giovedì 19 marzo 2009

An? Almirante capì tutto Silvio è già il capo della destra

La foto con dedica è quella inconfondibile del Caudillo: A nuestro queridisimo amigo Giulio Caradonna, Francisco Franco. «Ho studiato all'università di Santander. La città presa dalle nostre camicie nere» ricorda lui. Ovviamente, fermacarte con profilo del Duce: «Ora mi hanno proposto l'acquisto di un bel ritratto futurista di Mussolini, ecco le foto. Bello no? Credo lo prenderò». C'è anche un autografo di padre Pio, che ringrazia Giuseppina Caradonna, la madre, per le 50 mila lire versate alla Casa sollievo della sofferenza. E il ritratto del padre Giuseppe a cavallo, con camicia e stendardo neri.
«Papà è stato il vero antagonista di Di Vittorio, non quel barone smidollato vestito di bianco, che non è mai esistito. Quanti errori nella fiction tv! Mio padre non aveva latifondi, ma uno stabilimento vinicolo, che gli fu bruciato. E poi lo scontro non era per le terre; era politico. Giuseppe Caradonna fondò la cavalleria pugliese per difendere le masserie assediate dai sovversivi. E fu tra gli artefici della marcia su Roma», qui ricordata dallo schizzo di una squadra fascista su un camion 18 BL. «Quando, dopo la guerra, mio padre fu arrestato, Di Vittorio non disse una parola contro di lui. Del resto era un ardente patriota. Non è vero che fu chiamato alle armi per punizione: era un sindacalista rivoluzionario interventista, prima di partire aveva baciato il Tricolore sulla piazza di Cerignola. Papà uscì di prigione con l'amnistia Togliatti. Nasceva l'Msi...». Giulio Caradonna, classe 1927, otto legislature, oltre trent'anni in Parlamento, è la memoria più antica della storia che si chiude definitivamente sabato prossimo. «An rappresenta una fase transitoria. In fondo inutile, visto che già Almirante aveva inventato la Destra nazionale, per superare il revanscismo fascista. Per fortuna ora avremo il Pdl: il grande partito di destra che mancava all'Italia. Da tempo anche per l'elettorato di An il capo è Berlusconi. Un vero uomo di destra trova un riferimento naturale nel Cavaliere, non certo in Fini, eterno agnostico, che non ha mai compreso sino in fondo il ruolo politico-culturale dei missini».
«L'Msi fu una grande operazione di Michelini e Almirante, che ereditarono il fascismo anticattolico, antisemita e antiborghese di Salò e ne fecero una forza conservatrice, filoisraeliana e filoatlantica. Questo uno come La Russa l'ha ben chiaro. Di quella generazione è il migliore, grazie alla scuola del padre, figura di primo piano nella politica e nella finanza. Anche Gasparri l'ha capito: pure lui viene da un'ottima famiglia, di alti ufficiali dell'Arma. Alemanno invece non l'ha capito mai. Me lo ricordo ragazzo: grande coraggio fisico, poca intelligenza politica. Lo rivedo con la kefiah in testa, guidare i nostri giovani sinistrorsi e filoarabi: gente che imbrattò di vernice rosso sangue l'ambasciata israeliana, che tentò di bloccare il corteo di Nixon. Rautiano di ferro, ne sposò la figlia ma lo mollò per Fini. Ora mi dicono si sia ravveduto. Vedremo come farà il sindaco di Roma». Storace? «Bravo ragazzo. Sinistrorso pure lui. Ma dove vuole che vada il suo partitino?». Fini? «Stava a metà strada. Agnostico, appunto. Non ho mai avuto un gran rapporto con lui. In vista delle elezioni del '94, feci un'intervista per dire: dopo De Lorenzo e Miceli basta reclutare uomini dei servizi, se no tireranno fuori la storia che siamo collusi. Lui annunciò la mia esclusione dalle liste in tv».
Matteoli? «Brav'uomo. Ma non conosce neppure la storia della sua terra. Quando gli suggerii di erigere un monumento a Montefiori, l'ebreo livornese che dà il nome al primo quartiere moderno di Gerusalemme, mi rispose: "E chi è?". A proposito: io entrai con la kippah nel museo dell'Olocausto già nel '73; e senza bisogno di abiure». Urso? «Bravino. Ma l'intelligenza più lucida è una donna: Angiola Tatarella, la moglie di Pinuccio. Lui era accorto, ma sopravvalutato. La vera mente era lei. Purtroppo la destra resta maschilista; altrimenti accanto a Berlusconi avremmo Angiola». Sulla scrivania, tra Alcyone di D'Annunzio e il Cammino di Josemaria Escrivà da Balaguer, Caradonna ha il saggio di Orazio Tognozzi Licio Gelli e i giorni della linea gotica. «Gelli era una bravissima persona. Sono stato con lui nella P2, e per questo fui sospeso dal Msi, perseguitato da inchieste di partito, ma poi riammesso. Perché da Gelli mi aveva mandato Almirante: "Vedi un po' di parlare con questo signore, perché senza il suo assenso i soldi ai partiti non arrivano". La missione ebbe successo, e Gelli aiutò Almirante».
Guardi che donna Assunta ci trascina in tribunale. «So quel che dico. Giorgio mi espresse la sua eterna gratitudine. Non è vera invece quell'altra diceria, secondo cui guidai con Almirante la squadra che assalì l'università di Roma nel '68». E i leggendari pugili di Caradonna? «Fondai una scuola di pugilato, mia grande passione. Ma quel giorno i pugili restarono in palestra. Io arrivai tardi, quando già i nostri erano stati respinti, ed essendo claudicante dovetti riparare con loro nella facoltà di giurisprudenza. Ma la causa era sacrosanta. I ragazzi di destra non dovevano mischiarsi con i rossi. Già allora sul '68 si intravedeva l'ombra della Cia». La Cia? «Chi c'era dietro la scuola di Francoforte? Chi dietro la rivolta francese che mise in ginocchio de Gaulle? Il '68 fu un anno torbido. Per fortuna, la destra vigilava».

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