venerdì 16 dicembre 2011

Massmedia e spirale dell’odio


Ho buoni rapporti con la redazione fiorentina de La Repubblica: sono sempre molto gentili, m’intervistano spesso. È vero che nemo propheta in patria, ma in fondo l’aver scritto, parlato e insegnato per lunghi decenni nella mia città ha pur voluto dir qualcosa.

Ma lassù, nei quartieri alti della Direzione Megagalattica del Quotidiano dei Cittadini Laici, Democratici & Intelligenti, ci dev’essere qualcuno che non mi ama. È vero: anche da lì, talvolta, partono al mio indirizzo segnali benevoli; qualche amico ce l’ho. Ma in genere non si sprecano. Di recente, la Laterza ha pubblicato un mio libro di quasi ottocento pagine, Il Turco a Vienna, dedicato all’assedio ottomano del 1683 alla capitale del Sacro Romano Impero e che mi è costato almeno cinque anni di duro lavoro e di ricerche in mezza Europa, quasi tutte pagate di tasca mia. Sembra che le vendite vadano bene, e molti giornali ne hanno parlato come di un evento culturale importante. Non sta a me decidere. Ora, l’editore mi avverte che giorni fa La Repubblica – che spesso regala paginoni a illustri carneadi – mi ha dedicato una scarna, svogliata nota. Bontà sua.

Invece, di molto minor distrazione il medesimo quotidiano mi fa oggetto quando si tratta di aspetti problematici se non imbarazzanti del mio curriculum. Ogni volta che ad esempio si parla di neofascismo, specie in contesti delicati se non atroci quali i commenti al tragico fatto di sangue fiorentino del 13 dicembre scorso, ecco rispuntare il nome di tal Franco Cardini che negli Anni Sessanta, poco più che ventenne, militava nell’organizzazione Giovane Europa, bollata (e non stiamo qui a discutere se e fino a che punto con ragione) come neonazista. Proprio il 15 dicembre, due giorni dopo l’uccisione di due senegalesi da parte di un cinquantenne pistoiese che non è forse imprudente definire squilibrato, Gianluca Casseri, ecco che il quotidiano romano delle Persone Intelligenti dedica un intero paginone (pagina 21) all’Allarme razzismo: e, in un articolo a firma Carlo Bonini dal titolo Neofascisti, traccia anche graficamente l’albero genealogico dei gruppi estremisti. E lì mi ritrovo insieme con l’odierno esponente leghista Mario Borghezio citato quale radice, in quanto affiliato tra 1956 e 1975 (in realtà la mia esperienza riguardò il periodo 1965-1969) a Giovane Europa, della malapianta dalla quale sarebbero usciti i gruppi animati da (orrore!) Franco Freda e cui s’ispirerebbe oggi (raccapriccio!) Casa Pound. Insomma, un filo nero legherebbe uno studioso settantunenne noto, tra l’altro, per le sue posizioni sovente rilevate (anche da La Repubblica) come filomusulmane a un cinquantenne asceso al disonore della cronaca per aver sparato all’impazzata su un mucchio di extracomunitari. E tutto ciò naturalmente, come se nulla fosse, senza un rigo di commento e di precisazione.

Ovviamente, non solo non ho nulla di cui vergognarmi e da rinnegare a proposito di quella mia giovanile militanza: anzi, al contrario, me ne vanto come di una cosa generosa, coraggiosa, disinteressata e pulita, che proprio in quanto emarginata, minoritaria e calunniata si rivelò per me una grande scuola di coraggio civico e di tolleranza (perché una persona onesta, perseguitata a torto, impara a sue spese e sulla sua pelle quanto sia prezioso il non perseguitare mai nessuno). Le mie riflessioni su quell’esperienza sono contenute in due libro, L’intellettuale disorganico (Aragno) e Scheletri nell’armadio (La Roccia di Erec). In questo Paese di gente che quando si tratta di se stessa ha la memoria corta, io ne ho una da elefante: e ne vado fiero. Soltanto, esigo che quando si ricorda si richiami correttamente il passato e lo si valuti per quel che obiettivamente significa, non per quel che fa comodo.

Mi ha invece impressionato molto sfavorevolmente il fatto che, in reazione alla tragica giornata fiorentina, da più parti – e specie nel campo di quella sinistra che ormai sembra da mesi allo sbando, e che recentissimamente altro non ha saputo se non associarsi piuttosto acriticamente alle lodi rivolte al governo dei finanzieri ispirato dalla Goldman Sachs – ci si stia attaccando alla solita scappatoia retorica e soprattutto strumentale, la denunzia del neofascismo (e del fascismo tout court) come radice di tutti i nostri mali. Che l’attuale situazione possa dar la stura a ogni sorta di follìa e che casi del genere – e penso anche all’aggressione al campo rom di Torino – possano moltiplicarsi nella misura in cui si aggravano preoccupazioni e tensioni diffuse, è un fatto. È forse stata una crisi di contingente disperazione collegata anche a motivi socioeconomici che può aver armato la mano di Casseri. Il nesso esiste, o è almeno probabile. Ma come sarebbe corretto reagirvi, e come vi si sta reagendo? Da parecchi mesi, ormai, i massmedia italiani sembravano orfani della loro eterna madre ed ispiratrice, la Resistenza. Niente paura: ci stiamo tornando, come sempre nei momenti di crisi, quando ci sia necessità di sbattere un mostro in prima pagina per far dimenticare le cose serie. Un mostro comodo, sempre pronto, a portata di mano, che finisce col non disturbare nessuno tra quelli che contano e che non desiderano essere disturbati. Specie se hanno delle responsabilità affettive in quanto ci sta capitando.

