mercoledì 8 maggio 2013

Il fallimento e l'addio di Fini. La destra riparte da Fiuggi


L’ultimo atto di Fli è il congedo. Da un'illusione, da una improvvida avventura, da un malinconico progetto senza sbocchi politici. L'assemblea nazionale oggi sancirà la fine del breve percorso, accidentato come pochi altri nella più che ventennale stagione di partiti effimeri. Gianfranco Fini, già leader di Alleanza nazionale che ottenne lusinghieri successi tra il 1994 e il 2006, fino a toccare la vertigine del 15,7% dei suffragi, si ritira dichiarando di aver fallito e accetta la sconfitta senza accampare giustificazioni né alibi e neppure cercando ricomposizioni impossibili, come ha lui stesso ammesso, convinto di non essere uomo per tutte le stagioni. Il "riciclaggio", insomma, non gli si addice. E dell'assunzione piena delle responsabilità gli va dato atto. Inutile elencare gli errori di strabismo politico commessi da Fli. Il magrissimo risultato elettorale li riassume. Va solo ricordato che, prima l'abbandono del centrodestra da parte degli scissionisti, poi la confusa e precaria costruzione di un soggetto che per disperazione - non avendo altre possibilità di collocazione - è diventato "centrista" pur essendo lontanissimi da quell'area tutti i suoi esponenti, ne hanno pregiudicato l'agibilità politica fino alla scomparsa. La destra che Fini e i suoi immaginavano non è mai nata. Poteva esistere, pur lontana dall'alveo berlusconiano, a patto che principi, valori, riferimenti, strategie fossero coerenti con una tradizione politico-culturale riconoscibile e attraente. Invece non è stato infrequente imbattersi in prese di posizioni antitetiche alla destra da parte di non pochi parlamentari di Fli e dello stesso Fini che lasciavano sconcertati coloro che li avevano seguiti, molti dei quali non esitarono perciò a fare retromarcia. Comunque la si voglia giudicare, l'esperienza finiana ha determinato una rottura traumatica all'interno di una componente umana prima che politica le cui conseguenze si sono fatte dolorosamente sentire. Per dirla tutta, un mondo, cementato da ideali e culture, a lungo ostracizzato poi affermatosi con la conquista del consenso, è andato in frantumi. In quel mondo, per oltre mezzo secolo sopravvissuto a tutte le intemperie politiche, si sono consumati drammi personali di cui non è stata valutata la gravità nello stesso Pdl che in quest'ultima tornata elettorale ha marginalizzato quasi tutti coloro i quali erano rimasti nel suo ambito - perfino quelli che avevano criticato la "fusione a freddo" tra An e Forza Italia - come se fossero comunque sospetti di "intelligenza con il nemico". Ma questa è acqua passata.

Non passa, invece, la "tentazione" di rimettere insieme i cocci. Anche da parte di chi ha seguito Fini. È in corso un lavorio che coinvolge alcuni dei suoi collaboratori più stretti come Roberto Menia che sta tentando un dignitoso approccio con altre componenti della destra, da Fratelli d'Italia al partito di Storace, al gruppo che si riconosce in Moffa, Landolfi, Viespoli, Benedetti Valentini (che sabato scorso ha tenuto un convegno a Roma sul presidenzialismo) e al movimento che sta mettendo in piedi Domenico Nania che debutterà il 16 maggio a Palermo. Naturalmente contatti con gli ex-An nel Pdl sono frequenti da parte di tutti gli interessati. E non è detto che una "Cosa" di destra non venga fuori.

Naturalmente una sommatoria di soggetti sarebbe inadeguata allo scopo. La destra che non c'è eppure, paradossalmente c'è, come "destra diffusa" intendo, potrebbe ritrovarsi soltanto intorno a un progetto finalizzato all'organizzazione nello spazio lasciato vuoto dalla scomparsa di An, di uno schieramento politico che riesca a muoversi in sintonia con l'esigenza di cambiamento istituzionale e di moralizzazione della vita pubblica diffusa nel Paese. Coniugando la tradizione culturale propria della destra con le spinte modernizzatrici che andrebbero adeguatamente interpretate e governate. Non si tratterebbe di rifare ciò che non c'è più, insomma, ma di reinventare un'identità procedendo a quella sintesi culturale che venne avviata a Fiuggi nel 1995 e poi è sbiadita strada facendo, fino a perdersi.

Un orizzonte ambizioso, senza dubbio. Ma inseguire piccoli obiettivi non è interessante per nessuno. Se si vuol provare a far rinascere la destra tanto vale riconoscere che l'impresa è ardua e che molte energie vanno spese. Accontentarsi del piccolo cabotaggio o trasformarsi in qualcosa d'indistinto è inutile. Come la parabola di Futuro e libertà eloquentemente dimostra.

(di Gennaro Malgieri)

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