martedì 26 luglio 2011

Breivik è un 'figlio' del nazionalismo nordico nient'affatto cristiano


Anders Behring Breivik è convinto di essere un eroe anti islamico, ma l’Islam in Europa non ha avuto, fino ad oggi, migliore alleato di lui. C’è da prevedere infatti che gli illiberali progetti di legge contro l’”islamofobia”, che faticano a imporsi in molte nazioni europee, riceveranno un decisivo impulso dalle stragi di Oslo e dell’isola di Utoya.

Breivik non è un pazzo, se con ciò si intende, nel senso stretto del termine, un uomo con turbe psichiche, incapace di intendere e di volere. Egli si è dimostrato lucido e determinato in quella che, in senso lato, si può definire la sua follia omicida. Ma Breirik è tutt’altro che un fondamentalista cristiano, perché, al di là della giustificazione ideologica del suo gesto apparsa su Internet, si è dimostrato, nei fatti, assolutamente privo di fondamenti etico-religiosi e del tutto estraneo a quei valori assoluti che guidano la condotta di chi si dice cristiano. Il primo di questi valori, secondo Benedetto XVI, è il riconoscimento del diritto alla vita, mentre lo stragismo di Breivik manifesta il più radicale disprezzo per il precetto morale che vieta di uccidere l’innocente. Il principio secondo cui il fine giustifica i mezzi (anche i più criminosi) ha caratterizzato il totalitarismo del Novecento ed è figlio del relativismo che dissolve ogni legge naturale e morale.

Beirik dovrebbe essere più precisamente definito come uno squilibrato, cioè come un uomo mancante di baricentro morale e di punti di riferimento assoluti. Lo squilibrio psichico, che non è la follia, oggi è un fenomeno diffuso, come la depressione. Esso ci sconvolge quando si trasforma in aggressività sociale, ma non dobbiamo dimenticare che si manifesta anche in forme in cui lo squilibrato è la vittima e non il giustiziere. L’uomo del XXI secolo è psichicamente instabile, perché relativista e priva e di fondamenti è la società contemporanea, in cui gli eccessi rimandano ad altri eccessi. L’Eurabia paventata da Breivik non è un brutto sogno, ma una drammatica realtà: immaginare però di combatterla con il terrore è una forma di squilibrio che evoca incubi non meno terribili di quelli cui pretende opporsi.

Eppure sarebbe miope voler fare di questo caso un problema psicologico, senza comprenderne la dimensione anche ideologica, così come sarebbe fuorviante inseguire i presunti legami operativi di Breivik, senza preoccuparsi del contagio psichico che la sua azione può avere, al di là delle sue relazioni organizzative. Gesti come il suo, carichi del fascino sinistro del male, possono avere purtroppo un effetto moltiplicatore, come dimostra il caso dei kamikaze islamici. C’è da dire, però, che dietro i terroristi di Allah c’è una cultura jihadista ampiamente condivisa nel mondo islamico, mentre Breivik non ha ricevuto, e sarebbe impensabile che ricevesse, alcuna espressione di solidarietà in Occidente. Ciò non toglie che lo stragista di Oslo sia portatore di una esasperata visione del mondo che inizia ad affiorare all’estremo nord dell’Europa in antitesi a quella che preme dalle sponde sud del Mediterraneo.

Al nazionalismo islamico, panarabo e panturco, si contrappone un nazionalismo nordico, di impronta non cristiana, ma paganeggiante, che ricorda la “morale dei signori” hitleriana contrapposta alla morale degli schiavi plebea e democratica. C’è un’unica risposta di fronte alle ideologie del male del nostro tempo: il ritorno all’equilibrio, che è la tranquillità dell’ordine di cui parla sant’Agostino: l’ordine dei valori immutabili a cui l’Occidente ha voltato le spalle e che deve ritrovare se non vuole trasformarsi in campo di battaglia tra fanatici di opposte tendenze. La guerra tra razze prevista da Oswald Spengler è un fantasma che si affaccia all’orizzonte del XXI secolo. Favorire Eurabia, come vorrebbero i multiculturalisti, non risolve il problema, ma lo aggrava pesantemente.

(di Roberto De Mattei)

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