Ecco perché una giornalista di grande professionalità come Lucia Annunziata, intervistando in TV il presidente delle Case Pound d’Italia Gianluca Iannone, non perde nemmeno un minuto per esaminare un fenomeno pur degno d’interesse, quello dei Centri Sociali di Destra, per cercar di comprenderne sul serio l’anima interna, ma si dà senza esitare alla demonizzazione indiscriminata sulla base di un falso sillogismo: dal momento che Gianluca Casseri, l’assassino di Firenze, frequentava una Casa Pound, se ne deduce che quell’ambiente sia un covo di potenziali delinquenti che si abbeverano esclusivamente ad aberranti tesi razziste. Con una logica del genere, tutte le chiese cattoliche dovrebbero esser chiuse come centri di violenza sessuale in quanto in alcuni ambienti del genere si sono perpetrati casi di pedofilia e tutti i partiti politici sciolti come associazione a delinquere vista la frequenza con la quale al loro interno si verificano episodi di corruzione, concussione, peculato e via dicendo.

Ma la logica saggiamente distinzionista, che vige in tutti gli altri casi, non vale per i neofascisti che, come le sospette streghe della Salem seicentesca o dell’America di McCarthy, sono colpevoli per definizione e in quanto marginali non sono mai in condizione di difendersi. È chiaro che, se Gianluca Casseri frequentava Casa Pound, su quest’ultima e su tutti i suoi veri o supposti predecessori ricade la responsabilità ultima, o almeno la complicità morale, del duplice delitto fiorentino. Un capro espiatorio ideale, che contribuisce a sviar l’attenzione della gente e a liberarla dalla spiacevole memoria sia dal tristissimo passato recente (dalle guerre neocoloniste dell’ultimo ventennio al ridicolo malcostume dell’era berlusconiana) sia da un presente fatto di crisi e di sacrifici dall’incerto esito. Le cose vanno male? La colpa, in fondo, è sempre del diavolo, cioè del fascismo. E rispunta la panacea democratica universale, la Resistenza.

Il bello è che da questo quadro finisce con lo scomparire perfino il triste protagonista immediato, lo sciagurato omicida-suicida. Poco e distrattamente si è indagato anche su di lui: qualche nota di colore, come i cimeli fascisti che teneva in casa. Poco è trapelato della sua personalità, oscura e contorta forse, ma di non trascurabile spessore. Nel 2010 Gianluca Casseri aveva pubblicato insieme con Enrico Rulli (un altro battitore intellettuale libero, impiegato delle ferrovie e simpatizzante di sinistra) un romanzo di tipo fantaesoterico edito dal vicentino Punto d’Incontro, La chiave del Caos, ambientato nella Praga magica dell’imperatore Rodolfo II, pieno di straordinarie e inquietanti somiglianze con Il cimitero di Praga di Umberto Eco, edito dalla Bompiani proprio nello stesso anno; mentre nell’ottobre successivo usciva a Parigi Le Kabbaliste de Prague, di Marek Halter, di tema affine. Una stranissima coincidenza, sulla quale sarebbe interessante se lo stesso Eco potesse dire una parola. Ma a proposito di un altro tema echiano, nucleo appunto dell’ultimo romanzo del semiologo alessandrino, cioè la genesi dei celebri Protocolli dei Savi Anziani di Sion, Gianluca Casseri scrisse e nel novembre 2010 pubblicò e diffuse in proprio, sul suo sito chiave_caos@libero.it, un interessante saggio dal titolo I Protocolli del Savio di Alessandria.

La lettura di questi scritti, alla luce del folle gesto del 13 dicembre scorso, proietta sulla personalità dello sfortunato, sciagurato Gianluca Casseri una luce livida, di erudizione fumosa e disordinata eppure intensa: una personalità controversa, turbata, infelice. Da questo intellettualismo frustrato – nulla, nella società dell’immagine e del successo, è meno tollerabile del non sentirsi notati e riconosciuti – possono esser nati e cresciuti la forsennata mania razzista degli ultimi tempi e il cupo desiderio di vendicarsi di una società distratta e ingrata ripetendo il gesto di Erostrato, l’incendio del tempio di Artemide in Efeso perpetrato affinché la gente parli, sappia, riconosca. L’inferno della perpetua damnatio memoriae preferibile alla morte lenta e silenziosa dell’anonimato. Una tragedia nella tragedia, che purtroppo non restituisce le vite innocenti dei senegalesi uccisi, che non reca sollievo alle loro famiglie, ma che a sua volta è suscettibile di un pensiero meno convenzionale, meno distrattamente condannatorio. La riduzione di tutto alla rinnovata condanna della follìa fascista, per giunta comodo passepartout per sottrarsi ad analisi più impegnative, capro espiatorio per tutte le stagioni, exutoire chiamato frettolosamente in causa per cavalcare strumentalmente la contingenza e magari distrarre l’attenzione dalla ricerca dei responsabili principali della crisi nella quale attualmente l’Europa e il mondo si dibattono, è intollerabile.

(di Franco Cardini)

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