mercoledì 18 luglio 2012

La "nuova" destra di Berlusconi? Per Cardini "siamo alla goliardia"



«Tornare a Itaca». Sono parole dal forte richiamo evocativo quelle con cui Marcello Veneziani e Renato Besana hanno coinvolto un nutrito gruppo di intellettuali di destra in un convegno nel monastero di Valledacqua, vicino Ascoli. Un conclave per discutere dei contenuti e dell’identità di una nuova forza conservatrice, da costruire sulle ceneri di un Pdl ormai in frantumi, all’insegna della tradizione greco-romana e cristiana, e del primato della politica sull’economia globalizzata. Ma non tutti i portatori di un punto di vista polemico verso la modernità hanno scelto di partecipare all’incontro sull’Appennino marchigiano. Spiccava infatti l’assenza di Franco Cardini, il più prestigioso studioso di storia medievale del nostro Paese, spirito critico nei confronti dell’omologazione consumistica e dell’egemonia capitalistica consacrata dalla retorica dell’esportazione della democrazia liberale. Al nostro quotidiano lo storico fiorentino spiega perché non vede nella destra politica lo spazio per promuovere un’iniziativa autonoma e contrapposta rispetto al disegno rilanciato da Silvio Berlusconi.

Come valuta la nuova discesa in campo del Cavaliere?

Lo spirito del 1994 evocato oggi da Berlusconi è morto e sepolto. Venti anni fa aveva costituito un motivo di novità e di entusiasmo in ampi settori dell’opinione pubblica. Allora l’Italia, stanca dei pasticci e dei riti della partitocrazia, voleva liberarsi dalla democrazia bloccata e dall’eredità della Guerra fredda, e ai suoi occhi il Cavaliere appariva un personaggio nuovo, estraneo al gotha industriale e al circuito finanziario internazionale: qualità che invece contraddistingue Mario Monti. Per alcuni mesi io stesso compii l’errore, di cui mi vergogno e chiedo scusa, di credere nella sua capacità di innovatore. Con questa convinzione ricoprii l’incarico di consigliere di amministrazione della Rai, per il quale in realtà ero stato designato dalla presidente della Camera Irene Pivetti e non dal fondatore della Fininvest. Solo Indro Montanelli, suo profondo conoscitore, affermò con ragione che si trattava di un cialtrone entrato in politica per salvare i propri interessi, privo dello spessore culturale necessario per rivestire un ruolo pubblico. Tornare al progetto del ’94 vuol dire rievocare una colossale illusione e la delusione che seguì quell’inganno.

L’ipotesi di un rilancio di Forza Italia potrebbe rivelarsi sorprendente sul piano elettorale.

Capisco che la “dittatura bancaria in doppiopetto” oggi dominante possa provocare una reazione goliardica, al punto di invocare il ritorno di chi ci ha portato al disastro. Anche sul piano internazionale, attraverso le missioni fallimentari e dissennate in Iraq e in Afghanistan e a una politica che ha soffocato la sovranità europea, oggi subalterna all’egemonia nordamericana grazie alla Nato, espressione dell’occupazione straniera del Vecchio Continente. Le dichiarazioni “avventurose” del Cavaliere sulla Russia di Putin, sull’Iran di Ahmadinejad, sulla Libia di Gheddafi, poco allineate con gli alleati del Patto Atlantico, non hanno affatto intaccato la direzione di fondo della nostra politica estera. Un personaggio del genere, privo di moralità civile e dotato di enormi risorse economiche, è pericolosissimo: in una società seria e onesta quale non è l’Italia il suo ritorno sarebbe impensabile. Mi meraviglio anzi che la notizia della sua nuova discesa in campo non sia stata accolta da una grassa e sonora risata.

Molti intellettuali di destra hanno espresso valutazioni critiche su tale prospettiva, e hanno promosso il convegno “Tornare a Itaca”. A cui Lei non ha partecipato.

Il titolo dell’incontro evocava un ritorno alla purezza delle origini, all’integrità di una patria comune. E preludeva a un rinnovato impegno politico da parte di personaggi che rivendicano una verginità culturale di destra. Mi chiedo di quale purezza intendessero parlare gli organizzatori dell’incontro, visto che diversi suoi partecipanti negli anni Novanta vagavano alla ricerca di prebende e privilegi, in primo luogo da parte di Berlusconi. Peraltro, fin da quando avevo vent’anni e persino da dirigente del Movimento sociale, non ho mai amato definirmi di destra, nonostante Corriere della Sera e Repubblica mi abbiano indicato come capostipite e ispiratore della destra estrema, forse per la mia adesione giovanile alla Jeune Europe.

