martedì 24 marzo 2009

E se fosse più facile tornare missini nel Pdl che essere se stessi dentro An?

E se fosse più facile tornare missini nel Pdl che essere se stessi dentro An? Con Alleanza nazionale si scioglie in queste ore un equivoco durato quasi quindici anni. L’equivoco di un partito nato per mutazione liberaldemocristiana nel 1995 e accompagnato adesso al fine vita nel Pdl in un tumultuoso sfoggio di orgoglio identitario. Con un tocco di semplificazione paradossale si può dire che, se al congresso di Fiuggi i finiani avevano portato dentro un nuovo contenitore l’apparato missino deprivandolo del contenuto ideale ereditato dai Romualdi, dagli Erra o dagli Almirante, ora che An si disperde invece nel mare grande del berlusconismo finisce per aggrapparsi con tenacia all’albero maestro del proprio archetipo missino.
Non è un salto all’indietro, anche perché già alla metà degli anni Ottanta si poteva dare per acquisito il processo di “derattizzazione” postfascista – la formula non è neutrale ma evoca l’autorappresentazione goliardica dei missini come topi di fogna. Allora cos’è? E’ un processo che chiama in causa una classe dirigente maturata in una durevole esperienza di potere, e che non ha più bisogno di edulcorare se stessa (per convenienza o pavore) nel momento in cui entra a far parte di un partito unitario affiliato, sì, al Ppe, ma venato di populismo e consegnato in partenza all’egemonia berlusconiana. Non è casuale che nell’ultimo miglio di strada l’esigua nomenclatura di ex dc (come Publio Fiori e Gustavo Selva) o di paleoconservatori (Domenico Fisichella) si sia via via allontanata dal partito dei finiani. I quali non hanno mai transennato le uscite di sicurezza e cercano semmai di recuperare i transfughi Mussolini e Storace.
A dimostrazione che nel momento di criticità la destra italiana ricorre allo sguardo retrospettivo. La meccanica è agevolata da due circostanze: una recente affermazione delle idee riconducibili alla destra sociale (capitalismo temperato, decisionismo statuale, centralità del sacro) e la non rinviabilità dei conti da fare col berlusconismo. La prima circostanza induce al rimescolamento virtuoso delle obbedienze nel Pdl, attrae i bismarckiani Sacconi e Tremonti e semmai obbliga gli ex missini a reimpadronirsi di temi e tratti storicamente di destra altrimenti destinati a decorare le altrui casacche. La seconda circostanza impone ai finiani di rielaborare il berlusconismo portando nel Pdl tutto ciò che Berlusconi non è o non ha.
Per esempio la cultura della cosa pubblica come luogo aperto al confronto con la sinistra nazionale (se mai si deciderà a rinascere) ma chiuso a ogni tentazione proprietaria espressa a suon di denari. Quel senso dello Stato (maiuscolo) che gli esuli in patria della prima generazione missina hanno voluto trasmettere ai loro discendenti mentre ne democratizzavano l’avvenire. Anche l’auspicata sintesi di capitale e lavoro è una dote del corporativismo missino e lo è non meno dell’eticità attribuita alle istituzioni pubbliche o della combinazione tra il principio di selezione delle élite, la preferenza nazionale e il patriottismo delle regole. Tutto questo va sotto la definizione di organicismo, una riserva di energia trattenuta dentro An e nuovamente liberabile nel Pdl.
di Alessandro Giuli

Nessun commento:

Posta un commento