domenica 22 luglio 2012

Euro? No grazie! La Polonia preferisce fare un passo indietro


La notizia non è certo fra quelle più inaspettate, ma contribuisce senz’altro ad appesantire quel clima di incertezza che avvolge le sorti presenti e future della moneta unica europea. Partita con la velleità di affiancare e superare il dollaro come principale moneta cartacea di riferimento per il commercio e la finanza globali, la divisa continentale attraversa oggi il momento più difficile della propria decennale storia.

Comprensibile che in una simile congiuntura, con 5 paesi praticamente commissariati dalle autorità centrali e un sesto, l’Italia, avviato verso il medesimo mesto destino, anche altri candidati all’adesione intensifichino i distinguo per rinviare un passo divenuto inopinatamente più lungo della gamba. Un po’ come accadrebbe se veniste a sapere che il party al quale avreste dovuto presenziare, seppure in lieve ritardo, si fosse trasformato in un cupo ossequio al capezzale di un moribondo. A dire il vero la commedia degli equivoci tra l’euro torre e gli stati orientali, ma non solo, va avanti da anni e la data indicata nei ripetuti colloqui al vertice viene regolarmente procrastinata. Vuoi per il timore, da parte dei secondi, che un allargamento affrettato potesse influire su tassi di crescita economica assai vigorosi  vuoi per il terrore, sopraggiunto in seguito, di finire nella spirale senza fondo della crisi dei debiti sovrani.

E così, nonostantela Slovacchia  e l’Estonia si siano decise a compiere il passo decisivo, i paesi principali di quest’area, ovvero Polonia e Repubblica Ceca, hanno privilegiato l’attendismo, ma con un sempre crescente  disincanto verso i miracoli dell’unificazione e la terra promessa descritta dagli apologeti del progetto. A fare la voce grossa, non più tardi di ieri, il vice-Ministro delle Finanze polacco, Jacek Dominik (nella foto n.d.r.), che in una dichiarazione ha rovesciato, per così dire, l’onere della prova sui bonzi della BCE: aggregarci al carro? Solo se vi riuscirete capaci di arginare la tempesta in atto. Questa la brutale sintesi del discorso. E così (almeno fino al 2018) la Poloniasi terrà il suo zloty, pazienza se svalutato, in grado di trascinare l’export locale e di garantire buone performances al PIL di Varsavia, legato a doppio filo alla locomotiva del potente dirimpettaio tedesco.

Proprio l’atteggiamento tedesco, stretto tra i vincoli dei patti sottoscritti e l’istinto di sopravvivenza, può aver influito e non poco sulle esitazioni dei confinanti. Preludio a quelle ipotesi di Euro “ristretto” o Deutsche Mark allargato di cui vociferano da un po’ ambienti di solito ben informati? Possibile. Fatto sta che l’alzata di scudi del governo polacco segue dappresso (poco più di un anno) un analogo caveat della potente ed indipendente banca centrale, quasi a riprendere certe perplessità già espresse dalla Bundesbank e clamorosamente esplose con le dimissioni di Juergen Stark, componente tedesco nel board della BCE.

Due indizi non fanno una prova, è noto, ma chi si è cullato per anni nell’illusione che certi processi fossero irreversibili soprattutto perché a pagarne le conseguenze sarebbero stati sempre gli altri dovrà iniziare a meditare sulla propria sconsideratezza. Ammesso e non concesso che sia in grado di farlo.

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