martedì 25 gennaio 2011

C'era una volta un Re: amava pupe e sollazzi...



C'era una volta un Re che regnava a distanza su una repubblica di parti­ti, mafie e conventicole. Non voleva fare il premier o sporcarsi con la politica e il voto popolare; preferiva restare sempli­cemente il Padrone. Per lui le plebi puz­zavano, interessavano solo come consu­matori e sudditi, mica come cittadini ed elettori sovrani. Nessuno osava sparlare di lui e dei suoi prodotti che inondavano il Paese e mezzo mondo.

Il suo Paese fu disegnato a immagine e somiglianza dei suoi interessi. Il Re si oc­cupava di mezzi di comunicazione in va­ri sensi; anche lui aveva i suoi giocattoli per la ricreazione e lo sport. Faceva affari anche lui con i cattivi del pianeta e del Paese, ma nessuno fiatava. I suoi interessi aziendali e familiari con­dizionavano pesantemente il suo Paese che si caricava i suoi debiti, ma non intac­cava i suoi privilegi. Vendeva armi e pro­dotti ritenuti cancerogeni, ma non si po­teva dire in pubblico. Se i suoi prodotti erano peggiori di quelli della concorren­za nessuno osava pubblicare un’inchie­sta sulla loro qualità, anche perché i prin­cipali giornali per vie dirette e indirette erano controllati da lui; e gli altri erano condizionati da banche e pubblicità del suo gruppo o controllate. Dissero una volta a un giovane che fondò un settima­nale: sparla di tutti, attacca pure la mafia, ma non toccare lui e il suo regno. Finisci male, ti fanno chiudere.

Il Padrone amava divertirsi in modo as­sai pesante: donnine, cocaina e tanto al­tro ancora. Ma nessuno mai vide una fo­to hard sui suoi sollazzi e le sue pupe, mai un’intercettazione sconveniente, mai un’inchiesta,mai un giudice che osò varcare i cancelli della sua sacra privacy. Quel che era servile omertà passava per sua signorile sobrietà. I direttori andava­no in ginocchio da lui, gli baciavano i pie­di e se sapevano dei giochini o di qualche brutta storia della sua famiglia, in pubbli­co mettevano a tacere e al suo cospetto facevano le fusa per compiacerlo. Di quel Re permane il devoto ricordo dei be­­neficiati e il pietoso silenzio di tutti. Auto­dafè. Per fortuna questa è una favola; quel Re, quei servi e quel Paese non sono mai esistiti...

(di Marcello Veneziani)

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