venerdì 15 febbraio 2013

L’eutanasia del papato è la fine di un mondo


Ho sentito nella voce del Papa l’affanno dei se­coli e nei suoi occhi, che evitavano di in­crociare lo sguardo del mondo, sembrava celarsi un segreto. Non è solo un evento sto­rico l’annuncio del Papa e non suscita solo emozione e sorpresa, come ripete il ci­calare dei media. Anzi di sorpresa ce n’è poca, di ri­nunce al papato, Ratzinger aveva già accennato. Ma c’è qualcosa di più grande e di più misterioso nella sua decisione e sfugge alla vista del tempo. Non con­fondiamo le occasioni che lo hanno portato a dimet­tersi con la causa ultima. Le occasioni o le cause prossime del suo gesto sa­ranno state la fragilità di un uomo costretto ad affronta­re aspre battaglie, micidia­li bassezze e ostilità, ad ac­collarsi sulle sue spalle mi­nute, enormi responsabili­tà pastorali ed epocali, e poi quei fogli volati coi cor­vi e finiti chissà in quali ma­ni; inchieste, complotti, ri­catti e maldicenze. Hanno caricato sulle delicate spal­le di Ratzinger perfino i due ultimi grandi tabù del nostro tempo, la bestia na­zista e la libertà omosessua­le, cercando di rimestare nel torbido, attaccandosi alla sua giovinezza tede­sca, a oscure dicerie o alle tristi vicende della pedofi­lia in abito talare. Saranno quelle le cause  prossime del suo abbandono; non ha retto, non ce l’ha fatta, non era un gladiatore di Cristo e nemmeno un milite tedesco ma un mite teologo dalle piume di cristallo. «Pietro era in­fatti inesperto delle cose umane, che aveva trascurato per l’assidua con­templazione di quelle divine» scrive nella stessa lingua latina un cronista d’eccezione, Petrarca, parlando di Celestino V che si dimise da Papa.

Ma per un grande custode della dot­trina, come è Joseph Ratzinger, per una mente acuta e implacabile come la sua, c’era un altro macigno che pe­sava sulle sue deboli spalle. È la perce­zione della catastrofe spirituale del nostro tempo, lo spettacolo di un’abissale sordità del mondo alla vi­ta, alla missione e alle aspettative del­la fede. Nel suo invecchiare, si riflette­va la tremenda vecchiezza della Spo­sa di Cristo, la Chiesa, il suo indebolir­si e piegarsi nell’arco di pochi anni. Chiese deserte, vocazioni calanti, sa­cerdoti che vacillano nella fede, il ci­nismo che cresce. E allora cresce il dubbio che Ratzinger si sia trascina­to in questi anni un terribile segreto che non vuole e non può esplicitare: lo spegnersi della fede cristiana e l’im­possibilità di fronteggiare il deserto che avanza. Da qui l’eutanasia del pa­pato. Le sue dimissioni rispecchiano la ritirata della Chiesa dal mondo, il suo sbiadire, arrendersi in Europa e arretrare nelle periferie popolose del­la cristianità. Dimettendosi, Ratzin­ger non è sceso dalla Croce, come di­ceva Wojtyla sostenendo che si porta la croce del Papato fino alla morte. Ma non è lui, è il mondo che ha rimos­so la Croce. Le parole di Ratzinger pro­nunciate in latino accentuano il fossa­to incolmabile che le separa dal pro­prio tempo, esprimono con asciutto lindore tutta la portata drammatica dell’annuncio. Il latino le scolpisce nel marmo del passato, le rende lapi­darie e irreversibili.

Se guardiamo al pontificato di Be­nedetto XVI e alla sua precedente atti­vità di prefetto e teologo, ci accorgia­mo di due opposte strade da lui segui­te, ambedue con straordinaria lucidi­tà. Da un verso, il rigoroso difensore della fede, dell’Auctoritas e della Tra­dizione contro la dittatura del relativi­smo; dall’altro il tormentato filosofo che si confronta con l’ateismo e ria­pre i conti con Nietzsche, con Heideg­ger, col pensiero contemporaneo. Lui che è stato il più strenuo difenso­re della Tradizione, lui che il filosofo cattolico Del Noce definiva «il più al­to esempio di cultura di destra»; pro­prio lui, si è affacciato nelle terre inc­o­gnite del tormento e dell’ateismo più di ogni altro papa. Arrivò a dire di re­cente che un inquieto cercatore pri­vo di fede è più vicino a Dio di un devo­to per abitudine, così sconfessando millenni di fede per forza d’inerzia e milioni di fedeli per routine. Più di re­cente è arrivato a dire che la verità non abita dentro di noi, nessuno la possiede; ma la verità possiede noi, noi siamo dentro la verità. E dunque nessuno detiene il monopolio della verità e può decidere nel nome della verità, ma noi nuotiamo dentro la ve­rità e a volte non ce ne accorgiamo. A ben vedere, è una rivoluzione rispet­to alla fede insegnata nei millenni, ma anche rispetto a chi parte all’infi­nita ricerca della verità, ritenendola irraggiungibile, e non si accorge di es­sere dentro il suo alone. È un parados­so che il Papa della Tradizione spezzi una tradizione secolare e inneschi una assoluta novità, il Papa dimissionario che vive nell’ombra in Vatica­no, da Papa emerito, come si dice per gli ex-presidenti.

Ratzinger ha saputo come pochi unire certezze e inquietudine, tradi­zione e ricerca, fede e ardimento in­tellettuale, scarsamente compreso dal mondo e dal tempo. Forse più amabile del suo grande predecesso­re ma meno amato.

Hanno detto che la sua decisione è maturata in serenità. «Egli fuggì con grande gioia - scrive Petrarca - portan­do negli occhi e sul volto i segni della letizia spirituale quando si allontanò dal concilio, come se avesse sottratto le sue spalle non a un peso modesto, bensì il collo a una terribile scure, sic­ché risplendeva sul suo viso un non so che di angelico».

Le sue dimissioni sono la testimo­nianza più alta e sofferta della società senza padre in cui viviamo. L’ultimo Padre si è dimesso e lascia il posto va­cante, che sarà presto colmato in una Pasqua di Resurrezione. Ma quel ge­st­o ci richiama alle tempeste spiritua­li che stiamo vivendo e di cui non sem­pre ci accorgiamo fino in fondo. Sarà un tempo di nani, eppure urgono gi­ganti.

Intanto ci mancheranno i suoi sguardi di spaventata dolcezza, di trattenuta mestizia, la sua scarsa di­mestichezza con le cose del mondo, il suo disagio di vivere nello splendo­re regale. Il suo sguardo si scusava col mondo e suggeriva agli astanti: sono solo un pensatore che regge le sorti di un Pontificato. A volte si abbandona­va più sereno ai sorrisi o si atteggiava a un’affabile severità che lo rendeva assai somigliante a Paolo Stoppa quando interpretava il Papa Re.

Ma alle ore venti del prossimo 28 febbraio, cercheremo nello sguardo di Joseph Ratzinger «quel non so che di angelico» di chi si libera del peso del mondo e raggiunge la solitudine dei celesti. 

(di Marcello Veneziani)

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