la nostra morte come specie. Se il futuro è infinito ed illimitato, lo abbiamo ipotecato fino a regioni temporali così sideralmente lontane da renderlo di fatto inesistente. L’impressione infatti è che, per quanto veloci si vada, anzi propri in ragione di ciò, questo futuro orgiastico arretri costantemente davanti a noi. O forse, in un moto circolare, niciani, einsteniano, proprio del denaro, ci sta arrivando alle spalle gravido dell’immenso debito di cui lo abbiamo caricato. Se infine, come noi pensiamo, il futuro è un tempo inesistente, un parto della nostra mente, come lo è il denaro, allora abbiamo puntato la nostra esistenza su qualcosa che non c’è, sul niente, sul Nulla. In qualunque caso questo futuro, reale o immaginario che sia, dilatato a dimensioni mostruose e oniriche dalla nostra fantasia e dalla nostra follia, un giorno ci ricadrà addosso come drammatico presente. Quel giorno il denaro non ci sarà più. Perché non avremo più futuro, nemmeno da immaginare. Ce lo saremo divorato».

Sono i concetti su cui Giulio Tremonti sta insistendo in questi mesi, riferendosi all’Italia ma che valgono per tutto il mondo così detto sviluppato, e che ha ribadito anche martedì a una cerimonia ufficiale: «Non può continuare l’illusione che tanto poi qualcuno pagherà. Stavolta non ci saranno posteri a pagare. A pagare saremo noi». Siamo andati così veloci in questa rapina del futuro, contando che a pagare sarebbero stati i nostri posteri, che siamo diventati posteri di noi stessi. Poi, parlando dei "derivati", che sono un moltiplicatore della scommessa sul futuro, ha aggiunto: «C’è bisogno di una regola che prima impedisca di creare e poi di mettere in circolazione una ricchezza futura che non c’è».

Sarebbe facile obiettare a Tremonti che quello che avevo capito io, che non sono un economista, nel 1998, lui che è ministro delle Finanze o dell’Economia, dal 1994, aveva il dovere di capirlo se non dodici anni fa almeno nel 2007 quando ci fu la crisi dei "subprime" americani e che le sue prediche, oltre che tardive, sono, anche per la prosopopea con cui vengono espresse, irritanti. Ma non ci interessa polemizzare col ministro quanto rilevare che è d’accordo anche sul fatto che la crisi è stata tamponata al solito modo: immettendo nel sistema un’altra enorme quantità di denaro inesistente (i tre trilioni di dollari improvvisamente spuntati in America, per esempio), drogando ulteriormente il cavallo già dopato e sperando che faccia ancora qualche passo.

In un’altra, recente, occasione ha infatti dichiarato: «Nel mondo ogni otto secondi si emette un milione di dollari o di euro di nuovo debito pubblico». Per cui si aspetta, a breve, una nuova crisi («In un mondo dove incombe il rischio di un drammatico, devastante e nuovo crollo delle piramidi di carta...»). A furia di drogare il cavallo arriva fatalmente il momento del collasso definitivo per overdose. Come io avevo previsto nell’ormai lontano 1998.

(di Massimo Fini)

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