venerdì 30 ottobre 2009

Il conservatore è ribelle

Il conservatore non accetta l'insensibile immobilismo, ne l'ambigua rimozione della memoria e delle idee: viceversa, è molto più adatto, rispetto al progressista, ad intuire i mutamenti e percepire le ragioni dell'esistenza soggettiva e comunitaria rispetto a ciò che è accessorio o strumentale.
La conservazione è certamente una coscienza intrinseca al pensiero all'uomo di destra, il quale è persuaso della perpetuità della cultura umana, articolata su pilastri necessari, come quelli stabiliti da religioni e mitologie. Una continuità che consente un'attitudine ideale al cambiamento ed un arricchimento della propria eredità culturale e morale, ma subordinata a vincoli etici e naturali.
Contro tali vincoli è in atto una costante ostilità che trae forza da un cliché di pensiero, fondato su una visione della storia della natura umana, affrancata da ogni limite. E' certamente il grande interrogativo di Dostoevskji: "Se Dio non esiste, tutto è possibile", che ha rappresentato il réclame tipico del totalitarismo nazista e comunista. L'inviolabilità della vita umana pone in modo delicato l'interrogativo del limite.
L'assunzione di una condotta critica verso il modello di progresso, non vuole negare la legittimità dello sviluppo scientifico o tecnologico. Ma l'interrogativo è di natura etica e spirituale: l'uomo deve custodire la sua attitudine di discernere tra il bene e il male, nella certezza che il progresso è possibile, ma non sempre buono.
(di Longinus)

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