domenica 7 aprile 2013

Il grillismo visto da Marco Tarchi


Primi scricchiolii nel corpaccione del Movimento 5 Stelle. Alcuni parlamentari si sono stufati dei continui no inflitti agli altri partiti e chiedono di potersi confrontare, per esempio con il Pd, per superare la fase di stallo. E qualcuno di loro sarebbe pronto a votare la fiducia e a traslocare nel gruppo misto. Che succede nel Movimento? Ne parliamo con il professor Marco Tarchi, politologo e studioso di populismo (tra i suoi libri, ricordiamo “L’Italia populista”, pubblicato dal Mulino), ordinario di Scienza Politica all’Università di Firenze.

Che fine ha fatto la compattezza ostentata nei primi giorni della nuova legislatura?

Io mi chiederei piuttosto che fine abbia fatto l’impegno di rispettare il programma del Movimento che i candidati alle “parlamentarie” avevano sottoscritto. Lì si diceva chiaramente che gli eletti del M5S non avrebbero dovuto accettare alcuna forma di alleanza o coalizione, limitandosi ad eventuali convergenze di voto su specifiche proposte di legge. Chi oggi se ne infischia dimostra di essersi rapidamente fatto catturare da quei modi della politica tradizionale che Grillo e i suoi seguaci da anni vanno deprecando. Ed è miope, perché legarsi in qualunque modo all’uno o all’altro dei partiti che hanno suscitato l’indignazione di gran parte dell’opinione pubblica svuoterebbe il carniere elettorale di parecchie delle prede conquistate il 24 e 25 febbraio. Essere – o quantomeno apparire – estranei al sistema e, ancor più, alla logica delle scelte di campo determinate dallo spartiacque sinistra/destra è stato il primo punto di forza dei grillini.

Il Movimento dimostra un problema di organizzazione politica della classe dirigente?

Ce l’ha, e grosso. Aver inviato in Parlamento centosessanta esponenti non socializzati da tempo a una visione strategica e una cultura politica ampia e comune è stato un azzardo, che potrebbe tramutarsi presto in errore. Almeno per adesso, con il solo dialogo concesso dai blog, non si può costruire il tessuto connettivo di una forza politica omogenea. E il rischio di diventare il punto di raccolta di frange lunatiche che su cinque temi (le “stelle”) concordano, ma su tutto il resto si dividono, è elevato. Tanto da obbligare a sottostare a una guida unica e personalizzata. Che però, malgrado le apparenze, non dispone di poteri taumaturgici.

Grillo dice a chi vuol fare accordi: “Hai sbagliato voto”. Condivide?

Sì. Anche se servirebbe di più affiancare all’elenco delle critiche verso l’esistente una progressiva serie di proposte – e di visioni, perché la razionalità non è l’unico elemento determinante del consenso in politica, anzi spesso vi svolge un ruolo secondario – che qualifichino la diversità dai concorrenti in un modo più definito. Certo, sui programmi è più facile dividersi che sulle proteste, ma se si vuole durare e gettare radici, è un passaggio obbligato.

Secondo lei lo streaming e la trasparenza assoluta sono un problema per la politica, che ha bisogno anche dei suoi momenti di trattativa non squadernati in diretta web?

Gli “arcana imperii” sono sempre stati un ingrediente fondamentale della politica e credo che lo resteranno. Tanto è vero che anche il M5S ha bisogno di riunirsi a porte chiuse per chiarirsi le idee, rannodare i rapporti interni e deliberare linee di azione su argomenti che fin qui Grillo – il vero interlocutore degli elettori – ha toccato solo marginalmente e i suoi sostenitori ancora meno. Va detto che, finora, la pretesa di trasparenza (rivolta agli altri) è stata uno strumento polemico efficace, così come l’uso delle dirette web per documentare incompetenze, goffaggini, vuote retoriche.

Vede un rischio nel concedere “tutto il potere” alla gente e nel pensare che, leninisticamente, anche una cuoca possa fare il capo di Stato?

Sì, ma non posso ignorare il fatto che sia i politici di professione che i tecnici sono i responsabili unici, più che principali, della crisi della gestione della cosa pubblica che ha provocato quella disaffezione diffusa che oggi percepiamo. E che l’argomentazione populista, di cui Grillo è un interprete di qualità, secondo cui il primo male della politica odierna è la confisca del potere che la democrazia assegna al popolo da parte di élites autoreferenziali e rapaci ha parecchi motivi di fondatezza. Personalmente, ritengo che l’uso ponderato e ben organizzato ma ampio di strumenti di espressione diretta delle prerogative decisionali dei cittadini – un po’ sul modello svizzero, per intendersi – gioverebbe molto al ristabilimento di un rapporto di fiducia fra governanti e governati. Il principio della rappresentanza ha finito con lo svuotare, usando come pretesto l’incompetenza delle masse, il principio secondo cui la legittimità del comando deriva dal popolo. Ma questa, piaccia o no, è l’essenza della democrazia.

Secondo lei è Grillo il vero avversario di Renzi? Vede punti di contatto fra i due?

Non mi sembra che di punti di contatti ce ne siano molti. Si dice che entrambi siano populisti, ma c’è una differenza fondamentale. Grillo offre un esempio di populismo molto vicino al tipo ideale di questa mentalità, di cui sa cogliere gli elementi più diffusi fra la gente, mentre quella di Renzi è una sorta di contraffazione del modello, di cui vengono ripresi solo alcuni elementi stilistici. Entrambi fanno leva sul nuovismo, ma ne propongono declinazioni molto diverse. Il portavoce e ispiratore del M5S si colloca fuori della diade sinistra/destra; il sindaco di Firenze vuole starci in mezzo. Sono certamente avversari, ma non credo che il futuro politico dell’Italia li vedrà unici protagonisti.

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