martedì 15 novembre 2011

Occidente sempre pronto alle nuove avventure militari. Prossimo bersaglio l'Iran


Deus dementat quos vult perdere (Il Dio fa impazzire coloro che vuole perdere), dicevano i latini. L’Occidente, quasi non fosse pago della drammatica crisi in cui è precipitato e che può spazzar via il sistema economico e finanziario su cui si basa, sta preparando nuove avventure militari. Agli inizi di novembre Nalum Barnea, giornalista israeliano solitamente ben informato, ha pubblicato sulla prima pagina del suo giornale i piani dettagliati degli attacchi, anche nucleari, che americani, israeliani e inglesi si appresterebbero a sferrare contro l’Iran. In questo quadro il governo britannico avrebbe garantito a Obama (premio Nobel per la pace) sottomarini, missili Tomahawak e, all’occorenza, l’impiego di forze speciali sul terreno. In quegli stessi giorni nella base Nato di Decimomannu in Sardegna sei squadroni di bombardieri israeliani simulavano un attacco a Teheran. Queste notizie sono state poi confermate dal Guardian, ma soprattutto, sia pur in modo più generico, dal presidente israeliano, il premio Nobel per la pace Shimon Peres: "L’attacco all’Iran è sempre più vicino".

Che esistessero questi piani è noto già da tempo, la novità è la partecipazione degli inglesi. Si vuol ripetere con l’Iran ciò che si è fatto con la Libia? Se questo fosse il progetto sarebbe folle, "demenziale" per dirla con i latini. L’Iran non è la Libia, è un grande Paese con cento milioni di abitanti, armato modernamente. Si conta, come in Libia, sul dissenso interno che indubbiamente esiste anche se non belle proporzioni sbandierate in Occidente? Allora vuol dire che non si conosce quel popolo.

Gli iraniani si sentono innanzitutto dei persiani e, in questo senso, hanno un sentimento nazionale fortissimo (mi ricordo che quando ero a Teheran un pasdaran che aveva combattuto lo Scià mi disse: "Non riesco a odiarlo del tutto, perché era comunque un persiano"). Un attacco militare all’Iran compatterebbe intorno al regime anche il più acerrimo avversario di Ahmadinejad. Inoltre farebbe saltare il tappo del radicalismo islamico, finora tenuto a stento dai rispettivi regimi, in tutti i Paesi musulmani formalmente alleati dell’Occidente, dall’Egitto al Marocco alla Giordania.

Il pretesto per l’attacco sarebbe dato dall’ultimo rapporto dell’Aiea, l’agenzia dell’Onu per il controllo nucleare. In realtà questo rapporto non contiene nulla di nuovo salvo il fatto che l’Iran ha una quantità di uranio arricchitto sufficiente per costruirsi l’Atomica. Ma ciò non vuol dire affatto che abbia questa intenzione e non piuttosto quella di spalmare l’uranio su più centrifughe rimanendo in quel 20% di arricchimento necessario e sufficiente per gli usi civili del nucleare (per fare la Bomba bisogna arrivare al 90% di arricchimento). E tutte le ispezioni dell’Aiea hanno finora accertato che nei loro siti nucleari gli iraniani non hanno mai superato il limite del 20%.

È una situazione paradossale. L’Iran ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare, ha accettato gli ispettori dell’Aiea per cui se dovesse uscire dai binari consentiti costoro potrebbero facilmente verificarlo. Israele non ha firmato il Trattato, possiede l’Atomica e pretende di attaccare un altro Paese che non ce l’ha sulla base che ipoteticamente potrebbe farsela. Un processo alle intenzioni piuttosto protervo che ricorda i metodi usati nel 2003 contro l’Iraq di Saddam accusato di possedere "armi chimiche" che non aveva.

(di Massimo Fini)

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