lunedì 20 giugno 2011

Adesso è troppo facile sparare su Berlusconi senza alcuna pietà


Vittorio Feltri, il miglior direttore della sua generazione, sembra essere stato colto dalla sindrome che colpì Indro Montanelli negli ultimi anni in cui fu alla guida del Giornale. Montanelli, espressione di un’Italia vecchia, ottocentesca, liberale, l’Italia della grande borghesia e dei notabili, passabilmente ipocrita, bacchettona, morente, non capì che ne stava nascendo una nuova, non capì la Lega e nemmeno Mani Pulite, che erano una reazione salutare al corrotto vecchiume partitocratico e mentre crollava la Prima Repubblica Il Giornale da lui diretto teneva ancora come punto di riferimento Arnaldo Forlani.

Così oggi Feltri addebita la bruciante sconfitta referendaria alla paura per il nucleare scatenata da Fukushima, senza rendersi conto che non solo l’affluenza alle urne per nucleare e legittimo impedimento è stata la stessa (57%), ma che il no al nucleare (94,7%) è stato addirittura inferiore al no al legittimo impedimento (95,1%) che ha un’intonazione chiaramente antiberlusconiana. Non ha capito che un sogno a lungo sognato da buona parte degli italiani (un incubo per l’altra) è finito per sempre. Berlusconi è stato un illusionista straordinario facendo credere agli italiani, per 17 anni, a un miracolo che non si è mai avverato. Sfido infatti chiunque a dire che l’Italia di oggi sia migliorata di un ette rispetto a quella del 1994, mentre, come ho scritto tante volte su questo giornale, il lascito più devastante e duraturo del berlusconismo è l’aver tolto agli italiani quel poco di senso della legalità che gli era rimasto.

Tuttavia a me non è mai piaciuto picchiare sul perdente. Mentre cadeva Bettino Craxi e improvvisati fiocinatori, spesso gli stessi che lo avevano adulato, si accanivano sulla balena ferita a morte, io che lo avevo avversato dal 1979 e che per questo mi ero meritato dal leader del Psi la simpatica definizione di "giornalista ignobile che scrive cose ignobili", scrissi per l’Indipendente di Feltri, scatenato allora nel suo forcaiolismo ("il cinghialone", i figli di Craxi tirati in ballo, Carra in manette sbattuto in prima pagina) un editoriale intitolato "Vi racconto il lato buono di Bettino" ricordando agli smemorati che c’era stato anche un altro Craxi che aveva suscitato speranze in molti.

In questi giorni io non penso al politico Berlusconi, ma all’uomo. Penso a quanto deve essere stato traumatico per uno che ha sempre inseguito sogni scontrarsi, alla fine, col duro principio di realtà. Penso come deve essere amaro per un uomo che, per un insanabile inferiority complex, ha sempre avuto l’ossessivo bisogno di sentirsi amato da tutti, dover ammettere: «Mi sono accorto che la gente non mi ascolta più, che pochi mi vogliono bene» (che ricorda la canzone delle giovani camice nere di Salò: «Le ragazze non ci vogliono più bene...»). Penso alla sua solitudine, che era palese da tempo. Anche l’affannoso circondarsi di ragazze era una disperata, infantile, ingenua richiesta di affetto oltre che l’impossibile ricerca di una giovinezza perduta da tempo che nessun lifting gli potrà mai più ridare. Adesso le sanguisughe che per anni hanno succhiato le sue enormi energie si smarcheranno, piano piano, lentamente, per non dare troppo nell’occhio e trovarsi al momento opportuno sufficientemente vicini al carro dei nuovi vincitori per potervi salire. E lui rimarrà solo davanti a se stesso.

Dal punto di vista penale non gli deve essere scontato nulla. Perché l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge è la base della democrazia. Ma se gli italiani dimostrassero un po’ di pietà per l’uomo, si rivelerebbero, per una volta, diversi da quella masnada di maramaldi che sono sempre stati e a cui la berlusconiana mistica del "vincente" voleva definitivamente ridurli.

(di Massimo Fini)

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