Non sente di essere un uomo di destra?

Mi sono a lungo interrogato sulla natura politica delle mie convinzioni. Sono un lettore di Joseph de Maistre, e ritengo che la condanna di Maria Antonietta abbia rappresentato un crimine. Mi ritengo un nemico della modernità concepita non come affermazione della libertà personale e del progresso scientifico, ma come primato indiscusso della volontà individuale, del desiderio di potenza dell’Occidente, del predominio dell’economia e della tecnica sull’umanità e sulla natura. Mi considero un cattolico sensibile alla tradizione e alla liturgia, critico verso alcuni aspetti del Concilio Vaticano II. Ma in campo economico e sociale mi definirei socialista se non vi fosse la pregiudiziale anti-religiosa di quella costruzione teorica. Erano di destra Benito Mussolini, Juan Domingo Peròn, José Antonio Primo de Rivera? I parametri di destra e sinistra sono fluidi, interscambiabili, relativi ai contesti in cui vengono utilizzati. Il dramma è che oggi la sinistra non vuole distinguersi dai propri avversari né sul piano economico, visto che appoggia le privatizzazioni e lo smantellamento dello Stato sociale, né in ambito internazionale, essendo in prima linea nel rivendicare la saldatura tra Ue e Usa attraverso la Nato. Mentre l’emancipazione dell’Europa passa per la fuoriuscita dall’Alleanza atlantica.

Non nutre fiducia nella capacità della destra italiana di realizzare un progetto alternativo a quello ideato dal Cavaliere?

Fino a pochi anni fa gli esponenti di Alleanza Nazionale ignoravano il valore positivo insito nella Resistenza, anche in quella comunista. Oggi fanno assieme a Berlusconi l’apologia dei ragazzi americani venuti in Europa per restituirci la libertà e liberarci dal nazifascismo. Dimenticando che gli Stati Uniti hanno costruito in Europa occidentale lo stesso dominio che l’Unione Sovietica staliniana realizzò nei paesi dell’Est. È una destra non degna di rispetto né di credibilità. Il politologo e amico Marco Tarchi ha capito tutto ciò prima di me, 30 o 40 anni fa, quando decise di interrompere ogni rapporto con il mondo politico. Nel Popolo della libertà esistono figure verso cui ho grande stima: Andrea Augello e Roberta Angelilli, Gianni Alemanno e Isabella Rauti. Ma lo stato maggiore di An ha scelto di vendere per un piatto di lenticchie un patrimonio politico allo scopo di accodarsi alle improvvisazioni del Cavaliere. Anziché esprimere oggi obiezioni al suo ritorno, che si esaurirà nell’arco dell’estate, essi dovrebbero compiere un esame di coscienza sui loro errori. Ma ciò è impossibile, poiché hanno deciso di legare le proprie fortune politiche al destino di Berlusconi. E chiunque abbia creato un collegamento organico con una figura così infausta, priva di un progetto ideale, comica e tragica allo stesso tempo, è del tutto squalificato.

L’ex capo del governo pensa di avvalersi del contributo intellettuale degli economisti liberali per la nuova Forza Italia.

Non credo che con Antonio Martino e con studiosi e premi Nobel liberisti e neo-conservatori, seguaci di Friedrich Von Hayek e Milton Friedman, il Cavaliere possa fare molta strada. Ben diverso, anche se utopico, sarebbe un Berlusconi che, incuriosito dai problemi della sperequazione sociale e degli squilibri ambientali del pianeta, avviasse un dialogo con il priore di Bose Enzo Bianchi, con Noam Chomsky, Alain Touraine, Joseph Stiglitz.

Nella realtà politica italiana vede le potenzialità per far nascere un progetto estraneo all’egemonia liberista?

Nell’atmosfera culturale del nostro Paese, provinciale e marginale, non vi è alcun tentativo di costruire una prospettiva altra rispetto a quella incarnata da Berlusconi. Ma, a differenza del deserto che impera a destra e nel centro, esistono elementi sparsi di innovazione possibile nella sinistra. Pur con mille riserve, ritengo originali le riflessioni di Nichi Vendola che, come faceva Walter Veltroni, si eleva al di sopra delle miserie quotidiane per parlare del mondo e dell’Europa, del suo deficit democratico e dell’assenza di un’unità politica sovra-statuale. Altrettanto stimolanti, anche se troppo liberali, sono i ragionamenti di Matteo Renzi, che con una solida esperienza politica alle spalle coltiva ambizioni del tutto legittime.

(fonte: www.linkiesta.it

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