mercoledì 4 novembre 2009

Un politico arci-italiano nei meriti e negli errori

Che non si debba aspettare oggi per collocare Bettino Craxi (assieme a chi? Ovvio, Benito Mussolini e Silvio Berlusconi) nella casella dei leader a più alto tasso di italianità del Novecento, va da sé. Ma come spesso accade nel Monopoli della politica italiana, quando ancora il fuoco delle passioni non s’è spento, si corre il rischio di passare dall’esecrazione alla beatificazione, da Vicolo Corto a Piazzale della Vittoria, senza passare per il “via”.

E la figura di Craxi, socialista e modernizzatore, garibaldino e proudhoniano, patriota a modo suo e partitocratico alla moda della prima Repubblica, non sfugge. Craxi è stato il bersaglio di tante monetine piovute sulla storiaccia di Tangentopoli: quelle scagliate all’uscita del Raphael e quelle della dannazione in vita. Oggi, sarà perché la sinistra italiana soffre di una complessa anoressia di leadership e l’Italia nel suo complesso sta sviluppando un singolare vagito di nostalgia per la prima Repubblica, è giunto il momento della canonizzazione. Craxi santo della politica? Di certo questo leader politico, che quando spuntò a capo del Psi alla fine degli anni Settanta nessuno avrebbe scommesso più di un soldo bucato sulle sue capacità, accumula meriti e demeriti come possono fare solo i leader di peso.

La modernizzazione della sinistra

Il merito principale di Craxi, e della giovane banda di politici e intellettuali che ha fatto da contrappunto alla sua vita politica negli anni Ottanta, è stato quello di imprimere alla sinistra non comunista italiana un percorso di velocissima modernizzazione, ponendo il suo Psi in prima fila nell’interpretazione - secondo la formula stranota dei “meriti e bisogni” - di ciò che si andava muovendo in Italia, la cetomedizzazione, la laicizzazione dei costumi e l’esplosione dei consumi, il tramonto della visione classista della società, la necessità di riformare le istituzioni della politica e quelle dell’economia. Craxi è stato il primo che ha assestato un colpo duro agli equilibri congelati dalla politica italiana all’ombra della Costituzione, ha coltivato il sogno presidenzialista e ha ridato lustro al sentimento patriottico nella versione del “socialismo tricolore” che tanto piacque a un intellettuale come Giano Accame e che portò il segretario socialista a un’apertura di credito verso i postfascisti del Msi almirantiano.

Lottò come un leone contro il Pci, lo sconfisse nella battaglia epocale contro la scala mobile, ingaggiò un corpo a corpo con la Dc di Ciriaco De Mita, intuì le potenzialità della televisione commerciale nelle forme berlusconiane ma, arrivato al dunque, quando avrebbe dovuto portare all’incasso la vittoria ideologica sui comunisti, crollati assieme al muro di Berlino, e sui democristiani, ossificati nella palude del governiamo, fu sconfitto. Non dai giudici manettari, come è facile pensare, ma dai suoi stessi errori. Dall’incapacità e impossibilità di correggere la degenerazione di un sistema dei partiti che, nella ricerca furiosa delle risorse del potere, aveva perso ogni controllo, infilandosi in una deriva non più emendabile di corruzione generalizzata ed esplosione del debito pubblico. E anche in questo alternarsi di grandi visioni e grandi abissi sta l’italianissima leadership di Craxi.

(di Angelo Mellone)

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