lunedì 7 giugno 2010

Ecco perché la speculazione attacca gli Stati


«Le grandi banche internazionali hanno ormai l'imperativo categorico di non comprare titoli di stato del Sud Europa. E questa non è una decisione dei singoli operatori, ma dei gestori dei rischi delle banche». Il trader di un istituto internazionale, anonimamente, sembra quasi giustificarsi: non posso più aumentare la mia esposizione sui titoli di stato spagnoli, greci, portoghesi e italiani – dice in sostanza –, perché non me lo permettono i risk manager. Dalla sua postazione di trading, tre computer davanti agli occhi e telefono sempre attivo, è un testimone oculare di quello che accade sul mercato. «Vedo vendite sui titoli di stato del Sud Europa in arrivo dalla Cina», afferma. «E vedo pochi compratori», aggiunge. «Ormai il mercato è così ingessato, che ad acquistare titoli italiani sono solo le banche italiane», conclude.

Sul mercato di tutta Europa (non solo in Italia) c'è la bufera. Ieri i BTp sono arrivati a offrire tassi d'interesse di 1,70 punti percentuali più alti rispetto ai Bund tedeschi. Questo significa che il Tesoro italiano, per trovare investitori disposti a comprare il suo debito, deve pagare tassi d'interesse quasi due punti percentuali più alti del Tesoro tedesco. Non si era mai visto dai tempi della vecchia lira. Ma cosa sta succedendo? Chi sta colpendo l'Europa? Se si pone questa domanda agli esperti, si ricevono decine di risposte diverse. Probabilmente c'è una tale concomitanza di fattori, che le spiegazioni di questa bufera sono tante. Per capirle, però, bisogna partire dalla causa: quello che accade ora è diretta conseguenza di una "bolla" che nessuno ha mai notato mentre si gonfiava. Quella dei titoli di stato.

Lo chiamavano rischio zero

I titoli di stato europei sono sempre stati considerati a zero rischio. Almeno dopo la nascita dell'euro. E così le banche li hanno sempre comprati a piene mani. Le stesse regole di «Basilea 2» hanno sempre incentivato gli acquisti, dato che i titoli di stato non comportano alcun sacrificio di capitale regolamentare. Insomma: se prestare soldi a imprese o famiglie per le banche è sempre stato un costo in termini di capitale, prestare soldi agli stati non lo è mai stato. Praticamente non ci sono mai stati limiti.

Nel 2009 gli acquisti hanno raggiunto l'apoteosi. Dato che la Bce prestava loro tutta la liquidità possibile e immaginabile al tasso fisso dell'1%, le banche hanno pensato bene di guadagnarci sopra. Come? Comprando titoli che avessero rendimenti più elevati dell'1% e che avessero "bassi" rischi: cioè i titoli di stato. Il giochino, chiamato carry trade, era semplice: prendevano in prestito soldi alla Bce pagando l'1% e li investivano in titoli con rendimenti maggiori. E per guadagnarci ancora di più, compravano a piene mani soprattutto i bond dei Paesi che allora offrivano rendimenti «interessanti» e che oggi – ironia delle sorte – le stesse banche chiamano Pigs. Maiali.

Se la pancia è troppo piena

Così hanno fatto indigestione. Secondo i calcoli di Rbs, oggi gli investitori internazionali hanno in portafoglio 1.418 miliardi di titoli di Stato di Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia. Il problema è nato quando la crisi della Grecia ha magicamente trasformato questa montagna di «rischio zero» in qualcosa di potenzialmente rischioso. E i motivi, effettivamente, ci sono. La Grecia, secondo i calcoli del Fondo monetario, passerà per esempio da un rapporto tra debito e Pil del 115% nel 2009 a una percentuale quasi del 150% nel 2013. Ovvio che gli investitori non ripongano grande fiducia nel suo salvataggio: come potrà la Grecia tornare a finanziarsi sul mercato nei prossimi anni, se la sua situazione sarà addirittura peggiorata? «Il mercato – spiega l'economista di Rbs Silvio Peruzzo – crede che nei prossimi anni il rischio di default sarà maggiore». Dalla Grecia, gli occhi si sono poi spostati sugli altri Paesi ritenuti più deboli. Facendo, nel panico, di tutta l'erba un fascio. Prima viene l'Irlanda. Poi il Portogallo. Poi la Spagna. E poi? Sebbene sia da tutti ritenuta più forte, nella lista c'è anche l'Italia. La sfiducia si autoalimenta col panico.

La fuga

Appena si è iniziato a capire che il vento sui titoli di stato europei stava cambiando, ovviamente la speculazione ha cambiato verso: prima era di moda comprare, poi è diventato di moda vendere. E il gioco in questi casi è come nel West: il pistolero più veloce è quello che vince. È così iniziata la corsa ad alleggerire le posizioni sui titoli di stato. Chi per specularci, chi per prudenza, chi per coprirsi dai rischi. Chi per precise strategie d'investimento. «Io credo che sia partita prima la speculazione – spiega l'ex numero uno europeo di Lehman Riccardo Banchetti, oggi capo di Pactum Advisers –: sono stati gli hedge fund a rendersi conto per primi che c'era l'opportunità di far pagare agli stati gli errori del passato. Poi sono iniziate le vendite per motivi di copertura dei rischi».

Il resto è cronaca attuale. I risk manager delle banche internazionali hanno bloccato gli acquisti di titoli di stato e hanno ordinato la copertura dei rischi sul mercato dei credit default swap: ecco perché le quotazioni di queste polizze sono più allarmistiche di quelle dei bond. Gli investitori esteri (come i cinesi) hanno iniziato a vendere, anche per alleggerire le loro posizioni sull'euro. Tante banche retail li hanno seguiti, per prudenza. E la crisi si avvita. Così il mercato è diventato illiquido: le vendite sono ora forse minori, ma la volatilità è alle stelle. Basta una voce o una qualunque indiscrezione per far aumentare la bufera. Sarà un complotto, sarà panico, sarà speculazione: sta di fatto che i nodi di una bolla che nessuno voleva vedere stanno venendo al pettine.

(di Morya Longo)

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