martedì 18 maggio 2010

Le Crociate? Furono una cosa seria, non una buffonata leghista


Le Crociate furono una cosa seria. Persino un’apertura di civiltà nella ricostituita unità mediterranea. Non il becero rito che vuol proporci la Lega intriso di fondamentalismo religioso». Parla chiaro Franco Cardini, medievalista a Firenze, studioso di Europa e Islam (Laterza), che di Crociate se ne intende. Critico della guerra in Iraq a suo tempo, oggi si autodefinisce «Cattolico, socialista ed europeista», benché la sua sia una biografia culturale di destra. Fiorentino, 70 anni, critico dell’uso ideologico della storia, Cardini non risparmia fendenti alla «crociata leghista», annunciata ieri da Angelo Alessandri e tesa alla «reconquista» nordista delle regioni appenniniche.

Professor Cardini, la Lega muove da Piacenza alla Crociata contro le regioni rosse. Da Piacenza dove nel 1095 fu pensata la prima vera Crociata. Che pensa di questo gran riciclo della Crociata?

«L’uso del termine Crociata è molto tardo e all’inizio non la usava nessuno. A Piacenza si decise di accettare l’invito dell’imperatore di Bisanzio contro i turchi selgiukidi in Anatolia. Quello fu il nucleo della prima Crociata. Nel novembre 1095 al Concilio di Clermont Ferrand Urbano II annunciò l’accordo tra il Papa e l’imperatore per mettere in piedi reparti di cavalieri pesanti contro i Turchi. Poi si aggiunsero i pellegrini, i principi e la decisione di prendere Gerusalemme. Nessuno se lo aspettava, neanche i musulmani».

Ma che c’entra tutto questo con l’agitarsi della Lega?

«Un bel nulla! La Crociata come idea dal punto di vista canonistico e teologico si è affermata nel corso dei secoli, e prima della metà del duecento non c’erano diritti di Crociata, con privilegi, indulgenze e quant’altro. Poi la Crociata è un movimento complesso e ramificato - commerciale, politico - nel mediterraneo e anche in Spagna - e diventa “guerra religiosa di civiltà” solo nel XIX secolo. Nell’ottocento si lega al colonialismo, dopo che nel 700 l’illuminismo aveva duramente contestata l’idea di Crociata imperialistico-religiosa. E poi le Crociate non volevano convertire gli islamici, ma solo riconquistare la terra santa. Sarà nel 1830 Chateaubriand alla Camera a infiammare l’assemblea, parlando di ultima crociata, con i francesi alla conquista di Algeri».

Ma il rifarsi alla Crociata è un fatto comico oppure realmente calamitoso a suo avviso?

«Frutto di un uso becero della storia, in un tempo in cui essa non ha più un significato centrale. Quando gli uomini del Risorgimento o i fascisti idoleggiavano Roma, facevano certo un uso ideologico della storia. Mistificavano, ma allora si viveva in una società in cui l’insegnamento della storia era parte integrante della nazionalizzazione delle masse. C’era un nesso forte con lo stato-nazione e il suo clima pedagogico. Pare che adesso vogliano celebrare i 150 dell’unità con una mostra diretta da Bruno Vespa - relata refero - dove si spiegheranno le radici romane del Risorgimento. Viene da ridere. Poteva avere un senso nel 1849, con i mazziniani o persino durante il fascismo. Ma quella era un’altra società, con altre gerarchie, valori, mete sociali. Quando oggi i leghisti parlano di Crociata, ampolle e Carroccio, fanno delle buffonate kitsch. E così vengono fuori film bruttissimi come quello di Martinelli sulla battaglia di Legnano. Presentata nemmeno come lotta contro lo straniero Federico I - cosa non vera, il punto erano le tasse! - ma come rivincita dei Lumbard contro Roma ladrona».

Una specie di micro-nazionalismo paesano e populistico?

«Sì, un micronazionalismo condito con un perfido tentativo di riallacciarsi al neo-fondamentalismo religioso tipico dell’offensiva neocons, all’opera con Bush Jr in Iraq».

Dunque un certo fondamento «moderno» c’è. E sta nel nesso con l’idea degli Usa cristiani e imperiali, vindici dell’occidente in Oriente...

«La Crociata è stata in quel caso una foglia di fico storico, a copertura di un disegno imperiale. Nel caso della Lega no. Lì prevale la mera regressione, il brutto folklore senza cognizione della storia».

E però la Lega sfonda anche in Emilia, e avanza nelle Marche, Umbria e Toscana. Come mai questo moto ideologico - a tasso zero di cultura storica - attecchisce?

«Attecchirà ancora di più. Perché stiamo entrando in una fase acuta di crisi dell’economia globale, tra le convulsioni della borsa. Che cosa pensiamo possano capire di tutto questo gli italiani, rimpinzati di telefonini, isole dei famosi e centri commerciali? Possiamo spiegare loro che le lobbies stanno deprendando l’Africa di materie prime e acqua? O che la finanza specula in modo inafferrabile sulla recessione e sull’Euro, senza che nessuno possa mettere argini? Molto più facile raccontare loro che tutto dipende dall’ estraneo, dallo straniero. Un po’ come fu fatto in Germania negli anni trenta, con geniale e capillare uso dei media di allora. La Lega rifà lo stesso, in modo artigiano e paesano. In una società ancora più ignorante. E sfonda».

E alla sinistra afasica, lei che viene da altre sponde, cosa consiglia in tutto questo?

«Penso allo splendido striscione dei comunisti greci sul Partenone: popoli d’Europa sveglia! Questo consiglierei di dire alla sinistra e pure alla destra. Senza che ciò significhi buttare a mare il buono già fatto in Europa, a cominciare dall’Euro. Ma ci vuole un’Europa forte, politica, sociale. Che si prenda cura di chi ha bisogno, e senza discriminazioni tra cittadini immigrati e autoctoni. Altrimenti la Lega continuerà a crescere».

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