giovedì 27 ottobre 2011

Missione segreta per liberare Pound


Il 25 luglio 1943, poco prima che venisse letta la drammatica notizia dell’arresto di Benito Mussolini e dell’armistizio firmato da Badoglio, Ezra Pound trasmetteva dai microfoni di Radio Roma l’ultimo dei discorsi che gli sarebbero costati l’accusa di alto tradimento e la detenzione senza processo per tredici anni nel manicomio criminale di Washington.

Il poeta aveva parlato di speculazioni finanziarie, poeti francesi e giustizia sociale, come spesso accadeva durante i suoi interventi nel corso del programma “An american hour”, a sua insaputa attentamente monitorato dai servizi segreti britannici e dall’F.B.I. sin dal 1941. Alla fine della guerra, Pound venne arrestato, condotto in America e, giudicato infermo di mente, non fu ritenuto in grado di sostenere il processo, che quindi non venne mai celebrato.

Molto è stato scritto sulla lunga e ingiustificata prigionia dell’autore dei Cantos, così come sono noti gli appelli e le pressioni di familiari e amici -Thomas Sterns Eliot, Robert Frost ed Ernest Hemingway, tra i primi - per restituire la libertà a un grande poeta, che, secondo loro, avrebbe anche meritato degnamente il premio Nobel; ma finora nessuno, tra gli studiosi o i biografi che si sono addentrati nella vita spericolata di Pound, aveva scoperto il ruolo determinante nella sua liberazione giocato da Dag Hammarskjöld, segretario generale della Nazioni Unite e gentiluomo con la passione per le belle arti e la poesia.

Questa notizia è il frutto delle lunghe ricerche di Marie-Nëlle Little, una docente all’Utica College, in Usa, che ha appena pubblicato The knight and the troubadour (Dag Hammarskjöld Foundation, disponibile anche online al sito della fondazione), un appassionante e agile saggio che mischia storia, politica, spionaggio e letteratura.

La storia dell’amicizia tra il Cavaliere (Hammarskjöld) e il Trovatore (Pound), due spiriti liberi che non si incontrarono mai, si intreccia infatti con le vicende geopolitiche e diplomatiche che caratterizzarono le vite dei due uomini. Hammarskjöld, nella sua veste ufficiale di diplomatico al servizio della pace nel mondo era perfettamente consapevole delle delicatissime implicazioni del “caso Pound”, e quindi seppe esercitare abilmente e segretamente le giuste pressioni su Washington senza che queste risultassero indebite ingerenze esterne. Dal canto suo, Ezra Pound non volle mai rinunciare alla sua coerenza e fino all’ultimo combattè perche alle sue idee venisse riconosciuta la dignità che meritavano, battendosi perché venissero seriamente considerate una alla volta, e non liquidate come le farneticazioni di un pazzo.

Il segretario generale dell’Onu, che aveva letto i Cantos nell’estate del 1954, cita per la prima volta Ezra Pound durante il discorso che tenne il 19 ottobre dello stesso anno in occasione del 25° anniversario del Museum of Modern Art. Memore delle polemiche sollevate alcuni anni prima dal conferimento a Pound del premio Bollingen, Hammarskjöld ricorda al folto pubblico intervenuto al MomA come «l’arte moderna ci insegna a vedere, costringendoci a usare i nostri sensi, il nostro intelletto e la nostra sensibilità, trasformandoci in veggenti, veggenti come Ezra Pound quando, nel primo dei suoi Canti pisani, percepisce “l’enorme tragedia del sogno che piega le spalle del contadino”. Dobbiamo tutti essere veggenti - conclude Hammardkjöld-, veggenti ed esploratori».

Il 7 maggio 1958 Pound viene rilasciato, e poco dopo torna in Italia, solo apparentemente libero, perché, giudicato incapace di intendere e di volere, è affidato alla tutela della moglie Dorothy. Tre anni dopo, il 18 settembre 1961, il segretario generale dell’Onu perisce in quello che Luciano Canfora definisce «condanna a morte per incidente aereo».

Quando Pound sentì la notizia della tragedia si mise a picchiare disperatemente i pugni sulle pareti, ripetendo: «Questa è la fine!». Non è più tempo di cavalieri e trovatori.

(di Luca Gallesi)

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