domenica 21 agosto 2011

Il vero deficit è dei valori


In un articolo pubblicato sul Corriere il 17 agosto (“Il vero disavanzo delle democrazie) il settantenne Ernesto Galli della Loggia, docente di Storia contemporanea all’Università Vita-Salute del San Raffaele (curiosa parabola per uno che era partito comunista e si è scoperto, al momento opportuno, liberale e forse anche pio), storico che non ha mai scritto un libro di storia, risvegliandosi da un letargo durato quasi mezzo secolo, da quando era un giovane e promettente collaboratore dell’Einaudi, scopre che il deficit dei sistemi democratici sta nella loro mancanza di valori o, per usare il suo linguaggio contorto, nella loro “unidimensionalità economicista”. Geniale.

Nel mio spettacolo teatrale del 2004 Cirano, se vi pare… dicevo: “La democrazia è un metodo, un sistema di forme e di procedure, non è un valore in sé e non produce valori. È un contenitore, un sacco vuoto che andrebbe riempito. Ma il pensiero e la pratica liberale e laica, che sono il substrato sul quale la democrazia è nata, mentre facevano ‘tabula rasa’ dei valori precedenti, non sono stati in grado, in due secoli, di riempire questo vuoto se non con contenuti quantitativi e mercantili”. In realtà nella pièce riprendevo concetti espressi quasi un quarto di secolo prima ne La Ragione aveva Torto? e ribadite poi in Denaro. Sterco del demonio (1998), nel Vizio oscuro dell’Occidente. Manifesto dell’Antimodernità (2002) e in Sudditi. Manifesto contro la Democrazia (2004).

In realtà la democrazia, almeno così come si è storicamente determinata, non è che l’involucro legittimante del modello di sviluppo basato sul mercato. E il mercato, che è uno scambio di oggetti inerti, non può produrre valori, né laici né di qualsiasi altro tipo. L’unica divinità veramente condivisa è il Dio Quattrino. E la vera debolezza dell’Occidente democratico (in questo Della Loggia ha ragione, anche se arriva fuori tempo massimo), lo vediamo in rapporto con altre culture, Islam in testa, proprio in questo vuoto di valori.

Bisogna aggiungere che la democrazia, perlomeno quella rappresentativa, non solo non aiuta a costruire valori condivisi, ma sembra il sistema perfetto per demolirli. La liberal-democrazia si è infatti venuta strutturando, contro le intenzioni dei suoi padri fondatori (Stuart Mill, John Locke, Alexis de Tocqueville), come un sistema di partiti in competizione fra di loro. I partiti per conquistare consensi hanno bisogno di apparati (il voto di opinione, secondo lo stesso Norberto Bobbio, gran studioso e strenuo difensore della democrazia, “è solo quello di coloro che non votano”). Per mantenere gli apparati hanno bisogno di soldi, per procurarseli li drenano illegalmente dal settore pubblico, di cui si sono impossessati, o da quello privato tenendo l’imprenditoria sotto ricatto (o mi dai la tangente o non vincerai mai un appalto). Essendo abituati a corrompere o a farsi corrompere per superiori esigenze di partito, i dirigenti politici diventano, quasi sempre, dei corrotti in nome proprio. Questa corruzione pubblica trascina fatalmente con sé i cittadini (se rubano loro perché non dovrei farlo anch’io?) spazzando così via tutta una serie di valori, onestà, lealtà, dignità, che tengono insieme una comunità.

A ciò si aggiunge che i partiti, pur di non scontentare i rispettivi elettorati, perdono completamente di vista l’interesse nazionale. E questo non è un vizio solo italiano se in America, Paese che deve le sue passate fortune a un fortissimo senso di appartenenza nazionale, repubblicani e democratici si stanno scannando da mesi mentre il loro Impero rischia di crollargli sotto i piedi. Per cui sento di poter dire che l’attuale crisi economica non è solo il segno del fallimento di un modello di sviluppo ma anche del suo involucro legittimante: la democrazia.

(di Massimo Fini)

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