giovedì 18 giugno 2009

La scuola per i “martiri” di Mussolini

Il libro di Tomas Carini riapre un capitolo cancellato nella storia e nella demonologia del fascismo: il legame tra cultura e militanza, idee e azione, anzi il misticismo dell’azione che animò il fascismo più fideista.
La sua ricerca è per me un ritorno a temi, autori e passioni della mia giovane età. Tante letture, vari scritti e infine La rivoluzione conservatrice in Italia, che scrissi quando non avevo trent’anni e pubblicai nel 1987. Ritrovo in queste pagine gli autori di quegli anni, la passione per quella cultura della prima metà del Novecento, l’interesse trasgressivo e curioso, senza pregiudizi o bende ideologiche agli occhi, verso la proibita esperienza del fascismo che teologicamente qualcuno vorrebbe definire «il male assoluto».
Di assoluto si respira molto nelle pagine della Scuola di Mistica fascista e del suo principale animatore Niccolò Giani, che all’assoluto trapiantato nella storia credeva con tutta l’anima e la buona fede di un militante disposto a pagare quella professione di idee sulla propria pelle, come poi coerentemente fece. Fede assoluta, ma il male lo fecero solo a se stessi, alla propria vita che sacrificarono nel nome dell’idea e della purezza di un sogno.
Mi appassionai verso i vent’anni alla Scuola di Mistica fascista, pur ritenendo evolianamente incongruo l’accostamento tra una dimensione sacra, legata al trascendente, come è la mistica, e la dimensione storica, ideologica e politica del fascismo. Vi scrissi anche un saggio, quando avevo poco più di vent’anni, che leggeva la scuola di Giani, Pallotta e Arnaldo Mussolini come il tentativo di realizzare «un fascismo ad alta tensione», per una casta di eroi missionari, quasi l’aristocrazia del fascismo, come diceva lo stesso Mussolini.
Carini ricostruisce con ricchezza di riferimenti il suo percorso culturale prima che politico, spirituale prima che militante. Compresi i suoi deliri, come quello antisemita, esploso dopo il ’38, e l’invasamento per la guerra come ordalia, giudizio di Dio, prova suprema della verità nella storia. «Ogni rivoluzione - aveva detto Mussolini ai capi della Scuola di Mistica fascista - ha tre momenti. Si comincia con la Mistica, si continua con la politica, si finisce nell’amministrazione». Non a caso Mussolini concederà alla Scuola la sede del suo originario Covo di Milano, dove nacque il fascismo, quasi a significare che la Scuola custodiva l’essenza originaria del fascismo, la purezza delle origini, la Mistica prima che diventasse politica e amministrazione... Furono soprattutto i cattolici a insorgere contro la definizione di mistica applicata al fascismo. «Un po’ di modestia, di grazia, e di proprietà - scrisse l’“Avvenire d’Italia”. - La mistica ai santi e i problemi stradali ai galantuomini...». Anche “Civiltà cattolica”, “Vita e Pensiero” e l’“Osservatore Romano” criticarono l’idolatria della mistica applicata alla sfera politica, condannandola come una forma di irrazionalismo. E lo stesso Evola, che pure aveva tenuto alcuni incontri alla Scuola di Mistica fascista, apprezzandone l’opera e lo spirito, aveva perplessità sulla sua denominazione. Arnaldo Mussolini, come molti esponenti della Scuola, era cattolico e credente e cercò di risolvere la questione dicendo che in effetti la mistica si addice al divino, ma a parte le parole «è lo spirito che vale». Non era un tentativo di sottrarre alla fede religiosa i suoi percorsi per versarli nella storia, ma di irrompere nella vita politica e nel materialismo corrente con uno spirito religioso.
Chi pensa che la Scuola di Mistica sia stata una specie di covo dei fanatici, dei pasdaran del fascismo, deve però ricredersi. Come raccontò anche Ruggero Zangrandi si svolsero dibattiti spregiudicati nella Scuola, riflessioni critiche tutt’altro che devozionali; e analoghe considerazioni fece lo storico americano Michael Arthur Ledeen. C’era nella Scuola di Mistica il tentativo di sottrarre lo spiritualismo all’idealismo accademico e pedante, riportandolo nella vita e nell’azione, cercando disperatamente di fondare una religione civile che desse fondamento e anima al fascismo.
E c’era la polemica con Gentile e Croce, e con la filosofia come professione. Ma c’era anche la fronda verso il fascismo pomposo e conformista, da parata e da carriera, svuotato di passione e rivolto a una meccanica ripetizione di rituali e di parole separate dal loro contenuto. C’era poi il sogno di una rivoluzione ulteriore interna al fascismo, che premiasse i più giovani, i meno carrieristi, i più arditi e ardenti nella loro fede politica. Una specie di superfascismo da non intendersi come un fascismo più estremo e più cruento ma più ascetico ed elitario, quasi templare, antiborghese; più radicale nel senso di più legato alle radici rispetto ai caduchi frutti della propaganda di partito.
I suoi più attivi partecipanti furono ragazzi, ventenni, più vari professori e qualche reduce della marcia e della Grande Guerra. Ma sarebbero anche da rivedere i nomi dei tanti intellettuali e studiosi che si prestarono a tenere lezioni e corsi alla Scuola di Mistica fascista. Ce n’erano pure di insospettabili. Opportunamente, Carini si sofferma sulle figure di Papini ed Evola che, con diverse sensibilità, tentarono comunque una fondazione spirituale della politica, un loro metafascismo spirituale, cristiano-eroico nel primo caso, esoterico-pagano nel secondo. E giustamente accosta la fine di Giani, e di Pallotta, a quella di Berto Ricci, italiano di carattere che seppe coltivare fedeltà ed eresia: forse non Giani, come spiega Carini, ma molti di loro cercarono la morte quasi per inverare nei cieli il loro fascismo impossibile in terra. Furono loro i prototipi sfortunati dell’uomo nuovo che sognava la rivoluzione fascista, in questo accomunata a tutte le grandi rivoluzioni del suo secolo che inseguivano appunto il mondo nuovo e l’ordine nuovo, attraverso la nascita di una nuova umanità. Sogno impossibile e pericoloso.
Il culto della morte eroica sul campo, se non si riesce a fare la rivoluzione, si ricongiunge all’arditismo delle origini e poi al crepuscolo di Salò; quella passione eroica e lugubre per il tramonto, quell’eroica voluttà del sangue versato per la causa, dannunzianesimo estremo, prosciugato di retorica e lanciato nel sogno antico della mors triumphalis. La Scuola di Mistica fascista non fu il fascismo rivoluzionario e nemmeno il fascismo reazionario, perché non cercò la sua verità a destra o a sinistra. Ma in alto, nel volo d’Icaro di una mistica improvvidamente affidata alla storia, alla politica, al culto del Capo. Ma quel che è di Dio non può essere di Cesare.
(di Marcello Veneziani)

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