lunedì 21 febbraio 2011

La destra col complesso della sinistra


La politica italiana non è nuova a invenzioni ossimoriche per trovare una via d’uscita a situazioni che sulla carta sembrerebbero senza sbocco. Degna di entrare nel Guinness dei primati quanto a inventiva la celebre formula partorita dalla fervida fantasia di Aldo Moro delle «convergenze parallele»: un non-sense che voleva dare senso a una formula di governo che senso faticava a trovare nella logica comune: l’alleanza tra opposti (Dc e Pci) che tali erano stati, rimanevano e sarebbero rimasti, ma che dovevano pur trovare una giustificazione al loro improbabile ritrovarsi uniti in un abbraccio governativo. Nell’immaginifica formula morotea gli avversari storici della Repubblica tali si confermavano (in quanto parallele che non s’incontrano mai) ma al contempo potevano divenire alleati (in quanto convergenze). Quel che la logica politica faticava ad avere senso trovava, in tal modo, una sua spendibilità almeno propagandistica.

Nel campionario degli ossimori inventati con fervida immaginazione e un indubbio gusto per a provocazione, annoveriamo ora una new entry, cioè Il fascista libertario. Questo è il titolo di un libro (sottotitolo Da destra oltre la destra tra Clint Eastwood e Gianfranco Fini, Sperling&Kupfer, pagg. 256, euro 17), a metà tra il pamphlet storico-autobiografico e il manifesto politico, scritto da Luciano Lanna, giornalista e storico, oltre che appassionato sostenitore della «svolta liberale» intrapresa da Futuro e libertà.

Sulla scorta di un lungo excursus sulla produzione intellettuale degli «irregolari» di destra del Novecento (da Pound a Céline, da Spirito a D’Annunzio, da Brasillach a Drieu La Rochelle), contraddistinti tutti da un indubitabile e sincero attaccamento al valore della libertà, e poi della vicenda esistenziale e culturale della generazione dei ragazzi, come lui, cresciuti e partecipi della contestazione giovanile sessantottina: sulla scorta di questo conforto storico e di questo bagaglio morale, Lanna propone un nuova soggettività politica, caratterizzata dall’associazione degli opposti: fascismo e libertarismo, appunto.

Il viaggio attraverso il passato recente e lontano, i pensatori anticonformisti degli anni Venti e Trenta e i contestatori del ’68, serve all’autore per argomentare la sua tesi di fondo: ossia che il futuro è di quanti si lasciano alle spalle le appartenenze culturali e politiche del secolo delle ideologie e hanno il coraggio di procedere non secondo la logica dell’«aut... aut», ma quella dell’«et... et», non attraverso la logica delle distinzioni, ma quella delle contaminazioni, per cui Péguy o Mounier, Pasolini o Pavese possono stare accanto alle icone tradizionali della destra. Una contaminazione come, appunto, è quella di fascismo e libertarismo.

Lanna non è il primo a testimoniare con la vita, sua e di larga parte della sua generazione cresciuta negli «anni di piombo» e perciò costretta dalla violenza e dall’intolleranza a «tornare nelle fogne» per ripararsi e restare fedele al suo credo politicamente scorretto. Un credo più utile ad alimentare un’identità e un orgoglio che non frutto di un’adesione ragionata e convinta al fascismo. Il loro immaginario, la loro sensibilità, le loro letture, i loro cantautori erano, per il resto, non troppo dissimili dai coetanei di sinistra: Flaiano, Vittorini, Camus, De Andrè, Gaber, Jim Morrison. Insomma, il loro era un mix di fascismo e di libertarismo. Qualcosa che stride certo col cliché del fascista picchiatore, intollerante e violento, ma che risulta molto credibile, oltre che vivo e vitale. Dove lo scarto tra l’immagine consolidata del militante di destra e la proposta di Lanna si fa sbrego è quando da esperienza personale e generazionale essa è trasposta ad archetipo politico.

L’ossimoro, la contraddizione, la contaminazione sono esperienze correnti nella vita delle persone. Non così quando li si vuole far assurgere a fondamenti di una proposta politica di partito. Un singolo può essere nostalgico e tollerante, ma un partito non può essere fascista e libertario. Almeno se le parole hanno ancora un senso. Liberalismo e autoritarismo sono, infatti, opposti che si negano. L’operazione tentata da Lanna, a dire il vero, non va giudicata sul terreno della coerenza né della plausibilità teorica, ma piuttosto per quel che vuol essere: un tentativo di conferire spessore storico e legittimità politica all’operazione messa in cantiere dal Fli di costruire una destra «liberale, plurale, moderna» in alternativa alla destra etichettata come «populistica, bigotta, intollerante» di Berlusconi.

L’ossimoro può reggere se accosta un passato (il fascismo) a un presente (il liberalismo), non se li associa senza che si provveda a smaltire le tossine autoritarie del primo, senza cioè che lo si storicizzi rielaborandolo criticamente.

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