domenica 29 agosto 2010

E Pio XI chiese al Duce: «Cambi nome a via Venti Settembre»

«Fare garbatissimamente comprendere (senza appuyer) che vi è chi subito ha concepito la speranza che il nome della via XX settembre venga cambiato…». Nel settembre 1930, un anno e mezzo dopo la sigla dei Patti lateranensi, che chiudevano la Questione Romana, Papa Pio XI cercò di spingere Mussolini a cambiare il nome della via XX settembre, che ricordava, nella capitale, il giorno della breccia di Porta Pia e dunque della caduta del potere temporale della Chiesa avvenuto nel 1870.

C’è anche questo nel volume I «fogli di udienza» del cardinale Eugenio Pacelli, Segretario di Stato, curato dal prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, il vescovo Sergio Pagano, insieme a Marcel Chappin e Giovanni Coco (Edizioni Archivio Segreto Vaticano, pagg. 600, 45 euro). Il volume, una miniera d’informazioni per gli storici, recensito oggi da L’Osservatore Romano, è il primo di una serie e raccoglie – catalogandoli e contestualizzandoli – i fogli che il cardinale Pacelli diligentemente redigeva alla fine di ogni udienza con Pio XI, fissandone nero su bianco non soltanto le volontà ma anche le esatte parole. Questa prima raccolta, dedicata soltanto all’anno 1930, il primo che Pacelli visse quale principale collaboratore di Papa Ratti, è preceduto, oltre che dalla prefazione del cardinale Tarcisio Bertone, anche da alcuni importanti saggi introduttivi, che fanno luce come finora non era stato mai fatto sulle ragioni che spinsero Pio XI a nominare l’allora nunzio a Berlino quale suo Segretario di Stato: nonostante le indubbie e profonde diversità di carattere (irruento e decisionista il Pontefice, riflessivo e diplomatico il cardinale destinato a succedergli sul trono di Pietro nel 1939), Papa Ratti volle scegliere, spiegano i curatori, «una personalità che sapesse porre definitivamente l’accento sulle ragioni “pastorali” che ispiravano l’azione diplomatica della Santa Sede, le cui finalità non potevano apparire come subordinate agli interessi di nessuno stato, in primo luogo l’Italia». Dalle meticolose note di Pacelli (che vedeva il Papa quasi ogni mattina, ne sono state inventariate fino a questo momento quasi duemila), emergono sia la grandezza di Pio XI, sia la fedeltà e l’intelligenza del futuro Pio XII.

Già nel 1929, dopo la stipula dei Patti, il Vaticano aveva chiesto a Mussolini di abolire la festa del XX settembre, «un’offesa fatta alla Santa Sede e per conseguenza ai cattolici d’Italia e del mondo». Tra l’agosto e il settembre 1930 Pio XI fece fare al nunzio in Italia ulteriori passi, riuscendo a ottenere dal Duce la promessa che il governo avrebbe abolito la festa. «L’Osservatore Romano» del 13 settembre poteva dunque scrivere che «il prossimo Consiglio dei Ministri» avrebbe cancellato la festa della presa di Roma istituendo invece quella dell’11 febbraio, ricorrenza della firma dei Patti. Mussolini volle subito puntualizzare: «Non vorrei che adesso cominciaste a domandarmi di cambiare il nome di via XX settembre». Ma era proprio questo che il Papa voleva, ordinando al nunzio di fare un passo in questo senso. La reazione del capo del governo fascista fu risentita: «Voi volete scatenare la più feroce reazione anticlericale. Voi rendete la mia posizione sempre più difficile. Mi sono pentito del XX settembre… Appena concessa una cosa, voi ne domandate un’altra… Pensi, nunzio, che i Comuni sono novemila, e se tocchiamo l’argomento delle strade, avremo una questione in ogni paese». Così Pio XI, che aveva già ordinato la pubblicazione di un secondo articolo sul quotidiano vaticano relativo al cambio di nome della via, lo fece bloccare: nella nota d’udienza del cardinale Pacelli, la volontà del Papa venne derubricata: «vi è chi ha subito concepito la speranza…». E via XX settembre mantenne il nome.

Tra le tante perle del volume, ci sono il giudizio di Papa Ratti sugli ecclesiastici altoatesini che facevano propaganda per la Germania («Sono pazzi!»), e la sua fulminante battuta dedicata al vescovo di Lecce, il quale era stato insignito dal governo dell’Ordine della Corona d’Italia con il grado di ufficiale: «Chi si contenta, gode».

(di Andrea Tornielli)

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