mercoledì 29 agosto 2012

L'ultimo uomo sulla terra


Sì, è vero, l'abbiamo guardato tutti, in quella magica notte del 20 luglio 1969, l'approdo del primo uomo sulla Luna. Io avevo 25 anni e mi trovavo a Viareggio, a spendere i miei pochi giorni di ferie, morbosamente attratto dal “caso Lavorini” un ragazzino di dodici anni ucciso nella pineta di Vecchiano, un delitto omosessuale. Il principale imputato, Adolfo Meciani, massacrato dalla stampa, si era impiccato in carcere, con un lenzuolo, pochi mesi dopo, il 24 maggio del 1969 (in seguito sarebbe risultato innocente).

Per solidarietà, e per curiosità, frequentavo i Bagni Anna, tenuti da sua moglie. Seguii quindi l'avvicinamento dell'Apollo 11 alla Luna dal bar di questi Bagni, gremito fino all'inverosimile da uomini, donne, vecchi, ragazzi, da famiglie intere che tenevano i bambini addormentati in braccio.

La tv in Italia c’era da appena 15 anni e gli alberghi, almeno quelli che potevo permettermi io, non avevano, come oggi tutti, il televisore in camera. Eppoi quello era un avvenimento da vivere assieme agli altri. La Tv aveva ancora una funzione aggregante, non disgregante, una droga da assumere solipsisticamente ognuno chiuso nella propria camera.

Si, è vero, lo abbiamo seguito tutti quell'evento (un vero “evento”, non un concerto di Zucchero) con trepidazione e quell'eterna illusione che accompagna sempre l’uomo, indispensabile a nascondergli la tragicità dell'esistenza. Una prima incrinatura, quasi uno stridore, si avvertì quando Neil Armstrong, messo piede sulla Luna, pronunciò la famosa frase: "Questo è un piccolo passo per un uomo ma un grande passo per l'umanità”. Ma come, tu sei sulla Luna, vedi la Terra da lì e le stelle e l'Universo come nessun uomo le ha mai viste, devi essere preda di un'emozione violentissima, e te ne esci con una simile stronzata?

Si sarebbe saputo in seguito che gliela aveva dettata l'Ufficio stampa della Nasa. E la cosa non era priva di significato.

Quella magica notte d'estate del 1969 non era un inizio, ma una fine. Non era un'entrata, ma un’uscita. Dai favolosi Sixties in cui noi ragazzi europei, grazie al vento che soffiava dall’Inghilterra, con Mary Quant, la minigonna, i Beatles, conoscevamo, per la prima volta, dopo un paio di secoli di pruderie borghese, la libertà sessuale. Ma con una curiosità ingenua, lontana dall'ossessione erotica dei nostri giorni. Per me c’è un'immagine che fotografa emblematicamente l’innocente malizia degli anni Sessanta: Laurent Terzieff (Peccatori in Blue jeans), in piedi, a torso nudo, glabro, con l'acqua del mare che gli arriva fino alle ginocchia dei jeans, mentre porta a cavalcioni, sul collo, come una bimba, una Brigitte Bardot solare, anch'essa in jeans e t-shirt bianca.

Noi ragazzi giravamo l'Europa in autostop, gli automobilisti ci caricavano senza problemi, la droga era di là da venire e non c'era il rischio di prendersi una coltellata a tradimento. La macchina stava diventando un mezzo di trasporto di massa ("c'ho giù la Giulia", "da casello a casello"), scoprivamo il benessere senza conoscerne ancora le insidie. Entravamo nei supermercati e, come a Pinocchio non ancora diventato Lucignolo, ci pareva di essere nel Paese di Bengodi. Sperimentavamo il benessere ma, adulti o ragazzi, eravamo ancora sufficientemente naïf per non viverlo in modo volgare, ma con l'occhio stupito dei bimbi.

In realtà quella magica notte dell'estate del 1969 significò, simbolicamente e concretamente, la perdita dell'innocenza e segnò la fine dell'individuo. Proprio mentre ne celebravamo il trionfo, l'avventura dell'Apollo 11 distruggeva la figura dell'individuo, dell'eroe solitario, di Lindberg che trasvolò da solo l'oceano, di Galileo che, solo con l'aiuto del suo cannocchiale, oltre che delle teorie dì Copernico, capovolse il mondo, di Cristoforo Colombo che con tre Caravelle, poco più che delle barche, partì per l'ignoto.

Dietro Neil Armstrong c'era un’organizzazione formidabile, una tecnologia sofisticatissima, un lavoro d'équipe che relegava l'uomo, il singolo, benché illuminato dai riflettori, a un ruolo marginale e lo rendeva, di fatto, sostituibile. Un automa. E di lì a poco, la tecnologia e l'economia ci avrebbero resi sudditi di processi su cui nulla possiamo e che nemmeno conosciamo. Ma in quella calda estate del 1969 non pensavo a queste cose. Avevo 25 anni e pensavo di avere, come Neil Armstrong, l'Universo ai miei piedi.

(di Massimo Fini)

Nessun commento:

Posta un commento