mercoledì 4 maggio 2011

Osama è morto. L'integralismo no


Osama Bin Laden è morto. Al Qaeda probabilmente si decomporrà. Ayman al Zawahiri, medico, amico e stratega dello sceicco del terrore, tornerà forse in Egitto e riprenderà la sua sporca guerra contro l'islamismo imborghesito. Dei jihadisti superstiti della falange acquartierata tra l'Afghanistan ed il Pakistan, nessuno può dire che cosa ne sarà. La sola cosa da escludere è che si disperderanno per farsi dimenticare e guadagnarsi magari la sopravvivenza. Il qaedismo, insomma, come ideologia di riferimento della "guerra asimmetrica" continuerà a seminare ovunque troverà terreno fertile. Se possibile, con maggiore intensità, in devoto ossequio al capo ucciso.

La pratica qaedista è molto diversa da quella delle altre centrali terroristiche. Essa non si fonda su un'organizzazione monolitica, ma liquida. Tende a cavalcare le crisi locali nel mondo arabo-musulmano e ad incunearsi in esse fanatizzando i gruppi disposti a dare al movimento un'anima strategica e ideologica. Non agisce su diretta emanazione di disposizioni gerarchiche e nessun gruppo o singolo è subordinato ad una comunità ristretta che decide le azioni in base ad una programmazione sistematica. Il qaedismo, per come si manifestato negli ultimi anni, contando su leader giovani e non organici a Bin Laden né ai suoi più stretti collaboratori, tanto nel Maghreb, quanto in Somalia o nella Striscia di Gaza, ma anche nello Yemen, luogo privilegiato negli ultimi tempi per esercitarsi nella costruzione di una nuova leadership del Paese dopo il declino del presidente Saleh, si dimostra sempre di più come una prassi rivoluzionaria all'interno dell'islamismo radicale. Esso è proteso ad offrire i suoi sanguinari servigi a gruppi che non possono esporsi violentemente, ma sono indiscutibilmente disposti a sposare la causa dei seguaci di Bin Laden la quale, come è noto, non ha altro scopo se non quello di sottomettere l'Occidente. Nel certo conquistandolo, ma tenendolo in scacco diffondendo nelle sue nazioni la paura. Non si può certo dire che dopo l'11 settembre, anche in ragione dei ripetuti attentati nelle capitali europee e in Africa, il qaedismo non sia riuscito nell'intento di spaventare gli "infedeli" costringendoli a misure restrittive della loro stessa libertà.

Insomma, il qaedismo è un network del terrore che agisce sia virtualmente, facendo aleggiare il suo spettro sul mondo libero, che praticamente dando sostegno militare all'islamismo sovversivo. I Fratelli musulmani egiziani, tanto per fare un esempio, per quanto costituzionalizzati al punto di aver eletto propri rappresentanti nell'Assemblea del popolo, non hanno mai reciso l'ideale cordone ombelicale con le fazioni jihadiste mediorientali, irachene ed afghane. Ciò vuol dire che il legame con il qaedismo, che della Jihad è probabilmente l'anima più influente, è sempre forte anche se furiosamente negato. Un po' come accadeva negli anni Sessanta e Settanta in Sud America nel rapporto tra i rivoluzionari marxisti dei diversi Paesi e Fidel Castro. Il dittatore cubano si serviva ideologicamente, quale mezzo di penetrazione nelle crisi del subcontinente americano, del guevarismo, potente suggestione antimperialista e irriducibile nemica degli Stati Uniti capace di galvanizzare forze soprattutto giovanili attorno alla Revolucion agitando l'illusione che essa avrebbe "liberato" quei popoli dal giogo capitalista omettendo che li avrebbe incatenati a quello comunista.

Gli islamisti, più che liberarsi da qualcosa, intendono affermare la loro visione del mondo. Per riuscirci hanno bisogno di qualcuno che si sporchi le mani. Ecco, pronti alla bisogna, i qaedisti che, soprattutto dopo la fine di Bin Laden, sono come schegge pronte ad esplodere ovunque.

Se, nell'euforia della vittoria, qualcuno in Occidente ritiene che la guerra contro il radicalismo islamista sia stata vinta, si sbaglia di grosso. I fenomeni planetari, soprattutto se supportati da una sorta di religiosità strumentale, non sono debellabili con la caduta dei capi. Questi, anzi, tendono a riprodursi nel letto caldo dell'odio. Insomma, adesso non bisogna cercare più lo sceicco del terrore, ma i suoi discepoli. E sperare che, tra i cambiamenti in corso nel mondo arabo, il risentimento, brodo di coltura del qaedismo, non prevalga.

(di Gennaro Malgieri)

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