martedì 4 settembre 2012

Perché ad Alemanno una sconfitta a Roma fa meno paura dell’ignoto


Il problema di Gianni Alemanno è anche la sua piccola fortuna politica: nessuno al mondo pare sia disposto a candidarsi al suo posto per scalare il Campidoglio nel 2013. Tanto basta per concedere credibilità alla foto pubblicata ieri su Twitter – corredata dal motto dannunziano “hic manebimus optime” scolpito sulla sedia del sindaco di Roma ritratto di spalle, per fare il verso alla replica di Obama a Clint Eastwood – con la quale Alemanno ha smentito un articolo di Repubblica secondo il quale sarebbe stato nientemeno che Silvio Berlusconi a sollecitare garbatamente un suo passo indietro.
Alemanno ironizza sulla propria sfortuna e lo fa sapendo d’essere prigioniero d’un ruolo ingrato certificato da sondaggi che non lasciano spazio alle fantasticherie: la sfida con Nicola Zingaretti è perduta in partenza, si tratta semmai di guidare con ordine le truppe pidielline e limitare le perdite. Una soluzione alternativa non era immaginabile? Sì, ma è stata dissolta dal preannunciato ritorno del Cav. alla guida del centrodestra. Se Berlusconi avesse scelto per sé il ruolo di garante d’un cartello elettorale a trazione moderata da affidare ad Angelino Alfano (o chi per lui), recuperando alla causa il mondo centrista e qualche frattaglia montezemoliana, a quel punto sarebbe stato più facile fare di Roma un laboratorio di avanguardia post berlusconiana e reperire una candidatura extraterritoriale. La soluzione, se pure non priva d’incognite, avrebbe trovato nel sindaco in carica il primo sostenitore.

Una volta tramontata l’ipotesi, in primo piano sono rimaste le macerie di una sindacatura ormai impopolare, politicamente avviticchiata sul nulla e mediaticamente percepita come poco meno d’una calamità naturale. Fra queste rovine si aggira un Pdl solitario e ammaccato, incapace di triangolare con gli ex alleati e di pescare assi convincenti nella propria nomenclatura. In effetti le rilevazioni dei sondaggisti segnalano che, malgrado tutto, il nome di Alemanno avvicinerebbe un consenso maggiore rispetto a quello raggiungibile da Giorgia Meloni, Andrea Augello o Sveva Belviso. Di qui l’impasse sulla quale i dirigenti pidiellini hanno steso il manto pietoso delle primarie di centrodestra, costringendo gli osservatori ad almanaccare sulla consistenza di eventuali sfidanti. Sarà o no, per esempio, l’ex ministro Meloni capace di rompere a proprio vantaggio gli equilibri interni agli ex di An? Chi ne conosce le segrete aspirazioni risponde con il motteggio: “Giorgia è una ragazza sveglia. Chiedetele in via informale che cosa pensa di una sua possibile candidatura romana e minaccerà di citarvi in giudizio per danni”. A questo punto, in mancanza di vie d’uscita e vista anche la carenza di contenuti politici sui quali pronunciarsi, è anzitutto interesse di Alemanno tenere in vita un minimo d’incertezza sull’intero dossier.

Ma in fondo che cosa conviene davvero ad Alemanno? Il paesaggio politico nazionale è troppo vaporoso e cangiante per esporsi in prima fila nel tentativo di sostenere, oppure scongiurare apertamente, l’ultimo colpo di teatro berlusconiano. Se bene amministrata, una sconfitta contro Zingaretti (magari al secondo turno) lascerebbe ad Alemanno spazi di manovra per conservare alcune rendite nella Capitale, senza con ciò ostacolarne le chances di rientrare nel gioco più grande in una prospettiva nazionale grancoalizionista non del tutto improbabile. A ben vedere, questo è lo stesso ragionamento che agita i pensieri degli altri colonnelli aennini come Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa. Loro vedono nell’attuale legge elettorale (il così detto porcellum), o in una che non le sia troppo dissimile, la chiave per conservare il controllo su una rappresentanza berlusconiana in Parlamento. Un blocco fedele con il quale navigare contro la corrente del Pd di governo, senza precludersi la scia dell’esperimento tecnocratico in corso. Perché in Italia i voti necessari (ma non sufficienti) li porta ancora il Cav., e a Roma Alemanno. Sarà anche pura strategia della sopravvivenza, ma è così.

(di Alessandro Giuli)

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